Tu chiamalo, se vuoi, Rosato6 min read

Uscir nel vigneto di mattina
Dove non si fa il diserbo
Per ritrovar sé stesso

Parlar del più e del meno con un produttore
Per ore e ore
Per non sentir che dentro qualcosa muore

E nutrir di terra una pianta di vite
Sperando possa
Nascere un giorno un grappolo rosa.

 Tu chiamalo, se vuoi,

Rosato.

 (Ma non basta)

 

 Frequento da tempo l’Abruzzo del vino, quanto basta per apprezzarne la vocazione anche sull’ostico versante rosatista (rosato che da quelle parti è nobilitato da un nome bellissimo: “Cerasuolo”). E così con il dolce ricordo di bei momenti vissuti assieme a persone a me tanto care, penso a Fausto Albanesi (Torre dei Beati), Stefano Papetti (De Fermo) e Francesco Paolo Valentini (Azienda Agricola Valentini) tutti di stanza a Loreto Aprutino, qualche giorno fa sono tornato sulle tracce di un vino lauretano che ho adorato fin da subito: il Cerasuolo d’Abruzzo Le Cince della coppia Papetti/De Fermo.

La ghiotta occasione prevedeva l’assaggio dell’intera sequenza di annate finora prodotte (dalla prima, la 2012, a quella futura, la 2017): una breve retrospettiva che ha confermato senza riserve il valore di un rosato prodigioso, sensibile al chiaroscuro e disponibile a esplorare il confine, impervio e sottile insieme, di fragranza, rusticità e mineralità.

Per gli anglosassoni Le Cince sarebbe un perfetto Light Red: rosso scarico che fa dialogare pancia e cervello, che disseta con personalità, che mette in fuorigioco quella fruizione passiva e acritica che spesso si fa largo quando di mezzo c’è un “rosato da sgargarozzare”.

Nossignori. Qui non si butta giù e basta; qui è opportuno bere con attenzione. Non temete: ne basta poca (di attenzione) per capire che Le Cince è un rosato diverso, che infrange gli insidiosi stereotipi di una categoria in costante crescita quantitativa (a 23 milioni di ettolitri ammonta l’attuale produzione mondiale) ma con rarissimi acuti degni di nota.

I rosatelli spesso caricaturali che si stappano in Costa Azzurra non hanno nulla a che vedere con questo vino carismatico, originale, di vigorosa energia sapida, doti che mobiliteranno perfino i più accaniti antirosatisti a sintonizzarsi sulle sue tracce.

Ciò detto, Le Cince non abdica al ruolo che gli impone la tipologia, lasciandosi godere con disinvoltura: spontaneo e slanciato, con una traccia salina molto evidente anche nelle annate più calde (2015, 2017), non esige alcun talento specifico per essere apprezzato.

Semmai è lui che all’improvviso, nel bel mezzo di quel sorso scattante e saporitissimo, anziché appagare il bevitore di una prevedibile sensazione rassicurante, lo spinge verso una maggiore consapevolezza critica, lo “costringe” a pensare, a riflettere.

Le Cince è l’archetipo del liquido tanto facile da bere quanto difficile da dimenticare, in cui la percezione è realmente un processo attivo e creativo che coinvolge l’immaginazione, suggerisce analogie, evoca ricordi, propizia condivisioni, fa pensare e fa discutere, fino a spiazzare e a destabilizzare.

Così, più ci penso e più mi piace. Più rifletto e più sento l’urgenza di suggerire ai tanti produttori che si accontentano di elaborare rosati fermentativi e innocui, che un altro rosato è possibile.

Nel tunnel di salassi inespressivi, di profumi artificiosi, di strutture striminzite, di liquidi soffocati da dosi industriali di solforosa, di bottiglie marketing oriented, qualche luce c’è. E sa essere accecante.

E sa essere utile, oltretutto: un buon rosato è un’opzione gourmand per l’oste in cerca di soluzioni democratiche; compagno ideale delle preparazioni di terra; prode alleato della cucina mediterranea.

Oggi è raro che pochi vini possano surclassare tutti gli altri, in una determinata categoria o tipologia o denominazione. La tecnica ha preso il sopravvento e le differenze sono sempre più piccole, anche nelle valutazioni della critica.

L’eccezione è rappresentata appunto dai rosati, nel cui gruppo (sempre più numeroso ed eterogeneo) le pochissime grandi bottiglie tracciano una voragine incolmabile con (quasi) tutto il resto.

Tra quelli personalmente bevuti più volte, il Bandol del Domaine Tempier, il Tavel del Domaine l’Anglore, gli Chavignol di Pascal e François Cotat, il Rosé des Riceys di Olivier Horiot, l’Uroebi di Our Wine, il Cerasuolo di Valentini e di Praesidium, il Rosso Relativo di Valcerasa, i Rosato di Massa Vecchia e di Bonavita, il Tauma di Pettinella e l’En Rose di Panevino giocano proprio un altro campionato. Un campionato d’altri tempi, di un’epoca remota e a lungo dimenticata, quando l’anemia cromatica, il peso contenuto e il valore gastronomico rovesciavano le presunte fragilità in termini di levità e di eleganza.

Ma non è detto che la retroguardia non si ritrasformi prima o poi in avanguardia: se è vero che i Vins Gris d’Aÿ, i Volnay (o Vollenay) cari all’Abbé Arnoux, i Claret di Bordeaux hanno goduto di superba reputazione fino a tre secoli fa, allora non è impossibile che prima o poi la prospettiva degli addetti ai lavori (di chi produce, di chi vende, di chi beve) possa tornare in quella direzione.

 

Certo, occorrono vini credibili per sparigliare le carte, come Le Cince. Stefano Papetti ne produce circa settemila bottiglie con scrupolosa abilità artigiana, attingendo a un repertorio di vigne insediate nel cuore di Loreto Aprutino (Cordano-Colle Carpini), sui 280 metri di quota, dove i terreni argillo-calcarei sono gestiti fin dalla prima ora con il più radicale degli approcci ecologici.

Qui le uve di montepulciano, raccolte appositamente per una produzione “in rosa” intorno a metà settembre, vengono pressate a grappolo intero in un torchio verticale.

La spremitura diretta favorisce una repentina sgrondatura dei mosti e una macerazione rapida; dopodiché il mosto fermenta e matura in botti di rovere da 20 ettolitri per un periodo complessivo di circa dieci mesi. Il risultato finale è in estrema sintesi di livello altissimo.

Una verticale di rosato, benché di poche annate, è sempre un azzardo, anche quando il vino proviene da una zona votata e da un produttore di valore. La tentazione era però troppo grande e dell’opportunità ringrazio Stefano Papetti che si è immediatamente prestato al gioco.

Ed è proprio giocando che abbiamo scoperto il talento mirabolante della versione 2014, sulla carta la vendemmia più fragile e invece nel calice quella più capace dell’allungo decisivo.

Una bottiglia che riassume il concetto di evoluzione senza disperdere la golosità giovanile: un vero colpo di fulmine. Che a diversi minuti di distanza dimostra non solo tenuta e unità, precisione e vibrazione, ma anche un retroscena espressivo che vira gradualmente su un registro champenois, di clamorosa mineralità calcarea.

A pensarci bene, tra un sorso e l’altro, è uno dei più eccitanti rosati bevuti negli ultimi anni, in attesa che anche Le Cince 2016 (altra bellissima edizione) possa godere di un bonus di affinamento in vetro.

A pensarci bene, tra un sorso e l’altro, Le Cince si può chiamare rosato, ma non basta. C’è tanto di più, così tanto di più da oltrepassare i generi.

A pensarci bene, tra un sorso e l’altro, può rinascere un fiore nel nostro giardino.

Che neanche l’inverno potrà mai gelare.

Dai, dammi la mano e torna vicino.

Che può ancora crescere un fiore da questo mio amore.

Per te.

 

Francesco Falcone

Nato a Gioia del Colle il 6 maggio del 1976, Francesco Falcone è un degustatore, divulgatore e scrittore. Allievo di Sandro Sangiorgi e Alessandro Masnaghetti, è firma indipendente di Winesurf dal 2016. Dopo un biennio di formazione nella ciurma di Porthos, una lunga esperienza piemontese per i tipi di Go Wine (culminata con il libro “Autoctono Si Nasce”) e due anni di stretta collaborazione con Paolo Marchi (Il GiornaleIdentità Golose), ha concentrato per un decennio il suo lavoro di cronista del vino per Enogea (2005-2015). Per otto edizioni è stato tra gli autori della Guida ai Vini d’Italia de l’Espresso (2009-2016). Nel 2017 ha scritto il libro “Centesimino, il territorio, i vini, i vignaioli” (Quinto QuartoEditore). Nell’estate del 2018 ha collaborato alla seconda edizione di Barolo MGA, l’enciclopedia delle grandi vigne del Barolo (Alessandro Masnaghetti Editore). A gennaio 2019, per i tipi di Quinto Quarto, è uscito il suo ultimo libro “Intorno al Vino, diario di un degustatore sentimentale”.  Nel 2020 sarà pubblicato il suo libro di assaggi, articolazioni e riflessioni intorno allo Champagne d’autore. Da sei anni è docente e curatore di un centinaio di laboratori di degustazione indipendenti da nord a sud dell’Italia.


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