Un Santa Maddalena tra migliori vini della mia vita3 min read

Me lo ricordo come se fosse ora! Quando, 25-30 anni fa,  incontravi un produttore altoatesino potevi parlare di Gewürztraminer, di Sauvignon, di Chardonnay in legno, al limite della novità Pinot nero o magari di Cabernet o di Merlot, ma se il discorso cadeva sulla Schiava lo vedevi fare uno slalom per uscire da quello che era considerato un campo minato, che Gustav Thöni in confronto era un principiante.

In realtà era un campo vitato e non minato, ma con produzioni che la nascente immagine qualitativa altoatesina tendeva a relegare nel dimenticatoio. Del resto circa quaranta anni fa l’Alto Adige enoico e la schiava praticamente combaciavano, visto che questo vitigno occupava oltre il 60% del territorio vitato e veniva usato per produrre sfuso o vino da bottiglioni. Se poi si parlava di Lago di Caldaro o di Santa Maddalena serviva quasi un crocefisso per esorcizzare  nomi che portavano con sé una (spesso meritata) nomea di “bulk wine”.

Piano piano, mentre la schiava scompariva sia dal vigneto Alto Adige che dai radar dei produttori e quindi dei clienti fuori regione (oggi supera di poco l’11% del totale) e crescevano le altre uve, specie bianche, si stava creando un timido movimento che potrei definire Schiava Pride. In altre parole, dopo aver buttato via per anni il bambino con l’acqua sporca i produttori altoatesini, circa 10-15 anni fa, iniziarono a rendersi conto che se coltivata e lavorata bene la Schiava aveva grandi, spesso uniche e piacevolissime caratteristiche

Ma il tempo è galantuomo e, se sai aspettare, ti riserva meravigliose sorprese. Questo mi è successo pochi giorni fa a cena da Georg Ramoser nella sua casa/cantina abbarbicata tra le vigne di Santa Maddalena, dove la schiava cresce con qualche vite (poche, per fortuna) di lagrein accanto, giusto per dare un po’ di colore. Vigneti a pergola che nascondono la terra, che d’estate creano ondulate colline verdi e uve che portano a vini indimenticabili.

Come il Santa maddalena 2000 (2000!) che ad un certo punto della serata è uscito di cantina per miracol mostrare e per rimanere per sempre nei ricordi miei e degli altri fortunati commensali.

Non era giovane, no, per fortuna non lo era. Il colore, un rubino naturalmente scarico si era conservato bene, per carità, ma il vino aveva da tempo iniziato a cambiare, migliorando, le sue caratteristiche. Qualche nota di frutta di bosco era ancora presente ma gli aromi terziari (terra bagnata, tartufo, liquirizia, rabarbaro, spezie,) uscivano con grazia dal bicchiere e mi ricordavano i profumi dei grandi sangiovese anni Settanta che ogni tanto mi capita di gustare.

In bocca niente sangiovese, niente tannino pungente ma eleganza e sorprendente freschezza che solo un pinot nero borgognone può eguagliare. E come un pinot nero di quelle terre le sensazioni restavano ferme in bocca per lunghissimi e meravigliosi secondi.

I coniugi Ramoser

Quando trovo vini del genere la mia mente mi fa lo stesso scherzetto:  non riesco a pensare al vino ma al modo di ricordarmelo per sempre e così nella mia testa è venuta a galla quella che per me è la più bella canzone di Renato Zero, “I migliori anni della nostra vita”.

Questo Santa Maddalena 2000 di Untermoser, che la famigia Ramoser ha voluto aprire in una indimenticabile serata luglio, rimarrà per sempre uno dei migliori vini della mia vita, uno di quelli da ricordare con gioioso rimpianto.

Non ci credete? Andate a casa di Georg, suonate il campanello e chiedetegli di aprirvene una bottiglia!

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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