Sono stato in paradiso, cioè alla “Rencontres Internationales Henri Jayer”6 min read

La Borgogna è sicuramente il territorio enoico più di moda, più caro, più conteso, più amato, più idolatrato del momento. Ma non è sempre stato così se uno dei più grandi personaggi borgognoni, Henri Jayer, una ventina di anni fa sentì il bisogno di “chiamare a raccolta” produttori giovani e meno giovani, organizzando una due giorni dove ogni produttore parlava del suo modo di fare vino, lo proponeva in assaggio, ne parlava e  accettava critiche, consigli, complimenti.

Naturalmente, essendo Henri Jayer fermo sostenitore del biodinamico e comunque del modo naturale di fare vino, anche i produttori invitati dovevano condividere le stesse idee.

Jackie Rigaux

Dopo le primissime edizioni  Jayer decise di non far partecipare giornalisti, altrimenti lo scambio tra produttori non sarebbe stato aperto  e sincero sino in fondo. Prese così forma un evento  unico nel panorama degli eventi borgognoni (e non solo) che, dal momento della scomparsa del grande produttore  è continuato, anche  per ricordarlo ed è divenuto “Rencontres  Internationales Henri Jayer”. Lo organizza ogni anno Jackie Rigaux, grande amico di Jayer e giornalista impegnato da sempre nella difesa dei vini di territorio.

Jackie Rigaux ( al centro) con alcuni produttori e organizzatori dell’evento.

Come detto da anni non ammettevano ufficialmente giornalisti ma sono riuscito ad “imbucarmi”, grazie ad un fatto che spiegherò tra qualche giorno.

E così eccomi seduto a Chateau de Gilly assieme ad una trentina di produttori famosi o famosissimi ad ascoltare e cercare di comprendere (il mio è un “francese Arlequin” cioè a toppe) quanto più possibile di quello che viene detto.

Selosse, Deiss, Simonit e la potatura

 

elenco produttori partecipanti

Il tema di quest’anno  è la potatura e tra tanta Francia sono stato orgoglioso di trovare gli italianissimi  Marco Simonit e Massimo Giudici che presentavano  la loro idea di potatura a produttori di fama mondiale. Un’oretta di lezione, con tante domande e altrettante risposte e poi le Rencontres sono entrate nel vivo. Ogni produttore dell’elenco qua sopra (ad essere onesti uno o due mancavano, in compenso al loro posto c’erano aziende del calibro di Krug e René Bouvier) a turno si alzava in piedi e aveva tutto il tempo che voleva (di solito trenta minuti buoni ) per parlare della sua idea di vino e dei suoi tre vini che venivano serviti , nel frattempo, dagli altri produttori.

Non basterebbero fiumi di parole per spiegare le cose dette e cosa ho degustato, quindi cercherò di condensare i momenti salienti.

Anselme Selosse

Un momento scenografico assoluto è stato l’entrata in scena di Anselme Selosse con una pianta tagliata alla base e inchiodata su un asse, facendo vedere così a tutti i presenti come si pota una vite nella Champagne. Altro momento memorabile è stato l’intervento di Jean-Michel Deiss che, con la sua solita forza prorompente, ha affermato che in definitiva ben poca importanza ha il vitigno mentre la grande differenza la fa proprio il territorio: anzi, il vero modo per far emergere il territorio è avere un blend di vitigni piantati e non una sola varietà.

E il vignaiolo è quello che, tra l’altro, pota e innesta o reinnesta  le viti: se il primo tema è stato ben presentato da Marco Simonit al secondo ha pensato Claude Bourguignon agronomo e maestro di biodinamica, anche lui con una lezione che ha scatenato domande e commenti a raffica.

Jean-Michel Deiss

Non ricordo più chi ha detto che il bravo vignaiolo è colui che riesce a fare da tramite, da perfetto collegamento, tra il terroir e la sua espressione in bottiglia: una specie di “cavo telefonico” che collega direttamente la terra alla sua espressione in bottiglia.

Ricordo invece benissimo Pierre de Benoist, nipote  di Aubert de VIllaine e sostenitore a spada tratta del  Bouzeron  (100% Aligoté) sentenziare “Mi fanno un po’ ridere quando vengono da noi sommelier o giornalisti, annusano l’aligoté  e sono contenti solo se sa di fiori. Il terroir ha bisogno di tempo per esprimersi nel vino: se ad un vino non dai la possibilità di maturare e di esprimere quello che ha dentro, alla fine ti accontenti solo dei fiori al naso e non capisci il vino.”

A proposito di vino, di seguito troverete i miei “Coup de coeur” ma prima voglio ammettere che per un amante come me dei profumi del vino quello che mi ha colpito in tantissimi è stata la bocca: la straordinaria finezza di una materia che sembra, nei casi migliori, quasi rallentare o fermare il tempo mentre si dipana in bocca, così che il fortunato degustatore abbia la possibilità di comprendere tutti i pregi di un liquido dotato di prismatiche caratteristiche, che in un sorso è molto difficile scoprire interamente.

Parlando di rossi borgognoni tutto questo è permesso anche da un uso magistrale del legno, che mi verrebbe da definire parafrasando Moliere un “Convitato di velluto”, perché presente senza assolutamente interferire nella raffinatezza della trama tannica e dell’ordito aromatico.

Questo in genere per i rossi borgognoni, mentre nei non tantissimi bianchi degustati, anche di annate non recenti come il 1999, il legno diviene in molti casi un “Convitato di legno”, che indica con chiarezza una gamma aromatica quasi imperante.

Ma adesso veniamo ai vini.

 

Il primo vino che mi ha veramente fatto perdere la testa è stato lo Champagne Agrapart  Brut Nature EXP 12: chardonnay in purezza di una tagliente e complessa, profonda freschezza. Quasi infinito al palato.

 

Stranamente di Krug mi ha colto più il Brut 2002 del Clos du Mesnil dello stesso anno. Mi è sembrato uno Champagne estremamente potente, pieno, ma non pesante, con una sana “ruvidezza” che difficilmente si percepisce nei vini della Maison.

 

La quintessenza dell’Alsazia e della vulcanica personalità  di  Jean-Marcel Deiss si riassume in questo Schoenenbourg Grand Cru 2013. Una presenza in bocca memorabile, una riconoscibilità e complessità assoluta. Mi sono permesso di andare da Jean-Marcel e stringergli la manona. In risposta con l’altra manona mi ha dato una pacca sulle spalle da frattura scomposta.

 

Charmes Chambertin 2010, Thibault Liger Belair: semplicemente non credo si possa fare di più per permettere ad un vino  di rasentare la perfezione.

 

Il Jonata Winery La Sangre de Jonata 2015 Syrah, (California)  unisce immediatezza a concentrazione. Pepe e ciliegia in prima battuta, ottimo uso del legno. Tannini importanti ma dolci, dinamico. Un Syrah di altissimo profilo e di grande piacevolezza.

 

Domaine de Belliviére, Coteaux du Loir  Vieilles Vignes Eparses 2015, ovvero un vento freschissimo di primavera in un campo di fiori con api laboriose  che ronzano e “preparano”  dell’ottimo miele. Fosse un quadro sarebbe  stato dipinto da Pissarro, ma è un vino di una profondità e complessità assoluta, che ti fa immaginare questo e molto di più.

 

Ma torniamo ai rossi con la finezza impersonificata dal  Nuits-Saint-Georges, Les Saint Georges 2015 di Thibault Liger Belair. Un vino di una classicità disarmante con un palato vellutato e finissimo.

 

Tutta la frutta di bosco del mondo l’ho trovata nel Corton 2015 di Bonnay du Martray, con un palato concentrato, imponente, squadrato per quanto possa esserlo un grande Corton.

 

Chiudo col botto questa rassegna di sogni con un vino che mi ha fatto veramente sognare , il Gevrey- Chambertin Le Jeunes Rois 2010 di René Bouvier. Per descriverlo uso le parole di Thibault Liger Belair “Certe volte non trovare parole per descrivere la grandezza di un vino è il miglior modo per parlarne”. Non ho parole.

 

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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