Degustazioni Franciacorta DOCG: una situazione piuttosto complessa5 min read

Parlare di Franciacorta DOCG dopo quasi 400 vini degustati può sembrare facile ma non lo è. Facile è ringraziare il Consorzio per averci ospitato per una settimana di assaggi, ma creare un quadro complessivo chiaro ci mette davanti alcuni ostacoli non proprio facili da superare.

Cerchiamo di aggirarli partendo dalle caratteristiche del territorio franciacortino che  si sviluppa ad altezze sul mare tra i 200 e i 350 metri: forse il punto più alto della denominazione è il Monte Orfano, che arriva a 450 metri (e dove infatti sono stati piantati dei vigneti) ma gran parte del vigneto Franciacorta è fra i 250 e i 350. L’aumento delle temperature  ha certamente creato problemi, specialmente negli ultimi 7-8 anni e altri problemi sono giunti da gelate primaverili e grandinate anche in prevendemmia.

Parlando con tecnici locali, quando il discorso casca sugli andamenti vendemmiali degli ultimi 6-7 anni le facce non sono certo allegre e personalmente credo (ma non sono un agronomo) che il problema più grande sia quello non solo dell’accorciamento dei tempi dalla  fioritura alla vendemmia ma anche dell’anticipo di questi tempi, che da una parte portano a beccare gelate con la pianta non più in fase di riposo e dall’altra a ridurre i tempi di maturazione.

Non essendo agronomo non vado oltre. Doverosamente bisogna anche annotare che in questo periodo la “mano enologica” franciacortina è nettamente migliorata, partendo dal fondamentale momento della pressatura in poi.

Ultimo cambiamento  che voglio registrare è quello relativo al marketing con la moltiplicazione delle etichette, che ha portato in alcune tipologie  delle aziende ad avere anche  3-4 vini senza realmente capirne il senso.

Tutti questi cambiamenti hanno portato inevitabilmente a profili e risultati diversi  rispetto al passato.  In generale quello che potremmo dire è una generale mancanza di peso di tanti Franciacorta, in particolare tra i senza annata. Stiamo parlando della  creazione di un netto scalino tra le tipologie dei vini senza annata, con da una parte pas dosé e extra brut e dall’altra Brut, Saten e Rosé.

Se tra i primi due si trovano  (più tra gli extra brut che tra i pas dosé ) la stragrande maggioranza di vini abbastanza equilibrati, con freschezza e profumi interessanti, tra Brut, Saten e Rosé il discorso cambia moltissimo.

Vi diamo due dati:  il 50% dei Saten, il 56% dei Brut e addirittura il 76% dei Rosé senza annata non arrivano ai nostri 80 punti, mentre tra le altre due categorie questo dato scende repentinamente sotto al 40%. Sembra proprio che vengano dedicate a queste due tipologie uve e attenzioni diverse: possiamo capire che i Rosé s.a. paghino delle condizioni climatiche non eccelse per il pinot nero, che i Saten stentino ancora a trovare una propria strada precisa, ma dal vino base e basilare per la denominazione, cioè il Brut senza annata ci aspettavamo di più.

Tra i millesimati i discorsi cambiano un po’.

Da un punto di vista qualitativo la tipologia che spicca ancora e quella degli Extra Brut, dove ben il 78% dei Franciacorta degustati ha ottenuto risultati soddisfacenti o molto soddisfacenti. Questa vini si confermano, anno dopo anno la vera punta qualitativa della denominazione, quella dove troviamo ampiezze aromatiche e profondità gustative,  quelle che fino a 2-3 anni fa avevamo tra i pas dosé

Per quanto riguarda i pas dosé la prima cosa da constatare è che ormai per i produttori franciacortini questa è la tipologia regina per i millesimati, dato che ne abbiamo degustati quasi più del doppio rispetto ai Brut millesimati (che in passato spopolavano)  e agli extra brut.

Il fatto di aver puntato nettamente  sui Pas dosé millesimati per rappresentare il top della denominazione per noi rappresenta anche un rischio, specie in annate non proprio baciate dalla fortuna. La prova provata è che, al momento dell’assaggio, non c’era praticamente scalino qualitativo tra i pas dosé senza annata e i fratelli maggiori millesimati. Questo probabilmente perché i primi possono avere un uvaggio tra annate più “malleabile” e così  sopperire ad eventuali problemi con più facilità rispetto a chi deve rispettare in maniera più stretta il dettato dell’annata.

Venendo ai Brut Millesimati, da cui (come con i fratelli minori senza annata) ci saremmo aspettati di più , quello che veramente mancata è una complessità aromatica  importante, magari anche a scapito di una nitida freschezza. Le gamme floreali e fruttate sono nette, il legno(quando c’è)  ben dosato, ma sentiamo la mancanza di quelle profondità olfattive che diversi anni fa erano alla base dei millesimati Brut e che ora sembrano perse e quasi rinnegate per seguire freschezza e verticalità.

Sul fronte dei Saten millesimati che dire? Oltre al fatto che praticamente la stessa percentuale  di vini rispetto ai s.a. ha ottenuto almeno 80 punti, c’è da dire che  i migliori sono molto diversi l’uno dall’altro e questo denota e conferma che ancora una strada precisa non è stata trovata. I top di gamma sono indubbiamente molto piacevoli ma qualche rondine non fa primavera.

Se per i Saten millesimati abbiamo usato la parola primavera per i Rosé millesimati siamo più sull’autunno. Ci siamo trovati di fronte ad una piccola regressione, anche rispetto a pochi anni fa. Nasi meno precisi, bocche più spigolose e con poco peso, non certo una prova soddisfacente, anche e soprattutto se stiamo parlando di Franciacorta.

In chiusura, oltre a ringraziare ancora il consorzio per l’aiuto importante che ci ha dato ci permettiamo di ipotizzare che in futuro la Franciacorta, visti anche i cambiamenti climatici, possa rispondere a questa sfida avvicinandosi di più alla Champagne, nel senso di iniziare ad usare maggiormente il vin de reserve. Capiamo che si tratterebbe di un cambiamento epocale e soprattutto costoso (spazi, organizzazione, vino fermo in cantina, etc) ma secondo noi è forse l’unica strada per affrontare le sfide future.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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