Campania Stories: eccovi i rossi!5 min read

Amo il Taurasi, amo il Taurasi, amo il Taurasi, amo il Taurasi, amo il Taurasi…” e avanti così ripetendo la stessa frase per 500 volte. Questo è il mio training autogeno prima di mettermi a degustare i rossi campani a Campania Stories, dove il Taurasi è naturalmente il vino più atteso.

Purtroppo con questo vino ho  un rapporto complicato, trovandolo spesso “volutamente eccessivo”: cioè un vino estremamente concentrato, dotato di tannicità dirompente accentuata dall’apporto del legno, perennemente  giovane e incompiuto, senza grande complessità negli aromi terziari. Insomma un modo di interpretare l’aglianico più da GROSSO vino che da GRANDE vino. Come sarà andata quest’anno?

Per prima cosa però vediamo a grandi linee come sono andati gli altri rossi che compongono il variegato panorama regionale. Partiamo da quello che è veramente un mio grande amore, il piedirosso, che specie nei Campi Flegrei sta veramente superando ogni aspettativa. I 2016 hanno complessità, freschezza e corpo da vini di vaglia, mentre i 2015 e 2014 dimostrano che questo è un vitigno che può tranquillamente maturare per anni.

Da una zona vulcanica all’altra, dai Campi Flegrei al Vesuvio, dove si notano  miglioramenti generalizzati con punte di assoluto valore: lo stesso miglioramento che ho visto nei vini a base pallagrello nero, anche se ancora non esiste una linea precisa o comunque una coerenza aromatica tra i vari produttori.

E veniamo al grande mondo dell’aglianico che conferma  i notevoli progressi fatti dai vini del Sannio e dalle denominazioni più allargata dell’Irpinia, come Campi Taurasini e Irpinia Aglianico. Oramai, sia per come riescono a declinare le componenti aromatiche del vitigno, spaziando dall’immediatezza fruttata alla complessa profondità, sia per come gestiscono al meglio la componente tannica, portando a compimento vini che uniscono corpo ad un’elastica potenza, possono essere messi alla pari di tante blasonate denominazioni del centro e del nord. Il mercato, sempre più portato verso vini “smart” non può non scoprirli e goderseli, visti anche i prezzi di vendita.

Ed eccoci al Taurasi, cioè a quello che per moltissimi produttori è il fiore all’occhiello della Campania. I vini degustati spaziavano dal 2013 al 2007: un arco notevole di annate, difficile da riassumere in poche righe. In generale ho trovato un uso migliore del legno, specie nei vini del 2013, dotati di un buon allungo e di una interessante freschezza che permetterà loro interessanti evoluzioni. I 2012 e i 2011 sembrano adesso un po’ troppo “bloccati” nelle loro alcolicità e potenze, che cominciano a distendersi andando avanti negli anni, specie con i 2008. Diciamo che  riesco a intravedere un leggero cambiamento di stile in questi vini, che gli permetterà di perdere di peso ma di guadagnare in mobilità, elasticità e soprattutto complessità. Ancora il peso massimo non è passato alla categoria  mediomassimi, ma almeno ci sta pensando.

E adesso, fermo restando che le nostre degustazioni dovranno essere completate e non usciranno prima dell’autunno, eccovi qualche segnalazione puramente personale, quelle che i francesi chiamano “coup de coeur”

Partiamo dai  Piedirosso, che soprattutto nei Campi Flegrei  hanno presentato dei 2016 da urlo. Oramai la classica nota di pepe è diventata una delle tante che formano un bouquet complesso e armonico, dove la frutta di bosco si sposa a note che arrivano sino al cacao. Vini che non hanno bisogno di legno per emergere e anche dove il legno si usa non si sente. Su tutti un immenso Campi Flegrei Piedirosso di Agnanum, seguito  dal Settevulcani di Martusciello e dal Colle Rotondella di Astroni. Ma il bello del Piedirosso è che può invecchiare bene per anni, anche se molti non lo sanno: basta assaggiare il Vigna Madre 2015 di La Sibilla per rendersene conto.

Sul fronte vesuviano ho trovato come sempre  Sorrentino sugli scudi, con uno stratosferico Vigna Lapillo 2015, anche se Casa Setaro, con il suo Don Vincenzo 2014 mostra come si possano fare grandi prodotti anche in annate difficili. Due citazioni anche per i pallagrello rosso, con il buonissimo Sabbie di Sopra il Bosco 2016 di nanni Copè e il moderno e avvolgente Pallagrello Nero 2015 di Vestini  Campagnano.

Entro così  nel grande mondo dell’aglianico “passando” dal Sannio, dove il Cesco di Nece 2015 di Mustilli  è veramente il modo per unire la potenza del vitigno con la piacevolezza. Molto buono anche il Manent 2015 di Terre Stregate ma, se mi permettete il gioco di parole, non si può non rimanere stregati dal Grave Mora 2011 di Fontanavecchia: un vino con tutti gli attributi del caso!

Passando in Irpinia mi piace citare per primo il il Santa Lucia 2014 della Cantina dei Monaci, seguito a ruota dal Vigna Quattro Confini di Benito Ferrara 2015  e dal Cretarossa 2012 de I Favati: tutti vini di estremamente godibili, dotati di complessità  e profondità. La dimostrazione di come l’aglianico possa, a prezzi molto abbordabili, dare grandi soddisfazioni sia da giovane che con degli anni sulle spalle: una strada da seguire.

Tra i Taurasi dell’ultima annata in commercio emerge la spettacolare complessità aromatica e la  “ruvida eleganza” del Puro Sangue 2013 di Luigi Tecce  seguito dalla moderna eleganza del Candriano 2013 di Feudi di San Gregorio: due vini che nascono da idee completamente diverse ma che alla fine giocano, benissimo, nella stessa squadra. Andiamo avanti un bel po’ con gli anni per arrivare ad una certezza, il Taurasi Riserva 2008 di Perillo, vino dotato di masticabile potenza, di tannicità dolce ma ferma, di aromi terziari (cioccolato, tabacco) di notevole livello.

Non resta che dire grazie a Miriade & Partners per, ogni anno, prendersi sulle spalle il vino campano e “traghettarlo” dalla parte della stampa italiana e estera. Sia la regione, sia noi giornalisti, dobbiamo  molto a Diana, Massimo e a tutti gli altri della giovane squadra.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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