Degustazioni Franciacorta: grande diversità tra tipologie5 min read

E siamo arrivati alla Franciacorta! Quasi trecento campioni degustati ( a proposito, grazie al Consorzio che ci ha ospitato e organizzato perfettamente gli assaggi) ci permettono di fare un quadro preciso su questa denominazione che potremmo definire “dalle  tinte forti”.

Le tinte forti non si riferiscono certamente alla morbidezza del territorio e alla calma degli abitanti ma al fatto che difficilmente l’immagine della Franciacorta è ammantata di toni grigi: è una denominazione che  si ama o si ama, questo sia fra  i consumatori che fra gli addetti ai lavori.

Anche i nostri articoli in passato hanno avuto “tinte forti” ma, anno dopo anno, conoscendola sempre meglio, crediamo che non sia più il caso di amare o odiare, ma semplicemente di cercare di conoscere al meglio la più importante realtà spumantistica italiana.

Per fare questo cerchiamo di mediare tra i pro e i contro.

C’è chi afferma che il territorio è piccolo, delimitato e  non ha possibilità di avere vigneti ad altezze che,  con l’aumento delle temperature medie, sarebbe importante avere . Questo può essere vero, ma ci sono territori  viticoli che a prima vista non sembrano vocati (non fatemi fare nomi…) o perché sono in  terreni pianeggianti, oppure  vicini al mare, o perché in passato vi si coltivava altro in forma più o meno intensiva, che però danno vini e risultati di assoluto rilievo.

Chi dice che in Franciacorta si fanno troppi trattamenti e si rischia di fare un vino poco “naturale”. Chi lo dice forse non ha mai visto fare trattamenti in Champagne, nella Mosella  o in altre zone italiane, dove si arriva anche a 25-30 trattamenti in annate particolari.

Chi fa notare come la zona sia cresciuta molto e i vigneti siano impiantati ovunque, anche in zone non molto vocate. Prima di dire che una determinata zona sia più o meno vocata aspettiamo che la vigna arrivi ad avere mediamente almeno 30-35 anni e poi parliamo.

D’altro canto bisogna ammettere che da un punto di vista di marketing in Franciacorta la sanno lunga, partendo dalla nascita del Satén  e riuscendo a creare un immagine chiara, netta, assolutamente riconoscibile.

Oltre al marketing sono bravi anche tecnicamente (in vigna e in cantina) e questo vuol dire aver girato per il mondo delle bollicine mondiali, aver appreso tanto e quel tanto messo in pratica con successo, anche avendo contro  una serie di vendemmie non certo eccezionali come le ultime  4-5.

Potremmo andare ancora avanti con questo giochino al massacro o alla beatificazione, ma fondamentalmente la Franciacorta ha il pregio non indifferente di sapere perfettamente che cosa deve fare per produrre delle buone bollicine e, in attesa che le vigne diventino più vecchie e magari il clima più fresco, lo sta facendo  abbastanza bene.

Lo ha dimostrato anche quest’anno, con una qualità media piuttosto alta, anche se con grandi diversità tra tipologie.

Vediamole una per una, partendo dai meno dosati (pas dosé e extra brut)  per poi passare ai Brut, ai Satén e ai Rosé nel prossimo articolo.

Pas dosé

Era la tipologia dove da qualche si concentravano i migliori vini, sicuramente in crescita numerica di etichette e questa crescita la sta in qualche modo penalizzando, perché  dosare un vino spumante è in qualche modo dotarlo di paracadute nella sua discesa verso la bocca del consumatore finale. I non dosati questo paracadute non ce l’hanno e quando il mercato chiede un vino del genere e non sia hanno le vigne e la maestria per farlo il rischio è quello di fare un vinello esile, basato solo su una maggiore  freschezza.

Per questo i nostri assaggi hanno avuto un risultato ben chiaro, spiegabile con alcuni numeri: solo 4 dei 27 vini che hanno ottenuto almeno 3 stelle ( per la cronaca il 52% del totale dei pas dosé degustati) sono senza annata: gli altri sono tutti millesimati. Dobbiamo anche dire che questa è la tipologia dove i millesimati sono percentualmente la stragrande maggioranza, ma i pas dosé senza annata ci sono sembrati quasi sempre poco incisivi.

Sinceramente anche i millesimati non ci sono sembrati mediamente di altissimo livello, ma la differenza con i senza annata  è abissale:  la forbice tra le due tipologie è talmente ampia da consigliare senza mezzi termini di puntare nel 99% dei casi su dei millesimati e comunque  su vini che abbiano almeno 18-24 mesi di sboccatura.

Il successo di questa tipologia, se non a trovare una quadra e a dire no al mercato, potrebbe essere il suo principale nemico, costringendo sempre e comunque a sfornare prodotti (qui ci riferiamo anche a millesimati giovani o da annate non di livello) anche quando non sarebbe il caso.

Extra Brut

La tipologia Cenerentola degli anni scorsi si è questa volta mostrata più grintosa e soprattutto con una qualità media veramente elevata.

Qualità anche qui dovuta molto ai millesimati ma  i s.a. hanno messo in mostra qualcosa in più rispetto ai cugini non dosati e soprattutto rispetto agli altri anni. Intanto si passa dal 52% dei vini con almeno 3 stelle tra i pas dosé al 66.5% degli extra brut e scusate se è poco. Qui ( da notare che la tipologia è divisa praticamente a metà tra millesimati e non) che queste percentuali vanno certamente prese con le molle, perché gli extra brut degustati erano sono 30 e i pas dosé 52, ma rispetto agli altri anni c’è comunque un tangibile miglioramento, sia di qualità media sia di qualità dei non millesimati.

Sinceramente non sappiamo a cosa sia dovuto, forse proprio al successo inferiore della tipologia, che permette ai produttori di uscire con calma, ma non sottovalutiamo le possibilità di un mondo dove il dosaggio è minimo e quindi molto rispettoso delle caratteristiche dell’uva,  ma può essere fondamentale per conferire ampiezza e profondità ai vini.

Dicevano che in questa tipologia abbiano diversi non millesimati  che hanno ottenuto punteggi interessanti: detto questo la forbice tra questi e i millesimati è sempre abbastanza ampia, ma siamo di fronte ad una forbice tendenzialmente benigna, dove anche nel lato meno positivo ci sono vini di alto profilo.

 

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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