Che bello tornare in paradiso per “Reincontrare Giulio Gambelli”7 min read

Il paradiso di cui ho parlato in questo articolo  si è trasferito dalla  Borgogna in Toscana, in particolare a Castiglion d’Orcia. Un paradiso quindi che non aveva solo “angeli” francesi, ma per una buona metà  italiani. Ma andiamo con calma e cerchiamo di spiegarci meglio.

L’idea di “esportare” Le Rencontres  Henri Jayer è venuta qualche anno a fa a Pasquale  Forte, proprietario di Podere Forte a Castiglion d’Orcia. La sua azienda non solo è interamente biodinamica ma è forse l’esempio più eclatante di come un produttore possa, oltre a produrre vino, aiutare fattivamente  lo sviluppo della zona in cui lo produce.

Pasquale me ne parlò assieme a  Jacky Rigaux, organizzatore de Le Rencontres in Borgogna e l’idea è poi maturata piano piano. Quest’anno mi ha chiesto di accompagnarlo in Borgogna per vivere la manifestazione e poi capire come poterla traslare in Italia.

Mi ha colpito molto il fatto che Pasquale abbia voluto dedicare  l’evento italiano a Giulio Gambelli, presentandolo così come il “nostro Henri Jayer”, e comunque riconoscendo a Giulio un’importanza che va oltre il saper fare il vino.

Così è nata la giornata “Reincontrare Giulio Gambelli” che ha visto una ventina di produttori, tra borgognoni e italiani, parlare della propria storia e della proprio vita, dei convincimenti maturati nel tempo, dei propri vini.

Di diverso rispetto alla manifestazione borgognona  c’erano due-tra particolari per niente insignificanti: il primo che non tutti i produttori italiani (in realtà solo piemontesi e toscani per questa prima edizione) seguono i dettami biodinamici, il secondo che era aperta anche ad alcuni giornalisti del settore, il terzo che tutto l’evento ha avuto la traduzione simultanea (ed altre chicche organizzative) così da permettere a tutti di comprendere appieno quanto veniva detto.

Ma chi c’era? Anche se all’ultimissimo minuto Aubert de ViIlaine  ha dovuto declinare l’invito per motivi di salute credo che mai in Italia si siano visti assieme tanti produttori borgognoni, specie per una manifestazione dove non c’era da vendere una bottiglia di vino. Thibault Liger-Belair, Bernard Hervet, Bruno Clavelier, Cyprien  Arlaud, Martin Prieur, Bernard Bouvier, assieme  a Lidya e Claude Bourguignon, famosi  agronomie  fermi propositori della biodinamica, sono arrivati nella bellissima chiesetta di San Simeone a Castiglion d’Orcia per discutere assieme a Pasquale Forte, Elisabetta Fagioli, Martino Manetti, Roberto Voerzio, Alessandro Ceretto , Tommaso Marrocchesi, Andrea Costanti, Giacomo Neri, Stella  Viola di Campalto, , Elisabetta Cinelli Colombini, Giampiero Pazzaglia e Lionel Cousin.

A questo “parterre de roi” ho avuto il piacere e l’onore di presentare la figura di Giulio Gambelli, naturalmente emozionandomi spesso durante i quindici minuti dell’intervento.

Ma l’emozione si vede  è rimasta nell’aria perché ogni intervento della giornata è stato denso e sentito. Uno dei fatti più sorprendenti, che mi sono permesso di sottolineare in diretta, è stato come ogni vino, mentre il produttore parlava alla fin fine di altro (nessuno si  messo a spiegare le caratteristiche dei propri vini) conquistasse piano piano la scena: ogni produttore presentava di solito due vini, che venivano serviti all’inizio del suo intervento. Nei 15-20 minuti dati ad ogni intervento i vini non solo cambiavano profondamente (cosa normale) ma sembravano quasi  voler conquistare la ribalta, che in quel momento era  in mano al viticoltore. E’ normale che un vino nel bicchiere cambi, ma  molti dei vini degustati hanno fatto di più, si sono trasformati di fronte a noi da vini ottimi in  espressioni di un territorio, da “comparse di alto livello” in attori principali che incarnavano se stessi, il proprio territorio e le idee del produttore. Sembrava che anche loro avessero capito la particolarità del momento e si stessero mettendo in gioco, volendo mostrare quanto un vino che nasce in un territorio vocato e che viene coltivato in maniera rispettosa, abbia molto di più da dire di un semplice “buon vino”.

Se dovessi riportare tutte le sensazioni che mi hanno dato sia i vini che gli interventi penso verrebbe fuori la “Storia infinita” cercherò quindi di riportare le cose che mi hanno lasciato un dolce ricordo nel cuore.

Elisabetta Fagioli

Il primo lo devo a quella grande donna di Elisabetta Fagioli, alla sia Vernaccia di San Gimignano Carato 2015, ma soprattutto alla sua meravigliosa idea di una casa di riposo per anziani e per ragazzi. Un luogo dove, in una naturale rotazione: gli anziani possono sentirsi giovani insegnando qualcosa (sulla terra, sulla vita) ai ragazzi e quest’ultimi possono non solo imparare, ma aiutare persone nel tramonto della vita, a sentirsi utili e non messi da parte. Un’idea meravigliosa, una specie di Accademia Platonica sulle colline di San Gimignano.

Subito dopo ha parlato Tibault Liger- Belair, che non riesce a a sbagliare un vino manco se ci si mette d’impegno. Ma lasciamo un attimo i suoi  Nuits-Saint-Georges Premier Cru  2014 e Clos Vougeot 2014 da parte, perché le sue parole sono rimaste proprio “incastrate” dentro di me: del resto quando un borgognone ha parole dure per i propri colleghi, che oramai non vogliono scambiarsi idee, opinioni, consigli, ma sono tutti protesi verso il guadagno e “Guadagnare non è conoscere, se fare soldi vuol dire essere più freddi, comunicare meno, pensare solo ai soldi,  molto meglio parlarsi e accontentarsi di un giusto guadagno!” Sentire queste cose mentre un ombroso e terragno Clos Vougeot ti si apriva nel bicchiere diventando setoso e avvolgente è stato uno dei momenti più profondi della giornata.

Altro intervento particolarmente significativo è stato quello di Alessandro Ceretto. Devo fare una premessa: ho spesso trovato i loro vini chiusi e scarsamente espressivi, ma probabilmente ll Prapò e il Brunate del 2013 che Alessandro ha portato lo dovevano sapere, perché mentre lui parlava degli ormai 55 ettari biodinamici e di tutto il resto a regime biologico, questi due vini si sono messi in testa di stupirmi, lasciandomi un ricordo indelebile e ci sono riusciti. Nasi che definire didattici è dire poco, tannicità viva ma elegante, vellutata. Due barolo di una incredibile profondità aromatica e gustativa, due esempi della grandezza spesso inarrivabile del nebbiolo.

Ma anche il Sangiovese non scherza e la dimostrazione è arrivata con Martino Manetti e la fine semplicità e profonda piacevolezza del Montervertine 2014.Mentre Martino ricordava Giulio con quel piglio toscano fatto di sana e scanzonata ruvidezza il vino sembrava accorgersi del “suo parlar aspro” e, quasi volesse scusarsi per la sana rusticità delle parole di Martino, diveniva mano a mano più elegante, lineare, giustamente austero e nobiliare.

Forte-Martino-Manetti-Stella-Viola-di-Campalto-Alessandro-Ceretto-Roberto-Voerzio-Tomaso-marrocchesi-Andrea-Costanti

Pasquale Forte all’inizio aveva deciso di non intervenire ma per fortuna ci ha ripensato e  ha parlato di sé  delle suoi desideri di ragazzo, della sua ribellione al padre, di come si è fatto da solo e di come ha “trovato pace” quando suo padre, ormai anziano, camminando assieme a lui a Podere Forte, gli ha espresso gioia per quel ritorno alla terra, a produrre vino. Anche questo è stato un momento toccante, in particolare per me che ho avuto modo di conoscere un po’ meglio questo importante capitano d’Industria, con in testa più idee, passione, amore per la vita, di un ragazzo di 20 anni.


Forte, Jacky Rigaux, LIdya e Claude Bourguignon.

Che dire ancora? Potrei parlare del mio caro amico Tommaso Marrocchesi di Bibbiano, anche lui con gli occhi rossi quando si tratta di ricordare Giulio, della grande lezione di “terra e di vita” di Claude e Lidya Bourguignon, della granitica presenza di Roberto Voerzio e dei suoi vini, della solare bontà del Rosso di Montalcino 2016 di Andrea Costanti, del Brunello 1979 di Giacomo Neri,un vino a cui mancava solo la parola a testimoniare come il Brunello possa nascere grande anche (e soprattutto?) nella più assoluta semplicità.

Dovrei parlare di tutti ma non riuscirei comunque a dire tutto, perché la giornata vissuta a Rocca d’Orcia ci ha regalato sensazioni che possono maturare solo se custodite, con amore, dentro di noi.

Bernard Bouvier

Chiudo il racconto di questa giornata, sembrata a tutti come una radiosa medicina per il cuore e lo spirito, accennando a vini che fanno questo di mestiere, tutti i giorni, quelli di Bernard Bouvier. Uno su tutti, lo stratosferico Marsannay Longerois 2012.

A Rocca d’Orcia io c’ero e sono felice di poterlo dire.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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