Stampa estera. La Revue du Vin de France, n.648. Borgogna a 360°9 min read

Borgogna fuori dai sentieri battuti, viaggio iniziatico nel cuore di Chassagne-Montrachet, Bordeaux accessibili sono i temi più importanti di questo numero. Ma c’è molto altro, come annuncia una copertina affastellata di titoli: i vini di Bergerac, l’inchiesta sui club di degustazione francesi, influencers del vino su Istagram, Calvados, per citarne solo qualcuno. I temi sui quali mi soffermerò maggiormente sono tre: la Borgogna sconosciuta, Chassagne-Montrachet e Bergerac.

Partiamo dal primo. Per la maggior parte delle persone, anche non sprovvedute, la Borgogna coincide con la Côte d’Or, magari con l’aggiunta dello Chablisien, ed è la terra di due sole, sia pur grandissime, varietà: il pinot noir e lo chardonnay. Questa rappresentazione non è del tutto errata, ma sicuramente incompleta e bisognevole di integrazioni. Innanzitutto se la Côte d’Or e lo Chablisien sono sicuramente le regioni più conosciute, la Borgogna comprende molti altri territori di notevole interesse anche dal punto di vista enologico, come la Côte Chalonnaise e il Maconnais, a sud, ma anche a nord di Dijon è tutta da scoprire la Côte-d’Auxerre.

E anche per quanto riguarda le varietà d’uva, accanto al pinot noir e allo chardonnay, ve ne sono altre, certo minoritarie, ma di interesse non trascurabile: naturalmente l’aligoté, ma anche il sauvignon di Saint-Bris, il mai scomparso pinot blanc e il pinot gris o beurot, e ancora il melon, il césar e il tressot. Anche per quanto riguarda la vinificazione, pur se legatissima alla tradizione, la Borgogna non è restata del tutto immune al desiderio di percorrere strade nuove e innovare.

aligoté

A tutto ciò è dedicato l’ampio servizio di Jean-Emmanuel Simond focalizzato sui bianchi “inaspettati” della Borgogna: 12 pagine di assaggi di vini elaborati a partire da varietà diverse dallo chardonnay, oppure provenienti dai territori più vari, a partire dalle appellation meno conosciute o emergenti  della Yonne ,o di tipologie anche molto distanti da quelle alle quali siamo abituati.  Uno sguardo ai vini da varietà “alternative”. Innanzitutto l’aligoté , non solo quello celebrato di Bouzeron , la sola AOC basata unicamente  su questa varietà, ma presente, con risultati spesso sorprendenti in tutta la Borgogna. Non ci si sorprenda quindi che il punteggio più alto sia quello di un aligoté di Marsannay, Le Charme aux Pretres di Sylvain Pataille, 94/100, che i lettori di Winesurf ben conoscono , ma sorprende anche quello di Jean-Hughes e Guilhem Goisot nella Côte d’Auxerre (92/100). Senza dimenticare l’unicum (in senso letterale) di quello prodotto nel climat Les Monts Luisants a  Morey-Saint Denis in una vigna centenaria dal Domaine Ponsot (95/100  e 150 euro la bottiglia).

C’è poi  il quasi scomparso melon de Bourgogne, trasferitosi ormai  nelle terre del Muscadet. Qualche ettaro sopravvive nel terroir di Vézelay, pur se non ammesso nella recente AOC che ha questo nome. Ne produce uno molto interessante La Soeur Cadette (90/100). E naturalmente il pinot blanc. Due rarità da assaggiare: il Savigny-lès-Beaune Île de Vergelesses La Vie est belle del Domaine Chandon de Brialles (92/100 l’annata 2017) e il pinot blanc proveniente da una mutazione da ceppi di pinot nero, conosciuta come Pinot-Gouges del Nuits-Saint-Georges blanc La Perrière del Domaine Henri Gouges (94/100 il vino del 2019).

Pinot bianco

C’è poi il sauvignon dell’ “isola” di Saint-Bris (ottimi quelli dei Domaine Jean-Hughes e Guilhem Goisot e di Jean-Louis e Jean Christophe Bersan). Restando allo chardonnay canonico sono da scoprire le piccole denominazioni comunali e regionali della Yonne: la nuova gemma Vézelay (La Soeur Cadette e il Domaine La Croix Montjoie ne sono l’avanguardia) , i deliziosi Bourgogne Chitry (da provare quello di Alice et Olivier De Moor, 92/100 il 2018), i Bourgogne Tonnerre (molto buoni quelli dei Domaines Dominique Gruhier ed Hervé Dampt), e gli scoppiettanti Côtes d’Auxerre  (con i Goisot e i Bersan ancora in vista).Non vanno trascurati poi i bianchi ingiustamente sconosciuti della Côte de Nuits, dove non tutto è rosso : vedere i bianchi del Nord, di Fixin e Marsannay e quelli del sud di Vougeot e Nuits-Saint-Georges, per non parlare del Musigny blanc grand cru del Comte de Vogüe.

Due gemme : il Nuits-Saint-Georges Clos de la Maréchale di Jacques-Frédéric Mugnier e il Vougeot Clos Blanc  del Domaine de la Vougeraie. Ci sono ancora i vini delle regioni dimenticate: quelli dei Coteaux Dijonnais , dei Coteaux de l’Auxois o del Brionnais. Infine ci sono gli atipici, come i preziosi levroutés (chardonnay moelleux, botritizzati) di Viré-Clessé (eccellenti quelli del Domaine de la Bongran),e gli innovatori : i “senza legno” e, al contrario, i bianchi con lunghissimi élevage in legno (provare il Pouilly-Fuissé Clos de Monsieur Noly del Domaine Valette, come l’inalterabile 2007), e i macerati, gli orange, come quelli del Domaine Sextant e del Domaine du Clair Obscur, ovviamente Vins de France, al di fuori di qualsiasi denominazione.

Montrachet

Di seguito è l’altra degustazione borgognona, dedicata al terroir di Chassagne-Montrachet, una delle capitali dei bianchi borgognoni, con Puligny-Montrachet e Meursault:  338 ettari di vigna, dalle cui uve provengono principalmente vini bianchi (circa 10.000 hl. l’anno, per oltre la metà in premier cru), ma anche rossi (poco meno di 4.000 hl., di cui circa un quarto in premier cru), un grand cru in esclusiva (Criot-Bâtard-Montrachet) e due in condivisione con Puligny (Montrachet e Bâtard-Montrachet). Il servizio è di Roberto Petronio, che ha assaggiato  bianchi e rossi dell’annata 2019. Del 2019 si è detto in altre occasioni: è stata chiamata l’annata miracolata , viste le premesse molto difficili. I vini presentati sono stati assaggiati alla cieca presso il Bureau interprofessionnel des Vins de Bourgogne, con un successivo completamento attraverso visite ai Domaines.

La valutazione di Petronio è stata molto positiva, per certi versi di livello sorprendente per i villages, sia in bianco che in rosso (molto bene, tra questi ultimi,  il Vieilles Vignes  di Marc Colin, il La Goujonne Vieilles Vignes di Hubert Lamy e quelli di Bernard Moreau et fils e Lucien Muzard et fils, tutti con 92/100). Di ottimo livello anche i premiers crus, dalle identità ben marcate. Petronio li ha raggruppati in tre sottozone: il settore sud a partire da La Maltroie fino a Les Embazées , dove sono i climats più solari, il settore nord, da Macherelles e il Clos Saint-Jean in direzione di Saint-Aubin, nel quale le maturazioni sono più lente e i vini sono spesso più incisivi,  e il settore intorno al Montrachet. Poi, naturalmente, ci sono i tre grands crus.

Nella sezione sud, nella parte alta del coteau (ad es. En Virondot) i vini sono più minerali, in basso, dove dominano le argille, sono più robusti , ma è in mezzo (come La Romanée) che essi sono più eleganti: qui quelli del Domaine Morey-Coffinet  e del Domaine Paul Pillot hanno raggiunto i 95/100. Straordinari anche il Les Grandes Ruchottes  di Bernard Moreau et Fils,  lo Champ Gain e l’En Cailleret di Marc Colin et Fils, anch’essi a quota 95 , con quest’ultimo leggermente al di sopra. La sezione nord è più fresca, anche per l’influenza della combe di Saint-Aubin. Anche qui i suoli più in basso sono più spessi, ma i vini sono ugualmente freschi sempre per effetto della combe. Sono molti i vini nei climats Clos Saint-Jean,Les Chenevottes , Les Vergers e Les Chaumées che hanno raggiunto l’ottima  valutazione di 94/100. Un soffio al di sopra di tutti il Les Chaumées di Hubert Lamy. Nell’area intorno al Montrachet, in basso sono climat come Blanchot o Vide Bourse  che evocano dei Bâtard-Montrachet in versione ridotta, mentre più in alto (Dent de Chien, En Remilly), i vini sono più raffinati ed eleganti, simili a uno Chevalier-Montrachet: 95+/100  alle cuvée di Vide Bourse di Joseph Colin e di Marc Colin et Fils (attenzione alla numerosità di questa famiglia) e all’En Remilly di Morey-Coffinet. Sfiora i 96/100 il Dent de Chien di quest’ultimo Domaine. Eccoci infine ai grands crus, sui quali c’è poco da aggiungere: quasi 100 punti (99+) al Montrachet di Comtes Lafon e 97 al Bâtard di Marc Colin.

Il terzo articolo al quale voglio accennare è quello di Karine Valentin riguardante il territorio di Bergerac. Innanzitutto perché si tratta di una regione della quale si parla poco sulle riviste specializzate, anche francesi, nonostante la sua bellezza e le sue specialità gastronomiche. Vissuto finora all’ombra del suo ingombrante vicino bordolese, il vignoble di Bergerac sembra finalmente essersi liberato del suo stato di soggezione e aver intrapreso una propria strada. Per lungo tempo, infatti, i vignerons di Bergerac vendevano i loro vini, prodotti con le stesse varietà bordolesi,  ai négociants di Bordeaux, che non esitavano a commercializzarli, senza rivendicarne la provenienza. Quando si è giunti al punto che una bottiglia approdava al prezzo di un euro nella grande distribuzione, numerosi vignerons hanno abbandonato la denominazione, ed altri hanno cominciato a riappropriarsi delle proprie vigne e dei loro vitigni, arrivando a costruire un mercato  delle vendite di vino en vrac superiore in valore a quello di Bordeaux.

Su un mosaico di suoli calcarei, argillosi e sabbiosi estremamente vario, si è cominciato a ripiantare viti di qualità alla densità giusta e i risultati si cominciano a vedere. Il clima, da  oceanico nella sua parte ovest, diviene continentale man mano che ci si spinge verso il limite orientale. A parte il terroir di Monbazillac, da sempre produttrice di eccellenti moelleux in grado di rivaleggiare con quelli del Sauternais, Montravel , con il suo plateau di molasses dell’Agennais, produce i bianchi pià reputati, mentre a Pécharmant si producono solo rossi a predominanza merlot. Si alleggeriscono gli affinamenti,  si estende i filari di cabernet franc e i sauvignon blanc diventano più raffinati, ma soprattutto migliora la qualità dell’encépagement con l’introduzione di nuove varietà. Tra i vini rossi  é da provare Le Vin second David Furtout, dello Château La Tour des Verdots,  un Côtes de Bergerac del 2016 (94/100), così come le cuvées di Bergerac rouge dello Château Saint-Cernin e  del Domaine Julien Auroux (entrambi 93/100). Tra i bianchi spiccano i Bergerac blanc dello Château Barouillet Truculence 2019  e dello Château Combrillac della stessa annata (entrambi 91/100). Tra i bianchi di Montravel, è interessante il Magie d’Automne 2018 dello Château Moulin Caresse (90/100). In questa degustazione non sono compresi i moelleux di Monbazillac, dei quali si parlerà in un altro servizio in programmazione. Vale la pena di accennare che, in questo numero, anche la “bottiglia mitica” del mese è un vino del Sud-Ovest, la Cuvée Prestige 1985 dello Château Montus, la prima cuvée 100% tannat.

In breve ciò che rimane, oltre alle consuete rubriche: le due inchieste sui club di degustazione e sugli influencer di successo su Instagram, la degustazione (interessante) sui secondi vini dei crus classés di Bordeaux,il confronto di stili del Domaine alsaziano della famiglia Trapet e del Domaine Barmès-Buecher attarverso cinque millesimi,  il grand accord (piccione, foie-gras e fichi con un rosso del Languedoc), i Calvados , il profilo  del Mas Cal Demoura, con l’annessa verticale delle annate dal 2006 al 2018, il terroir di Goulaine, cru del Muscadet, il dibattito su una bottiglia (Gnome 2018, Vin de France, del Domaine du Père Benoit).

 

Guglielmo Bellelli

Nella mia prima vita (fino a pochi anni fa) sono stato professore universitario di Psicologia. Va da sé: il vino mi è sempre piaciuto, e i viaggi fatti per motivi di studio e lavoro mi hanno messo in contatto anche con mondi enologici diversi. Ora, nella mia seconda vita (mi augurerei altrettanto lunga) scrivo di vino per condividere le mie esperienze con chi ha la mia stessa passione. Confesso che il piacere sensoriale (pur grande) che provo bevendo una grande bottiglia è enormemente amplificato dalla conoscenza della storia (magari anche una leggenda) che ne spiega le origini.


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