Quando il Chianti Classico si vendeva “En Primeur”2 min read

Quando parli con persone come Nanni Montorselli, vera e propria memoria storica del Chianti Classico che al lavorato al Consorzio del Gallo Nero dal 1968 per ben 37 anni, scopri cose incredibili, storie meravigliose, aneddoti succosi.

La storia della vendita en primeur del Chianti Classico non posso fare a meno di condividerla con tutti perché è troppo bella e fa pensare.

Nanni Montorselli

Da un punto di vista enologico il 1970 è lontano secoli: nel Chianti si stava uscendo definitivamente dalla mezzadria, le aziende che vendevano con etichetta propria non superavano la cinquantina ed erano per buona parte imbottigliatori, spesso di vini non certo irreprensibili in fiaschi. Le strade erano quasi tutte bianche e molte cantine avevano il pavimento in terra battuta e neanche la luce elettrica. Eppure, anche se lentamente le cose stavano cambiando, ma ben pochi avevano una visione che andava oltre le belle colline chiantigiane. Ma c’era qualcuno che cercava di andare oltre.

Nel Consorzio del Vino Chianti Classico, che aveva ottenuto la DOC da pochi anni  (1967) si pensò di organizzare, addirittura, una vendita en primeur.

Nel 1970, per tre anni, il Consorzio del Chianti Classico organizzò al Castello di Spaltenna una vendita en primeur di Chianti Classico, strutturata più o meno come quella storica dell’Hospices de Beaune. Si battevano all’asta non pièces ma o botti da 30- 40-50 quintali o una parte di queste botti. La trance minima era di 1000 bottiglie da 0.75 cl, che venivano consegnate dopo 36 mesi. Il Consorzio garantiva le bottiglie e la loro tenuta fino al momento della consegna. Il primo anno vennero aggiudicate a 600/700 lire l’una mentre negli anni successivi si arrivò anche alle 1000 lire a bottiglia. Dopo tre anni la cosa finì, non certo per mancanza di acquirenti ma, afferma Nanni, per incomprensioni tra produttori e con il mondo politico locale che non dette certe una mano.

Asta Hospices de Beaune

Pensate se più o meno un mese fa si fosse svolta la “Cinquantesima vendita en primeur del Chianti Classico” con il ricavato che magari sarebbe stato messo a disposizione per curare i malati di Covid. Non sarebbe stata una bella cosa? Nel tempo avrebbe certamente fatto parlare di questo territorio, e forse avrebbe anche influito sul modo di fare vino, perché vendere del sangiovese appena fatto, specie se con estrazioni accentuate, non è certo come proporre del pinot nero.

Inoltre si sarebbe forse posta maggiore attenzione nella diversificazione per vigneti, proprio per proporre dei lotti con caratteristiche particolari e, last but not least, si sarebbe moderato, specie in certi periodi, l’uso del legno.

Aldilà di questo sarebbe sicuramente servito per innalzare il prezzo del vino e dare maggiore consapevolezza ai produttori, specie nei periodi più critici.

Ma purtroppo la cosa è morta sul nascere ed è inutile piangere sul vino versato.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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