Sabato prossimo Montevertine festeggia i primi cinquant’anni di storia4 min read

Correva l’anno 1968  e le gemelle Anna e Marta Manetti, mie compagne di scuola alle medie e al liceo, si lamentavano spesso del fatto che Babbo Sergio le portasse nei fine settimana in un posto sperduto dopo Radda in Chianti  “E’ a quasi un’ora di macchina su strada sterrata e tutte curve, non si arriva mai.”

Così ho conosciuto Montevertine, ma sarebbe passato molto tempo prima che potessi vedere questo posto dove “non si arriva mai”.

In effetti la prima volta che sono andato a Montevertine, quasi 15  anni dopo, la strada era in parte asfaltata ma  ci volevano sempre 40-45 minuti da Poggibonsi.

Parlo di Poggibonsi non solo perché  è il mio paese ma perché la storia di Montevertine ha nel suo DNA la mia città. Montevertine è infatti nata ed è diventata quello che è grazie a due poggibonsesi , Sergio Manetti e Giulio Gambelli, che assieme ad un Raddese, Bruno Bini, hanno creato non solo una grande cantina, ma un esempio.

Sergio e Giulio erano due persone diversissime ma avevano una caratteristica comune: vedevano lontano, molto lontano, dove gli altri nemmeno immaginavano si potesse arrivare col pensiero e non solo.

Sergio, nato come industriale, è stato forse il primo toscano a riconvertire in agricoltura i guadagni dell’impresa, vedendo un futuro in una zona dove c’erano solo alberi, vigne e miseria. In quegli anni infatti chi vendeva casolari in Chianti  faceva spesso questo discorso “Il posto è meraviglioso, la casa bellissima anche se un po’ da risistemare, non fate caso agli ettari di vigna, quelli potete anche lasciarli perdere o farli lavorare a qualche contadino locale.”

La vigna in Chianti  nel 1966-67 non solo non valeva niente, ma era un ostacolo, un impedimento da abbandonare a se stessa. Ci voleva la vista lunghissima di Sergio  per riuscire a vedere quello che adesso è sotto gli occhi di tutti, per immaginare un mondo completamente diverso da quello di allora, per capire che quella strada sterrata sarebbe non solo  stata asfaltata ma percorsa da tutti quelli che amano il sangiovese e il Chianti.

E ci voleva la vista lunghissima di Giulio, la sua immensa conoscenza del sangiovese, per creare vini che oggi vengono presi come esempio di quello che può dare il sangiovese nel Chianti. Non era facile farlo e continuare a farlo, sia all’inizio quando il  sangiovese non lo voleva quasi nessuno sia dopo,  quando oramai il sangiovese lo volevano tutti ma… fatto in un’altra maniera. Giulio guardava sempre oltre e la sua tranquillità credo sia servita molto a Sergio per tenere la barra dritta.

Ma con due persone che vedevano così alto e lontano ci voleva uno che guardasse in basso e vicino, molto vicino. Questo era Bruno Bini, l’uomo che trasformava in realtà tangibile quello che Sergio e Giulio avevano nelle loro menti.

Bruno è stato l’ancora della nave Montevertine, quello che giornalmente eseguiva, imparava e insegnava ad altri come far nascere un grande sangiovese. Era sempre un passo dietro a Sergio e a Giulio, ma nello stesso tempo era anche un passo avanti, perché oramai sapeva quello che andava fatto e lo faceva alla perfezione.

Questi tre uomini (e mi scuso con quanti hanno collaborato, anche in maniera importante e che qui, per motivi di spazio, non posso presentare) sono riusciti a creare non solo una grande cantina, ma uno dei punti fermi del vino italiano, una di quelle mete che non si può non conoscere.

Anche Martino Manetti, degno erede del grande Sergio, è stato bravo a tenere la barra dritta dopo la scomparsa di tanto padre e nel riuscire  a navigare attraverso  mari non certo calmi, dovuti anche alla  successiva perdita di Giulio e Bruno.

Ma oggi, a pochi giorni dalla celebrazione dei 50 anni (si farà sabato 16 settembre) voglio ricordare con grande affetto e infinito rispetto soprattutto i tre che hanno creato Montevertine e che, per fortuna, hanno insegnato molto anche a chi scrive.

Scherzando tempo fa dissi a Martino che non sarebbe stato male creare un nuovo vino e chiamarlo Montrevertine in onore di Sergio, Giulio e Bruno; magari primo o poi lo farà.

Sicuramente sabato  li ricorderà e in quel momento sono convinto che dovrò rimandare indietro una lacrima particolare, nata quasi  cinquanta anni fa sentendo parlare di un posto a quasi un’ora di macchina, su strada sterrata e tutte curve, dove non si arrivava mai.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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