Stampa estera a portata di clic: Wine Spectator, vol. 42, no.133 min read

Come annunciato dalla copertina, questo numero è dedicato  alla consacrazione dei 100 Top Wine e del Vino dell’anno di WS. In più: i classici (vini valutati 95 punti e oltre), gli sparklings americani e i 50 anni dei vini di Ste.Michelle .

Si comincia dunque dai Top 100: il vincitore è un Merlot della Napa Valley (una vendetta per Sideways?), il Three Palms Vineyard 2014 di Duckhorn. Gli altri dei primi dieci, sono altri quattro  americani (un Syrah  di Walla Walla, secondo, due Napa e un Paso Robles a chiudere la graduatoria dei top 10), quattro francesi (un Barsac, Coutet, terzo, e poi un vino del Rodano, quinto, un bianco moelleux della Loira, sesto, e un St. Émilion, settimo). Resta un solo posticino (il quarto) per un italiano, ancora una volta un Brunello di Casanova di Neri.

La Toscana è la regione italiana più premiata, presente ancora tre volte in classifica  nel primo quarto (col Brunello di Altesino 11°, poi un Chianti classico e un rosso maremmano), più un Rosso di Montalcino tra i primi 50 e una Vernaccia di San Gimignano all’84° posto.

Per trovare un vino piemontese bisogna attendere il 38° posto (un Dogliani di Luigi Einaudi), poi c’è solo  un Barbaresco di Ovello (61°).

Nella seconda metà della graduatoria, c’è anche qualche vino della restante parte d’Italia: due campani, due veneti, un umbro, un Verdicchio marchigiano , un Nero d’Avola  siciliano e un vino calabrese di Odoardi. Per il resto c’è molto Nuovo Mondo.

Della vecchia Europa chi ne esce meglio è la Francia, con altri 15 vini in classifica, oltre a quelli citati: in sintesi, molto Rodano e molta Loira, Borgogna con le ossa rotte.

Questa è la volta di classifiche (che su WS non mancano mai): dopo i Top 100, ecco  i Top Values, i vini con miglior rapporto qualità prezzo (entro i 20 dollari), anche loro 100. Pure tra questi c’è, tra il predominio dei vini del Nuovo Mondo, una spruzzata d’Italia, tra i Light e i Rich Whites, gli Elegant Reds e gli Sparklings, mentre non c’è alcun vino italiano nelle categorie dei Big Reds  e tra i rosé.

Tim Fish presenta in un altro articolo  le migliori bollicine americane (Carneros, California, prima di tutte), poi si celebra un’altra parte d’America: i vini di Ste. Michelle, la wine company dominante dello stato di Washington. E’ Harvey Steiman a presentarli in un servizio molto colorato di una decina di pagine.

L’ultimo articolo di questo numero (a parte le rubriche) è quello di Kim Marcus sulle nuove tendenze in Argentina, dove i blends cominciano ad acquistare spazio rispetto ai tradizionali monovitigno di Malbec.

Dopo un’ultima classifica, quella dei classic-scoring wines del 2017 (i vini con i punteggi più alti, a partire dai 95 punti), a  chiudere la rivista è, come sempre, la Buying Guide. Nella vetrina dei  vini “altamente raccomandati” (insomma quelli di qualità più alta), finalmente è l’Italia (ma dovremmo dire il Piemonte e la Toscana) a brillare insieme con la Spagna (Rioja).La Borgogna si rifà tra i “collectibles” (i vini da collezione da mettere in cantina), con i tre gioielli di Armand Rousseau (ma c’è spazio  anche per un Barolo di Bartolo Mascarello).

Le rubriche :  dopo l’editoriale di Shanken e Matthews, intitolato alla moda di Trump “Napa First”, che ovviamente celebra il vino dell’anno californiano, le lettere dei lettori e le notizie (ovviamente il fuoco in California e la vendemmia 2017), le pagine dei viaggi, del cioccolato, il design nel mondo del vino, lo shopper del mese,  il parere dei columnists di WS, Laube (ancora sugli incendi) e Kramer ( i “miei” vini dell’anno : c’è anche la Falanghina di Quintodecimo).

Tre pagine fotografiche, dal titolo “In memoriam” ricordano i grandi personaggi del vino scomparsi nel 2017: tra questi anche i nostri Domenico Clerico  e Livio Felluga. Nella sezione finale della rivista: i libri  da non perdere (ovviamente solo quelli in lingua inglese) e la pagina del Dr. Vinny , che parla di un tema molto americano, i wine parties , che non hanno nulla a che vedere con le nostre più informali bevute tra amici.

Guglielmo Bellelli

Nella mia prima vita (fino a pochi anni fa) sono stato professore universitario di Psicologia. Va da sé: il vino mi è sempre piaciuto, e i viaggi fatti per motivi di studio e lavoro mi hanno messo in contatto anche con mondi enologici diversi. Ora, nella mia seconda vita (mi augurerei altrettanto lunga) scrivo di vino per condividere le mie esperienze con chi ha la mia stessa passione. Confesso che il piacere sensoriale (pur grande) che provo bevendo una grande bottiglia è enormemente amplificato dalla conoscenza della storia (magari anche una leggenda) che ne spiega le origini.


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