Stampa estera a portata di clic: Wine Spectator, vol. 455 min read

Delle olive, parmigiano, pasta, un bicchiere di vino rosso, un fregio di marmo a forma di testa di leone, ecco l’Italia rappresentata dalla copertina di questo numero di WS particolarmente dedicato al nostro paese. Il titolo grande é appunto “La magia dell’Italia”,  seguito, sia pur con minor rilievo, da un altro titolo sempre “italiano”, Piemonte classic. C’é però anche un po’ d’America con i “California Rhones”, i vini provenienti da varietà del Rodano, particolarmente amate nell’area di Paso Roble, e poi , naturalmente, gli smart buys, ossia gli acquisti che uniscono qualità a prezzi moderati.

Non insisterò,  in questa nota, sul primo servizio, dedicato appunto all’Italia “magica”, nonostante sia quello a cui é dato maggior rilievo (anche nell’editoriale di presentazione del fascicolo), perché probabilmente d’interesse esclusivo del lettore americano, ma assai improbabilmente del lettore , anche non troppo avvertito, del nostro paese.

Un po’ troppo generico, pur se articolato in ben sei diversi articoli, ciascuno con un proprio focus regionale, ma nei quali il vino ha una presenza abbastanza marginale: una breve scheda nella quale sono elencate  alcune “recommended wineries” , I tips (suggerimenti) di un personaggio del mondo del vino, e basta. Per il resto largo allo shop, ossia agli acquisti, di specialità alimentari (cioccolato, formaggi, olio d’oliva) , ma anche boutiques di abbigliamento, artigianali . Le regioni analizzate? Milano e il Piemonte (insieme), Venezia e il Veneto, Bologna e l’Emilia-Romagna, Firenze e la Toscana, Roma e il Lazio, Napoli e la Campania. Ecco I  “ciceroni” italiani: nell’ordine, ciascuno per la propria regione, Gaia Gaja, Gianluca Bisol, Tommaso Chiarli, Albiera Antinori, Dominga Cotarella  e Piero Mastroberardino.

Mi soffermerò invece un po’ di più sulla vendemmia 2015 in Piemonte vista da WS e sui vini “del Rodano” californiani.

In realtà , mentre nel titolo di copertina si parla della classica annata 2015, nell’articolo si parla del 2015  nel Barolo e del 2016 nel Barbaresco, annate entrambe molto favorevoli ai grandi classici piemontesi. A condurre il lettore alla conoscenza dei grandi rossi langhigiani é Bruce Sanderson, attraverso una introduzione generale, corredata di una cartina schematica dei territori, e  uno sketch sulle ultime annate (dal 2007 al 2015): 95/100 la valutazione di WS all’annata 2015, come quella del 2007: leggermente al di sotto di 2010 e 2013, che  sono state valutate 97/100, e leggermente più in alto di 2008 e 2012 (94/100) e 2011 (93).   In fondo 2014 (92) e ancor più 2009 (90).

Nel 2015 un inverno innevato e le piogge primaverili hanno consentito di accumulare sufficienti riserve idriche per affrontare una estate molto calda. I vini sono fruttati, ricchi, ma equilibrate e vibranti: con buone possibilità di “aging”, ma già bevibili. Infatti il consiglio di WS é “drink or hold”, ossia da bere o conservare, diversamente dai vini di 2010 e 2013 che invece vanno attesi alcuni anni ancora. I Top Wines? Non c’é nessun altro vino ad affiancare il Monfortino di Giacomo Conterno, “solo al commando”, gratificato da un 99/100, ma a quota 97 segue un folto stuolo di Barolo, prevalentemente dell’annata 2015, e Barbaresco dell’ annata 2016 e di altre precedenti (la Riserva di Asili Falletto 2014 e Crichet Pajé di Roagna 2011).  Appena un punto al di sotto segue un altro gruppo abbastanza consistente dei due grandi langhigiani. Poi ci sono i Top Values, e tra questi, pur con qualche altro Barolo, c’é spazio per le altre varietà, soprattutto Barbera delle varie denominazioni e territori e persino un paio di Dolcetto (91/100 per il Dogliani La Costa 2015 di Chionetto).

Napa Valley

Ed eccoci ai rodaniani di California. Dapprima é Tim Fish a presentare l’annata 2017: decisamente “challenging”, ma alla fine non indegna, nonostante le molte preoccupazioni, leggermente meglio a Paso Roble e Santa Barbara: punteggi tra 88 e 92/100, la peggiore performance dal 2012. Le condizioni climatiche estreme (primavera molto umida, dopo anni di siccità ,  poi caldo torrido in estate) e gli incendi hanno avuto la loro parte nel determinare  questi esiti piuttosto deludenti: i produttori hanno fatto quello che hanno potuto. L’esperienza dei vigneti circondati dalle fiamme , come ha testimoniato Carol Meredith, che col marito Steve Lager ha proprietà su Mount Veeder, é stata terrificante. “A salvarci- ha detto-é stato il timing, perché avevamo già finito di vendemmiare e il nostro raccolto era già  nei fusti”. Tra I vini migliori, la posizione di vertice, per Fish, é toccata a un blend di grenache, syrah, mataro e carignan di Paso Roble, nel Willow Creek District, di Saxum (95/100), seguito da una decina di altre cuvée, tra le quali altre due dello stesso terroir e dello stesso produttore a quota 94.

Il servizio di Fish é completato da un articolo dedicato a Tablas Creek, la winery nata da una joint venture della famiglia Perrin (del Domaine de Beaucastel, star di Châteauneuf-du-Pape) e l’importatore Robert Haas, un progetto che ha inizio nei primi anni ’70. Oggi Tablas Creek , a 5500 miglia da Châteauneuf-du-Pape, é una delle cantine più rappresentative del “Rhone style” californiano di Paso Roble. A Tablas Creek si producono rossi, bianchi e anche un rosé da varietà tipiche del Rodano meridionale. L’ assaggio dei rossi della difficile vendemmia 2017 e dei bianchi del 2018 conferma una elevata qualità: tutti i vini hanno superato la soglia dei 90 punti, con I rossi più importanti a 93/100.

Che cosa resta? Oltre alla Buying Guide che occupa la sezione finale della rivista (molti vini langhigiani nelle vetrine dei “Collectibles” e degli “Highly Recommended”), e alle numerose rubriche di GrapeVine, la selezione degli Sweet spot del Nuovo Mondo fatta da Keith Newton e le pagine dei columnist (Markus sugli chardonnay di Lee Hudson, e Molesworth sulla rinascita dello Chateau La Gaffelière).

Guglielmo Bellelli

Nella mia prima vita (fino a pochi anni fa) sono stato professore universitario di Psicologia. Va da sé: il vino mi è sempre piaciuto, e i viaggi fatti per motivi di studio e lavoro mi hanno messo in contatto anche con mondi enologici diversi. Ora, nella mia seconda vita (mi augurerei altrettanto lunga) scrivo di vino per condividere le mie esperienze con chi ha la mia stessa passione. Confesso che il piacere sensoriale (pur grande) che provo bevendo una grande bottiglia è enormemente amplificato dalla conoscenza della storia (magari anche una leggenda) che ne spiega le origini.


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