Come dare la caccia all’infinito15 min read

Consigli ferragostani – e non solo – per i lettori di Winesurf

 

Mi manchi. Come a sottrarre le marne alla Borgogna e il gesso alla Champagne. L’ azzurro al giorno e le stelle alla notte. All’albero la terra e agli uccelli i suoi frutti. All’amore il pathos e all’uomo l’amore.

Le ho provate tutte, perché così non fosse. Scappare come un ladro, ritrovandomi in una prigione di passione. Appassire le rose, che profumano ancora di buono. Credere al tempo che cancella, senza nemmeno sfiorare il tuo sorriso.

Mi manchi. Ne ho le prove. E non so più che farci.

Infinito amore mio.

 

Abbiamo sempre più bisogno di degustatori che attivino la centralina dei sensi in modo libero e appassionato; che bevano per incontrarsi con il vino non per sezionarlo; che si prendano la briga di camminare ed evolvere nel ruolo di interpreti; che abbiano voglia di sfondare la prigione dei codici imposti.

Di una bottiglia occorre apprezzarne diversità e bizzarrie: chi dopo un timido approccio dice “non è il mio vino” (di solito dopo dieci secondi, forse meno) non è tagliato per questa materia così umana, così enigmatica, così mutevole, così piena di eccezioni.

Le dissonanze rendono il percorso di conoscenza del vino elettrizzante, unico. Certo non è la dissonanza in sé che rende il vino migliore, che se è buono è buono così com’è, al di là del fatto che sia proporzionato come un Apollo, che abbia le gambe lunghe e la testa piccola (e viceversa) o che su due piedi appaia obliquo e irregolare.

Ma l’amore per il contrasto deve essere nella natura di un assaggiatore, al quale può essere offerto nello stesso momento del giorno un Moscato d’Asti di accogliente dolcezza e un Marsala Vergine di “lanzichenecca” salinità; un rigido Bordeaux giovanile e un goloso Beaujolais nel pieno della maturità; un Assyrtiko di Santorini di scapigliata salinità e uno Jasnières così tenace da apparire offensivo.

Occorre procedere a oltranza nel proprio percorso di formazione, sfidare la routine e bramare gli imprevisti; accettare di conoscere nuovi territori o nuove letture di essi; occorre dar retta alla curiosità, prendere appunti, riflettere e arrendersi all’imponderabile: un degustatore deve saper dare la caccia all’infinito.

Bordeuax che non ti aspetti: Clos du Jaugueyron Haut-Médoc 2012

Si dice che la maggior parte degli insonni anglosassoni per addormentarsi conti le pecore. Quanto a me, spesso conto terroir, tappi e bottiglie. Se la cosa non mi rende più saggio (e certamente non mi addormenta), quantomeno vi trovo l’occasione di riflettere su viaggi, stappature e assaggi provando a fare ordine nel mio personale (e spesso disordinato) bottino dei migliori.

E tra le esperienze più belle degli ultimi mesi c’è quella di inizio luglio nel sud-ovest francese, dove sono tornato dopo anni e anni e anni di assenza (ben dodici, una vita) per farmi una passeggiata anche tra i castelli del Médoc.

La strada dei vigneti che attraversa i paesucoli di Margaux, Saint-Julien, Pauillac e Saint-Estèphe offre in una giornata, o in un solo pomeriggio, la possibilità di capire il ruolo che hanno la geografia e la geologia nel successo imperituro dei vini locali, così come le grandi difficoltà che si debbono sormontare per produrre i più celebri.

Dalla città di Bordeaux si supera la zona industriale di Blanquefort e attraverso la trafficata D-2 si arriva – circa venti chilometri dopo – alle porte dell’Haut-Médoc: si comincia con Château La Lagune (terzo Cru classificato), poi Cantemerle (imponente maniero nascosto in fondo a un grande parco, sulla sinistra della strada) e da qui in poi la vite e le proprietà viticole (più o meno note) prendono il sopravvento.

La fama di quest’area e la diffusione planetaria delle bottiglie che qui hanno origine farebbe pensare ovviamente a un vasto territorio, ma non è così: la sua larghezza raramente supera i dodici chilometri. Si tratta di una striscia di terreni ghiaiosi sulla riva sinistra della Gironda (estuario che raccoglie le acque di Garonna e Dordogna) su cui si producono rossi che nei casi migliori, salvo eccezioni, non portano in dote il nome di Haut-Médoc, ma quello dei suoi comuni più fortunati dal punto di vista enoviticolo (li ho già citati tutti in apertura, in più Moulis e Listrac).

In questo periodo, a prima vista, il vigneto medocain ha l’aspetto di un vasto tavolo da biliardo, con file di verde perfettamente potato che sembra estendersi senza soluzione di continuità. Guardando attentamente si constata però che il terreno è appena appena ondulato e talmente coperto di ciottoli da far pensare a una cava di ghiaia: è questo uno dei fattori determinanti del terroir; gli altri sono il clima (parecchio influenzato dall’Oceano Atlantico, che dista una trentina di chilometri), l’età media delle piante (piuttosto generosa), la solidità dei produttori (in sintonia con gli edifici che li ospitano) e una lunghissima, pluricentenaria storia di successo che ha regalato ricchezza, savoir-faire e autostima all’intero ambiente, elementi che non necessitano di supplementi d’indagine per essere percepiti, basta guardarsi intorno.

E guardandovi bene attorno potrebbe perfino capitarvi di incrociare per caso un outsider di quelli giusti, che vi farà fare bella figura con gli amici che tendono a sbrigare la faccenda bordolese con un usurato corredo di luoghi comuni(del tipo <<tanto sono sempre i soliti quelli buoni, sai che noia!>>).

Ecco, Clos du Jaugueyron è un Mèdoc che non ti aspetti, per tante ragioni. Non si chiama “Château”, conta pochi ettari vitati (quanti un piccolo Domaine di Borgogna) e non produce rossi serrati e ipertannici da richiedere secoli di attesa prima di sbocciare.

È invece un “petit bordeaux” per la tavola e per la gioia di chi ama la proporzione, l’armonia e la definizione. Sarà perfino inutile misurarne la prestazione a contatto con l’ossigeno, tanto la bottiglia finisce prima.

Il Merlot Glu GLù: Lestignac Tolrem 2014

La grande regione viticola sud-occidentale della Francia è appunto il Bordolese, tuttavia il sud-ovest francese non si limita all’immenso comprensorio girondino. Poco lontano, in direzione est, tra i dipartimenti di Dordogna e Lot, ci sono Bergerac e Cahors; più a sud-est Gaillac e ancora più a sud, oltre l’Armagnac, il Madiran; e ai piedi dei Pirenei i distretti di Jurançon, Irouléguy e Béarn.

La diversità dei paesaggi del Sud-Ovest è sbalorditiva quanto la varietà dei suoi vini: rossi, bianchi secchi e dolci, spumanti metodo classico, sono tutti caratterizzati da una connotazione di terragna rubustezza che spesso richiede tempo per farsi. Per quanto mi concerne dirò che non sempre si beve bene da quelle parti: capita che i bianchi manchino di vitalità, i rossi di armonia, i dolci di mordente e gli spumanti di carisma.

Ciononostante tutte le zone del Sud-Ovest stanno progredendo sotto ogni punto di vista, il numero di bottiglie di valore è in crescita ed è dunque probabile che ne sentiremo parlare con più frequenza nei prossimi anni.

Nel frattempo il vignaiolo ribelle Mathias Marquet è già sulla bocca di tanti bevitori che amano i vini di spiccata matrice artigianale, dopo che Jonathan Nossiter gli ha dedicato pagine appassionate nel suo ultimo libro, Insurrezione Culturale (l’edizione italiana è di Derive Approdi).

Nella tenuta viticola di famiglia insediata venti chilometri a sud di Bergerac (Lestignac, nel villaggio di Siguolès), da qualche anno Matthias e la sua compagna Camille producono vini fatti in modo radicalmente naturale, dalla formidabile identità: provare per credere quanto buono è il Tolrem 2014, Merlot che qui non ha nulla di muscolare, di patinato, di vacuamente <<premium wine>> e anzi sfoggia movenze leggiadre, copiose riserve di piccoli frutti e una succosità inarginabile. Che strappa applausi e sorrisi.

I Pinot Noir che fanno miracoli: la mia lista

Il 31 luglio un fronte bollente, bruciante, arriva rabbioso dal Sahara algerino. Il caldo, terribile, toglie ossigeno all’umanità intera; il sole è già basso nel cielo, ma a quelle temperature anche le stelle non sopravvivono e gli astri si spengono.

Raffiche su raffiche di scirocco bagnato, il termometro impazzito, nessun anziano per strada, figurarsi donne e bambini, tutti al riparo salvo i ragazzi più giovani e noi audaci assaggiatori che ci dirigiamo al ristorante Quartopiano di Rimini per degustare un’abissale batteria di Pinot Noir, con venti vini scelti quasi in ogni angolo del pianeta.

Quattro ore e quaranta minuti di flaconi stappati, versati e bevuti; sottofondo animato dal ronzio monotono di laconici commenti sottovoce o da strappi di respiro quando il vino era in bocca o da contese nasali degli sniffatori accaniti o di versamenti del liquido dalla bottiglia al calice. Poco altro.

E tutto ciò per individuare due o tre cose che molti sanno, forse tutti, ma che è bene ribadire: i rossi da Pinot Noir quelle rare volte in cui sono davvero buoni possono fungere da ossigeno vitale nelle giornate più difficili, cambiando la percezione della realtà.

Nel pieno della degustazione aria fresca soffiava dal mare con temperature in verticale diminuzione, alberi irrequieti, nuvole salvifiche e ovunque facce beate come quelle dei bimbi al luna park accompagnati da nonni più arzilli di un Berlusconi e di un Trump, per dire.

Per queste ragioni e pure per altre di tipo più specifico – ad esempio se amate i rossi per cui è necessario spendere parole come imprevedibile, dinamico, cangiante – è con urgenza che vi consiglio di acquistare i più luminosi Pinot Noir emersi in quella torrida giornata riminese. Non sono vini avventurosi i Pinot Noir, e anzi hanno qualcosa di domestico, a patto che ogni casa abbia un Giardino di Ninfa dove passeggiare e incontrare le fate.

Crapolla Noir 2015 (Italia-Campania)

Enò-Trio Tiurema 2014 (Italia-Sicilia)

 Podere Santa Felicita Cuna 2013 (Italia-Toscana)

Clos du Tue-Boeuf – Puzelat Cheverny La Caillère 2015 (Francia-Loira)

Gérard Raphet Chambolle-Musigny 2014 (Francia-Borgogna)

Albert Mann Alsace Pinot Noir Les Saintes Claires 2013 (Francia-Alsazia)

Bernhard Huber Baden Spätburgunder Malterdinger QW Trocken 2014 (Germania-Baden)

Donatsch Graubünden Pinot Noir Passion 2013 (Svizzera-Grigioni)

Bergström Oregon Ribbon Ridge Le Pré du Col Vineyard 2013 (Oregon-Willamette Valley)

Brutal senza essere brutale: Maccabeu Orange 2015 Matassa

Al crocevia di mondi opposti, la montagna e il mare partoriscono preziose terre di mezzo, spaesate e bellissime, dove si parla francese e catalano, fa caldo di giorno e fresco di notte, c’è la roccia e la macchia mediterranea, vigne vecchie e vitigni peculiari.

Qui Tom Lubbe – che arriva da altri mondi ancora (Sudafrica e Nuova Zelanda) – è una dozzina d’anni che produce vini di detonante energia, contribuendo alla fama delle colline a nord-ovest di Perpignan, ormai considerate Grand Cru del Roussillon.

Allievo del capofila Gérard Gauby e protagonista di quel distretto al pari di Olivier Pithon, Cyril Fhal, Jean Gardiés, Stéphane Gallet e Benoît Danjou, Tom si cimenta con successo anche in una sensazionale versione “Brutal” del suo Maccabeu (Brutal è un network di vini naturali prodotti da vignaioli radicalmente bio in diversi terroir di Francia, Spagna e Italia, commercializzati con un’unica etichetta): arancione al colore, innervato di saporitissima acidità, è chiuso da un’impressionante scodata sapido-minerale che allunga la beva e qualifica a meraviglia la persistenza. Undici gradi e mezzo di alcol: vin de soif  allo zenit.

Perla di provincia: Piemonte Grignolino Vittorio 2015 Cascina Tavijn

Nadia Verrua ha saputo creare con i suoi clienti – amici, amatori, operatori – un rapporto strettamente intimo e quasi esclusivo, costruito attraverso vini di reale fattura artigianale, capaci di trascorrere senza alcun intoppo dalla rusticità delle loro radici astigiane alla nobiltà di un progetto i cui valori precipui – autorialità, identità, originalità, digeribilità, gastronomicità – sono ormai universali e condivisi da tanti appassionati italiani.

Senza essere un vino contadino o nostalgico, il Grignolino Vittorio 2015 è comunque un rosso della tradizione più radicale, che in ossequio alla vocazione del vitigno non rinuncia né al colore scarico né a un tannino poco mansueto né a un contegno avaro di carezze, cifra del Piemonte d’antan.

Ma è proprio in questa autenticità così rara che sta la bellezza di un rosso che è alleanza liquida di tannini, acidi, sali, fiori e spezie. E che ha molto senso portare a tavola, senza esitazioni.

Via col vento: Kras Malvazija 2013 Čotar

L’energia del vino si forgia in luoghi estremi, terre ostili e vigne che non sguazzano nel benessere. Douro, Mosella, Valtellina e Champagne (per citare quattro zone di eccezionale valore vitivinicolo riconosciute in tutto il mondo) ci fanno comprendere – per ragioni diverse – che la bellezza non si realizza quando il percorso è pacifico, ma solo se ogni elemento che ne è all’origine richiede il costo di enormi sacrifici.

Nelle condizioni più facili si ottengono liquidi diligenti che raramente lasciano il segno, al contrario fatiche e affanni talvolta possono tradursi in un decisivo supplemento di personalità e di originalità in grado di scuotere e appassionare.

Un’eventuale classifica dei terroir più selettivi d’Europa regalerebbe al Carso, tra Italia, Slovenia e Istria, una posizione di vertice in virtù di terre selvaggiamente rocciose che si disfano in suoli aridi e marginali, nutrendo viti sofferenti, pascoli grigi e ginepri dall’odore penetrante.

Ne è una sintesi perfetta, di quel maledetto infinito di confine, la magnifica edizione 2013 della Malvazija che Branko e Vasja Čotar ottengono da vecchi ceppi di malvasia istriana coltivati nella campagna di Gorjansko, costola vignata del comune di Komen.

Qui la macerazione è gestita con rara sensibilità, la mano è saldissima anche nelle vinificazioni (fedeli a un protocollo il più possibile naturale) e il vino esprime ritmo gustativo devastante in sintonia con una mutevole articolazione aromatica: mare e macchia, agrumi e fiori, spezie e minerali, non si può fare a meno di annusarlo. E berlo.

Il Castello errante di Calce: Vieilles Vignes Rouge 2013 Gauby

I vini del rugbista Gérard Gauby e del figlio Lionel mi regalano sempre immagini insolite, percezioni di leggiadra potenza, di enormi edifici che volano come in un film di Hayao Miyazaki, di liquidi solidi che diffondono nuvole di aerosol profumatissime, di rocce sciolte nel vento, di terra che si fa cielo, di un Roussillon che diventa Tourbillon.

E anche all’assaggio del Vieilles Vigne Rouge 2013 (carignan, syrah, grenache, mourvedre) ho pressoché perso il controllo, catturato dalla notevole concentrazione di frutti immersi nella macchia, dal sangue condito di spezie e dal sorso scalpitante, pregno di sapori e aromi tutti suoi. Di nessun altro.

L’archetipo: Champagne Cuvée 740 Extra Brut Jacquesson

La prima cosa che colpisce è la purezza. Purezza nelle ombre, traparenze nell’oscurità, chiarore abbagliante in una grotta di gesso. La seconda è il sapore. Scossa tellurica che mette in moto i sensi e le immagini, che incrocia tenacia e carnosità, essenzialità e vigore; una mescola sublime che merita la vetta nella storia dell’etichetta.

Dall’esordiente 728 in poi il mio archivio dedicato alla Jacquesson di Laurent e Jean-Hervé Chiquet è ricco di note: rileggo con enorme soddisfazione quelle della tetralogia 732/734/736/738 e con meno trasporto i frammenti relativi alla trilogia 731/733/735.

In ogni caso è la prima volta che percepisco una cuvée della <<Serie 7>> a livelli così mirabili, sontuosi: fuoriclasse di raffinatezza e golosità, complessità e definizione; archetipo impeccabile del miglior Champagne contemporaneo. Proprio da non mancare.

Guida Grandi Champagne: Accattateville!

A proposito di Champagne. Conosco e stimo Vania Valentini da molti anni e in questa nuova edizione della Guida Grandi Champagne curata come sempre da Alberto Lupetti (2018/2019) il suo ruolo è ben più centrale rispetto alla scorsa (2016/2017): per questa ragione sarà ancora più urgente prenotarne una copia (l’uscita è prevista in ottobre).

Saper bere vino è cosa più complessa di quanto possa apparire, occorre entrare in sintonia con esso e interessa una parte viscerale di noi, una frazione emotiva decisiva negli esiti interpretativi di un degustatore. A livello epidermico, istintivo, sentimentale, Vania Valentini è tra le più credibili degustatrici italiane di Champagne, terra e vini per cui  nutre una romantica venerazione.

La sua narrazione privilegia la passione e la spontaneità, virtù rare e preziose, non solo nelle faccende vinose. Potrete acquistare la guida attraverso il sito www.lemiebollicine.com.

Le Nostre Anime di Notte, Kent Haruf

Di Kent Haruf avevo già adorato la magnifica trilogia del Canto della Pianura (Plainsong Trilogy: Canto della Pianura, Crepuscolo, Benedizione), ma Le Nostre Anime di Notte ha il sapore del capolavoro. Capolavoro di assenze, di attese, di brevi respiri, di tenere carezze e di crudeli rinunce. Di un amore urgente, casuale, provvisorio, nutrito di piccole cose, di cose proprio minuscole, scabre, su due piedi irrilevanti, eppure in grado di trapanare l’anima, il cuore e la testa del lettore.

Romanzo meraviglioso (NN Editore, titolo originale Our Souls at Night) è anche l’ultima opera di questo gigante della letteratura americana, pubblicata negli Stati Uniti qualche mese prima della sua morte.

Uno scrittore che adora la sintesi e i silenzi; che cerca l’essenzialità e arriva all’osso; che fa bene e che fa male. Come la vita.

Altri vini raccomandabilissimi

Come sanno anche i sassi, per un degustatore è preminente saper assaggiare per poi consigliare buone bottiglie a chi si prende la briga di ascoltarlo. Da giovane pensavo fosse il lavoro più facile, una naturale conseguenza della mia ricerca, oggi invece lo trovo durissimo: la voglia di scoprire è rimasta intatta, ma sento il peso della responsabilità molto più di un tempo.

Lo so bene che in fondo si tratta di bottiglie di vino, niente di drammatico, ma scegliere per gli altri è sempre meno nelle mie corde. Ecco perché a dispetto delle centinaia di bottiglie stappate negli ultimi mesi mi congederò da voi con un ristrettissimo numero di esse, solo le più riuscite nelle rispettive tipologie prese in rassegna.

Si tratta di una selezione in sintonia con la stagione, divagando qua e là con un budget di spesa che oscilla da 8 a 35 euro in enoteca.

Buon proseguimento d’estate!

Remì Couvreur Champagne Brut s.a.

San Biagio Vecchio Sabbia Gialla 2016

Nino Barraco Vignammare 2016

Peter Jacob Kühn Rheingau Riesling Quarzit Trocken 2015

Domaine de la Belliviere Jasnieres Rosier 2015

Domaine La Croix Montjoie Bourgogne Vézelay 2014

Alice et Olivier De Moor Bourgogne Aligoté 2014

Pierre-Olivier Bonhomme Cour-Cheverny 2014

Poderi Morini Romagna Sangiovese Morale 2016

Domaine Ragot Givry Vieilles Vignes 2013

Nusserhof – Mayr Elda 2012

Alessandro Balducci Romagna Albana Spumante 2015

Giovanni Poli Trentino Vino Santo Emblemi d’Amour 2005

 

 

 

 

 

 

Francesco Falcone

Nato a Gioia del Colle il 6 maggio del 1976, Francesco Falcone è un degustatore, divulgatore e scrittore. Allievo di Sandro Sangiorgi e Alessandro Masnaghetti, è firma indipendente di Winesurf dal 2016. Dopo un biennio di formazione nella ciurma di Porthos, una lunga esperienza piemontese per i tipi di Go Wine (culminata con il libro “Autoctono Si Nasce”) e due anni di stretta collaborazione con Paolo Marchi (Il GiornaleIdentità Golose), ha concentrato per un decennio il suo lavoro di cronista del vino per Enogea (2005-2015). Per otto edizioni è stato tra gli autori della Guida ai Vini d’Italia de l’Espresso (2009-2016). Nel 2017 ha scritto il libro “Centesimino, il territorio, i vini, i vignaioli” (Quinto QuartoEditore). Nell’estate del 2018 ha collaborato alla seconda edizione di Barolo MGA, l’enciclopedia delle grandi vigne del Barolo (Alessandro Masnaghetti Editore). A gennaio 2019, per i tipi di Quinto Quarto, è uscito il suo ultimo libro “Intorno al Vino, diario di un degustatore sentimentale”.  Nel 2020 sarà pubblicato il suo libro di assaggi, articolazioni e riflessioni intorno allo Champagne d’autore. Da sei anni è docente e curatore di un centinaio di laboratori di degustazione indipendenti da nord a sud dell’Italia.


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