La strana guerra tra Borgogna e Beaujolais6 min read

Il contestatissimo progetto dell’INAO, l’Ente francese che disciplina le denominazioni dei vini, che tanto ha allarmato i vignerons borgognoni spingendoli a una protesta che, pur senza violenze,  ha ricordato quella per la temuta riforma delle pensioni, è stato ritirato, e tanto basta a tranquillizzare gli animi, anche se non del tutto.

Ma di che si è trattato?

Il sistema gerarchico delle appellations borgognone è abbastanza noto. Si parte dal livello più basso e più generico, quello delle appellations regionales, che pure copre la metà della produzione di vini della Borgogna (48%), ad esso seguono le 44 AOC Villages, identificate dal nome di un dato comune, come Gevrey-Chambertin (39%). Il restante 13% è coperto dalle appellations di qualità superiore: i Premiers Crus (11%), che conservano il nome del comune  di provenienza, ma con l’aggiunta del climat nel quale sono situate le parcelle da cui vengono prodotti (ad es. Gevrey-Chambertin Premier Cru Les Amoureuses) , e i Grands Crus (2%), che riportano il solo nome del climat.

Ma torniamo alle  appellations regionales. I Borgognoni non amano la vita semplice, perché , accanto all’AOC più generale di tutte (Bourgogne rouge, blanc e, in quantità assai più limitata, rosé), ve ne sono numerose dette complementari e sono 14.

L’appellation Bourgogne (blanc o rouge) è la più ampia possibile, comprendendo  la quasi totalità della “Grande Bourgogne”: 54 comuni del Dipartimento della Yonne, che comprende anche Chablis,  91 di quello della Côte d’Or, 154 del Dipartimento di Saône-et-Loire (Côte Chalonnaise e Maconnais), e -udite udite- 85 del Dipartimento del Rodano,  cioè molti comuni del Beaujolais.

Da dove nasce il problema? Dal fatto che, assecondando una richiesta dei vignerons di quest’ultima regione, il nuovo regolamento si proponeva di incorporare 43 comuni del Beaujolais che non ne facevano parte, ma tagliando una buona porzione dei comuni della Borgogna settentrionale, tra i quali l’intero Chablisien, sei comuni intorno a Dijon- la capitale storica della Borgogna-  e 23 comuni dello Chatillonais.

In pratica  64 comuni della Borgogna, 7000 ettari di cui 5500 piantati con vigne sarebbero stati di colpo esclusi dalla AOC Bourgogne, e avrebbero dovuto accontentarsi  della poco conosciuta appellation Coteaux Bourguignons, entrata in vigore appena qualche anno fa, includente anche il Beaujolais.

Come sventolare un drappo rosso davanti agli occhi di un toro. Il danno economico per i vignerons interessati sarebbe stato enorme, e difatti la reazione è stata violenta e immediata. Più di 400 vignerons borgognoni si sono mobilitati  giovedì scorso praticamente assediando la sede dell’INAO a Montreuil che avrebbe dovuto discutere il progetto di riordino.

Sinceramente l’INAO non ne esce molto bene, nonostante le buone intenzioni di affrontare il problema facendo ricordo  a criteri oggettivi,  mostrando una sottovalutazione dell’atmosfera bollente e procedendo con un approccio fondamentalmente burocratico, senza consultare i produttori. Bisogna  ammettere che non era facile adottare dei criteri univoci. E Poi quali? I suoli? Più diversi tra loro non potrebbero essere. Le uve? Anche se in un passato non lontano, agli inizi del XX secolo,  le vigne meno nobili della Côte d’Or erano piene del più produttivo gamay, oggi  vi dominano  incontrastati il pinot noir  e lo chardonnay. Una questione di geografia? Da Chablis a Villefranche-sur-Saône, c’è un bel po’ di strada, ma la prima dista da Beaune più di quanto disti quest’ultima, e da essa non manca poi molto ad arrivare ad Epernay, nella Champagne .

E difatti Chablis, nonostante la  sua reputazione, sempre ritenuta però dai borgognoni inferiore a quella di Meursault e Montrachet, è stata per lungo tempo accomunata maggiormente  alla Côte d’Auxerre.

In realtà, come osserva con franchezza anche Michel Bettane, il vero criterio regolatore è rappresentato dal commercio, che, nel corso del tempo, ha già infiltrato diversi (e non sempre ragionevoli) compromessi. Ma più che Chablis, sulla quale si è  soprattutto insistito da parte della stampa internazionale, e dei territori meno conosciuti (la zona nord di Dijon e lo Chatillonais, grande produttore di Cremants de Bourgogne), il vero caso cruciale è rappresentato dal rapporto cruciale con il Beaujolais.

“Ceci est une pomme?”  domanda nella sua petizione Identité Bourgogne  all’INAO, mostrando l’immagine di una pera, e invocando la difesa del rispetto della nozione di denominazione di origine, e il rispetto dell’identità dei vigneti della Borgogna e del Beaujolais. “Vive la Bourgogne, Vive le Beaujolais, Non au Bourgogne dans le Beaujolais”la parola d’ordine.

Ma il Beaujolais fa parte o no della Borgogna?  E’ una bella domanda. Storicamente il Beaujolais non ha mai fatto parte della Borgogna, ma ricadeva piuttosto sotto l’influenza di Lyon, e, dal punto di vista geologico i suoi suoli granitici non hanno nulla a che vedere con quelli della Côte d’Or e della Côte Chalonnaise.

Tuttavia i rilievi del Beaujolais  appaiono un naturale prolungamento di quelli del Maconnais, e, in quest’ultimo, oltre all’onnipresente chardonnay, l’uva a bacca nera preferita è il gamay piuttosto che il pinot noir.

L’integrazione del Beaujolais nella Borgogna ha fatto poi un ulteriore passo avanti con l’istituzione dell’appellation Coteaux Bourguignons, nella quale l’assemblaggio tra gamay e pinot noir è la regola. Ma la ragione più potente che collega Borgogna e Beaujolais è rappresentata dal commercio, dal momento che i négociants di Beaune e Nuits-Saint-Georges controllano la maggior parte della commercializzazione dei vini di Beaujolais.

Ora, caduto il vento che aveva spinto la fama internazionale  del Beaujolais Nouveau, la possibilità di fregiarsi della denominazione di Bourgogne blanc o rouge (non importa se quella di livello più basso delle AOC borgognoni ma in costante ascesa)  appare una ghiottissima opportunità per i produttori della regione.  Ma anche una grande minaccia, per i vignerons borgognoni,  che vedono in questo provvedimento il rischio di uno spostamento verso sud della produzione di vini con appellation régionale e un abbassamento della qualità.

Nel caso del Bourgogne blanc, ad esempio, attualmente  ci sono circa 1.300 ettari, ma , a termine, il Beaujolais potrebbe averne altrettanti inflazionando il mercato di questo vino. Lo scorporo ( in loco se ne parla come una “amputation”) dei 64 comuni del Nord della Borgogna, ormai scongiurato, avrebbe al contrario rappresentato un danno gravissimo ai vignerons che hanno investito , specie negli ultimi anni, in questa direzione.

Caduta la proposta, che sarà del futuro dell’appellation? Il suggerimento di compromesso di Bettane mi sembra ragionevole. Conservare i villaggi che già ne fanno parte, aggiungerne eventualmente alcuni, possibilmente quelli i cui suoli mostrino un qualche potenziale, fissando nel contempo delle regole di produzione più severe, con l’impegno dei vignerons di rispettare ogni anno un cahier de charge più vincolante.

Ciò che consentirebbe anche di migliorare il livello generale della denominazione, che già oggi mette insieme vini molto eterogenei, che vanno da livelli di poco superiori a quelli dei vini ordinari, ad altri molto interessanti, provenienti da vigne valorizzate dall’impegno dei vignerons, che sembrano avvicinare il livello dei villages.

 

Cartina Beaujolais di http://www.loscaffaledelvino.com/  che ringraziamo.

Guglielmo Bellelli

Nella mia prima vita (fino a pochi anni fa) sono stato professore universitario di Psicologia. Va da sé: il vino mi è sempre piaciuto, e i viaggi fatti per motivi di studio e lavoro mi hanno messo in contatto anche con mondi enologici diversi. Ora, nella mia seconda vita (mi augurerei altrettanto lunga) scrivo di vino per condividere le mie esperienze con chi ha la mia stessa passione. Confesso che il piacere sensoriale (pur grande) che provo bevendo una grande bottiglia è enormemente amplificato dalla conoscenza della storia (magari anche una leggenda) che ne spiega le origini.


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