Anche i grandi crescono
Ebbene sì, il climat Les Clos, il più grande per estensione tra gli otto facenti parte del Grand Cru di Chablis, con i suoi 27,11 ettari e il più maestoso (la sua struttura e la sua densità fanno sì che mantenga inalterata la sua identità anche nelle annate con acidità più basse), ha recentemente guadagnato 2,5 ettari. Questi sono stati lungamente “contesi” con il confinante Valmur,. Ne dà notizia l’ultimo numero de La Revue du Vin de France e tutto era nato nel 2013, quando l’amministrazione segnalò un’”anomalia” del grand cru Les Clos del Domaine Jean Paul et Benoît Droin, derivante dal fatto che la sua cuvée includeva le uve di una parcella rientrante nella delimitazione catastale di Valmur, acquistata negli anni ’20 da Louis Droin, che si trova in perfetta continuità con quelle possedute nel Les Clos .
Benoît Droin chiese quindi al sindacato dei produttori la modifica del tracciato e quando nel 2019 la Direction régionale de la concurrence et de la consommation gli fece pervenire l’invito a escludere la parcella incriminata dal suo Chablis Les Clos, la ribattezzò “Hommage à Louis”. Ora la commissione d’inchiesta nominata dall’INAO ha dato finalmente ragione a Droin, facendo però beneficiare dell’allargamento anche altri due Domaines: il Domaine William Fèvre (come si dice piove sul bagnato, essendo questo di gran lunga il maggior proprietario dell’area Grand cru di Chablis) e il Domaine Guy Robin.
La bordolesizzazione della Borgogna
A proposito dell’appena menzionato Domaine William Fèvre, da alcuni mesi si è celebrato un altro dei finora rarissimi matrimoni tra Borgogna e Bordeaux. Tra i più importanti finora è quello realizzato dal Groupe LVMH della famiglia Arnault, proprietaria di Cheval Blanc a St. Émilion e Yquem a Sauternes, che ha acquisito ilDomaine des Lambrays, grand cru di Morey-St.Denis. Ancora più roboante quello che ha fatto François Pinault (Groupe Artémis), già proprietario dello Château Latour e molto altro acquisendo in Côte d’Or, il Domaine René Engel, ribattezzato Domaine d’Eugénie, e il celeberrimo Clos de Tart. Non ci dobbiamo scordare la recentissima fusione (del 2022) con Maisons et Domaines Henriot .
Ma, udite udite, ora gli oltre 70 ettari del Domaine William Fèvre a Chablis (facenti parte, insieme con il colosso Bouchard Père et Fils di quest’ultima espansione borgognona) sono stati acquisiti dal Groupe Domaines Barons de Rotschild Lafite (DBR Lafite), già proprietaria dello Château Lafite –Rotschild a Pauillac,, dello Château L’Evangile a Pomerol , di Rieussec nel Sauternais, e altre robine varie nell’Entre-Deux-Mers e a Corbières in Languedoc. Un bel colpo per il Gruppo, finora posizionato soprattutto nel settore dei rossi di gran pregio mettere le mani su questa gemma dello Chablisien, che gli consente di espandersi nel campo dei vini bianchi di qualità, la cui richiesta cresce di pari passo con il calo della domanda di vini rossi da lungo invecchiamento.
Si tratta di un Domaine dalle enormi potenzialità sapientemente rimodellato nel corso dell’ultimo quindicennio dall’esperto Didier Séguier. Ormai completata da tempo la conversione al bio, il Domaine William Fèvre offre al suo acquirente una ulteriore chance per il fatto di poter proporre una gamma molto ampia di crus, da quelli di vertice a quelli minori, che possano essere proposti a prezzi più accessibili ai consumatori.
Naturalmente la notizia è presente in tutta la grande stampa estera che conta. “Bourgogne Aujourd’hui” propone, nel suo ultimo numero, un’ampia e approfondita intervista a due voci di Saskia Rotschild, (“gérante executive” in pratica direttore generale di Lafite e di tutti i Domaines del gruppo) e Didier Séguier, dal 1998 ad oggi a capo del Domaine William Fèvre. Moltissimi i temi trattati: dal bio e le nuove tendenze agroforestali in viticoltura, al riscaldamento climatico, dai progetti per il futuro (concentrazione sui vini di alta gamma o ulteriore espansione?) all’incontro tra le due grandi tradizioni viticole (più globale quella bordolese, più locale-familiare la borgognona). Certo un accostamento importante tra mondi finora assai lontani tra loro, anche se appare ingeneroso parlare già , come qualcuno ha fatto, di “bordélisation” della Borgogna, nel senso di una perdita di identità (e non solo) per effetto dell’ingresso dei grandi gruppi finanziari già dominanti a Bordeaux.
Ma chi lavora in vigna?
Restiamo ancora in Borgogna per parlare di un tema finora solo sfiorato. Negli ultimi anni, specie quelli post-pandemia, è divenuto più difficile il reclutamento dei vendemmiatori, sempre più frequentemente provenienti dall’estero. Ora però è diventato un problema assai rilevante la mancanza di mano d’opera esperta per la cura dei vigneti, per la la taille, ma soprattutto per lavorare come trattoristi. Ne parla “Bourgogne Aujourd’hui” nella sezione “Entreprises”, dedicata ai problemi della filiera vitivinicola. Molte e diverse le cause di questa crescente penuria, che costringe i Domaines a operare con forze sottodimensionate rispetto alle necessità. Non si tratta solo di questioni di salario, anche se certo l’inflazione ha cominciato a mordere: al contrario, se in passato i salari erano effettivamente bassi, non è più questo il caso. Le assunzioni vanno a rilento (si calcola che manchino nella filiera almeno 700 posti perenni, in un settore con 4.000 imprese) e chi risponde alle offerte d’impiego, specie se con esperienze specifiche, spesso chiede remunerazioni impossibili, essendo comunque certo di trovare posto in altri Domaines in cui la necessità di reclutare sia più stringente. Ma la crescente distanza tra domanda e offerta è, secondo gli esperti, dovuta, oltre che alla minore attrattività del lavoro manuale e nei campi, soprattutto alla scarsa conoscenza del mondo vitivinicolo e delle opportunità professionali che esso offre. Ecco perché, già da qualche anno (dal 2020) è nato VITA Bourgogne, un programma di comunicazione e reclutamento sostenuto dalla filiera: su un apposito sito (vitabourgogne.com) sono riportate le diverse offerte corredate da apposite “fiches métier”, dettagliati profili delle diverse figure professionali, con le retribuzioni previste, diffuse anche via radio, reti sociali, affissioni.
Signori, si scende
Finalmente i prezzi delle bottiglie “iconiche” (Leroy, Rousseau o Coche-Dury in Borgogna, Rayas nel Rodano, ecc.) che avevano preso il volo nelle aste degli ultimi anni divenendo ormai irraggiungibili per i consumatori e i collezionisti anche di fascia alta, cominciano a calare, e la diminuzione, già anticipata da Liv-Ex comincia ad essere visibile agli osservatori, oltre naturalmente che agli operatori di settore. Ad esempio il barometro di Idealwine, nota maison di vendita online presente in 67 paesi in tutto il mondo, segnala la caduta, nel 2023, del 40% di Rayas , che scende dal ragguardevole prezzo di 1.502 euro del 2022 a quello pur sempre elevato di 904 euro. In discesa anche il Domaine Arnoux-Lachaux, letteralmente esploso lo scorso anno, che mostra un calo medio del 50% , e così anche le icone Leroy (-38%), Coche-Dury (-24%), Armand Rousseau (-22%).
Il calo, che per ora ha solo sfiorato in misura assai più timida il mondo dei consumatori “reali”, secondo Angélique de Lencquesaing, cofondatrice di Idealwine, è perfettamente allineato con l’ascesa dei tassi di interesse ed inflazione. Gli investitori hanno spostato il loro denaro sul vino, quale che fosse il prezzo , quando i tassi erano ancora bassi, raggiungendo la punta più alta nell’estate 2022, per poi calare già nell’autunno e proseguire la discesa nel 2023 e nel 2024. Mentre l’auspicabile discesa attesa dagli amatori di tutto il mondo resta per ora quasi invisibile , un buon segnale viene dalla Maison Drouhin di Beaune, che ha annunciato una riduzione media del 15% del prezzo dei suoi vini, allo scopo di favorire la loro accessibilità ai consumatori diretti, finora abbandonati al loro destino . Che sia benedetto!