Vino e regole: fatta la festa gabbato lo cancro?4 min read

Tutto il mondo del vino sta innalzando peana per celebrare il ripensamento della Commissione Europea  su misure che avrebbero indubbiamente creato problemi seri al settore.

Lungi da me sputare nel piatto dove mangio ma alcune cose le devo dire. In primo luogo nell’avvicinarsi al giorno della decisione ho sentito alzare la voce da più parti, portando come argomentazione il fatto che comunque  il vino e il suo indotto danno da mangiare a centinaia di migliaia di persone.

Ma che argomentazione è? Se un qualcosa è nocivo (e il vino, anzi l’alcol , lo è) andrebbe bloccato o comunque verificato seriamente: non facciamo come a Taranto dove metà città era ed è inquinata dall’Ilva,  l’altra metà (spesso la stessa) vuole tenersi il posto di lavoro in quell’azienda inquinata e la terza via, quella della messa in sicurezza degli impianti e dei cittadini viene sempre vista come impraticabile o quasi.

A proposito di “messa in sicurezza”: credo che questa formula dovrebbe, da oggi in poi, essere usata anche per il mondo del vino.

Partendo dal concetto difficile da digerire anche per me, che l’alcol (e quindi, per traslato, il vino) è un prodotto nocivo e che solo una radicata e condivisa cultura porta ad una sua gestione positiva che ne diminuisce di molto l’impatto sul corpo e sulla società, dobbiamo giocoforza incominciare a dare segni di “messa in sicurezza”.

Per esempio, fermo restando l’alcol, forse sarebbe il caso di cominciare seriamente a discutere quali sostanze usate per fare il vino andrebbero riportare in etichetta: l’elenco di quelle ammesse in vinificazione dall’UE richiederebbe un allegato cartaceo, ma prima che si venga costretti, perché la “crociata” antialcol andrà avanti in varie forme, forse cominciare da parte del mondo della produzione a fare delle proposte serie  mi sembrerebbe intelligente.

Non ci possiamo nascondere dietro il fatto che sono cose difficili da comunicare: anche l’elenco dei coloranti o delle sostanze che troviamo ovunque non è certo di facile comprensione ma oramai, piano piano, il consumatore si sta orientando. Perché il vino non dovrebbe mettere “le carte in tavola?” Tra l’altro, non per voler tornare su un argomento a noi caro, ma la diminuzione generalizzata del peso delle bottiglie sarebbe indubbiamente una buona argomentazione per dimostrare la buona fede del settore.

Sarebbe inoltre basilare che la viticoltura non si nascondesse dietro al fatto che opera all’aperto e in luoghi spesso bellissimi: in viticoltura si usano veleni e anche se rame e zolfo non sono proprio delle cose da spalmare sul pane, l’idea della viticoltura biologica andrebbe radicata maggiormente, anche affiancandola dal punto di vista legislativo alla tanto vituperata biodinamica, che forse si baserà su concetti non scientifici ma che alla fine inquina, presa tutta assieme, un milione di volte meno di una piccola fabbrica chimica.

Per evitare comunque di buttare il bambino con l’acqua sporca anche la chimica in agricoltura andrebbe monitorata e spiegata e i produttori dovrebbero fare reali sforzi per usarne meno e usarla meglio. L’Etichetta in cui si dice cosa si usava sarebbe sicuramente quella che ogni produttore dovrebbe essere orgoglioso di mettere sulla sua bottiglia.

Un percorso verso il vino che  Slow Food  ha da tempo definito come  “Buono, pulito e giusto” non solo è fondamentale  ma sarà l’unica strada che permetterà al vino, come lo conosciamo noi,  di andare avanti. Dobbiamo renderci tutti conto che il fronte antialcol e quindi antivino, oggi in qualche modo rappresentato dai paesi nordici non produttori di vino, sarà sempre più potente e convinto.

Guardavo la sera scorsa una serie TV ambientata in Finlandia. In una scena un poliziotto getta un bicchiere di un superalcolico addosso ad un collega astemio dicendo “Dove dobbiamo andare noi se non puzzi di alcol non ti stanno a sentire”. In nazioni dove succede questo come pensate che l’opinione pubblica e le autorità possano rimanere con le mani in mano? E comunque l’alcolismo non è un problema solo dei paesi scandinavi.

Per questo non bisogna cantare vittoria, perché questa è una delle prime battaglie e il mondo del vino dovrà giocoforza cambiare i suoi connotati (sia in vigna che in cantina) e soprattutto trovare il modo per comunicare in maniera chiara questo cambiamento.

Non basterà confessare i propri peccati al prete per essere assolti, o motivarli col fatto che “si deve pur vivere”: la viticoltura e l’enologia dovranno seguire strade più difficili ma più pulite altrimenti tra qualche anno ci ritroveremo a fare le barricate per salvare vigneti e cantine.

 

Le foto di quest’articolo sono state prese da Pixabay, che ringraziamo.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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