Come è accaduto lo scorso anno i nostri assaggi dei bianchi etnei hanno spaziato in quattro vendemmie, partendo dal 2018 e arrivando al 2021. Un range indubbiamente ampio, che magari non ci permette di fare un punto anno per anno ma sicuramente ci pone davanti un quadro limpido riguardo a questa denominazione, sempre più ricercata e sicuramente in crescita qualitativa. La crescita quantitativa è invece documentata grazie ai dati forniti dal consorzio che mostrano un aumento dell’imbottigliato nel primo semestre del 2021 del 37% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.
Un balzo indubbiamente importante e giustificato dalla qualità dei vini, in particolar modo da quel Carricante che fa la parte del leone in ogni Etna bianco. Un vitigno che sfrutta al meglio le altezze a cui è piantato e nello stesso tempo approfitta del calore del sole siciliano. Ma l’Etna è un mondo strano e assieme al sole caldo si hanno anche molte precipitazioni con i rischi agronomici che si portano dietro.
I vini che nascono e che anche quest’anno abbiamo degustato grazie all’aiuto del Consorzio Vini Etna DOC, hanno caratteristiche precise: acidità importante o molto importante, austerità gustativa, corpo dinamico, sapido (in qualche caso proprio salino) e concreto, alcol mai alto (la maggioranza si colloca tra 12° e 13°), profumi floreali e minerali fini, eleganti, poche volte con note fruttate mature che riportano a tanti vini che nascono dal “Manzanarre al Reno”.
Questo in generale, ma bisogna anche far presente che sta diventando più di una moda quella dell’affinamento o della fermentazione in legno che, in diversi casi, più che aiutare il vino dandogli grassezza, lo appesantisce, bloccandone (non si sa per quanto tempo) lo sviluppo. Se poi ci aggiungiamo che in qualche caso l’apporto di solforosa e troppo marcato ecco spiegato il perché di alcuni campioni non certo all’altezza del gruppo dei migliori. Questo gruppo è comunque folto e anche quest’anno ci ha mostrato belle sorprese e tante conferme, considerando che oltre il 70% dei vini ha ottenuto più di 80 punti, che per noi non sono pochi.
Come sono andati bene gli Etna Rosato, che l’anno scorso non ci avevano convinto molto. Non ne abbiamo degustati molti ma abbiamo trovato quasi sempre nasi molto “vulcanici” che magari non si aprono subito e mostrano le note fruttate dopo un po’ di tempo dall’apertura, per questo avrebbero bisogno di essere serviti a temperature più alte rispetto al normale. Grazie alla loro austera acidità sono vini che possono andare avanti per qualche anno e i grammi di zucchero residuo che ogni tanto si sentono sono ben dimensionati e integrati nel vino. Un bel modo di declinare il rosato, non in sottrazione ma “in liberazione” delle caratteristiche di uve che nascono a queste altezze e a queste latitudini.
In chiusura due punti importanti. Il primo ci è caro da sempre e sinceramente non riusciamo a capire come, anche aziende che sono e si dichiarano biologiche, possano continuare a usare bottiglie così pesanti.
Una sola cantina tra tutte quelle di cui abbiamo assaggiato i vini ha una bottiglia leggera, tutte le altre usano vetri estremamente e inutilmente pesanti, che inficiano quanto di biologico e sostenibile viene fatto in vigna e in cantina. Manca completamente sensibilità in questo campo e speriamo che il consorzio, almeno, possa in qualche modo “avvisare” i produttori che l’uso di bottiglie pesanti è semplicemente un modo per inquinare di più.
L’ultima cosa riguarda i prezzi dei vini, spesso veramente alti. Capiamo che lavorare sull’Etna non è come farlo in una docile pianura però l’Italia è piena di bianchi, anche più famosi, fatti in zone impervie, che costano meno, anche molto meno. Se i clienti accettano questi prezzi no problem, ma indubbiamente si rasenta il prezzo “di affezione”, poco attaccato alle regole del mercato.
Qualcuno si domanderà “E gli Etna Rosso e Spumante?” Tranquilli, al momento che parleremo di rossi e di bollicini erriveranno anche loro.