Ed eccoci alla seconda parte dei risultati dei nostri assaggi friulani. Assaggi che hanno toccato varietà conosciutissime e di moda come sauvignon e pinot grigio, un po’ meno importanti ma di alto profilo come malvasia e pinot bianco, autoctone e non come il friulano, la ribolla gialla, il muller thurgau e il traminer. Abbiamo degustato anche i vari uvaggi tra molte di queste varietà ma, per assurdo, le nostre degustazioni non hanno riguardato l’uva bianca più piantata in Friuli Venezia Giulia: la glera.
La glera, per i 12 italiani che ancora non lo sapessero, è l’uva con cui si fa il Prosecco. Qualcuno potrebbe dire che la glera non è presente nelle zone più vocate (vedi Collio, Isonzo e Colli orientali). Purtroppo si sbaglierebbe, anche se effettivamente la stragrande maggioranza è stata piantata soprattutto in zone pianeggianti, dove la viticoltura è una pratica molto più semplice e in questo momento molto redditizia.
Questo però non cambia la situazione, che è quella abbastanza strana di una regione famosa soprattutto per i bianchi di alta qualità che rischia di essere sommersa da vini di livello magari inferiore ma dalla resa finanziaria nettamente superiore.
Chi infatti vorrà piantare malvasia o friulano quando un ettaro di glera rende come minimo il doppio?
Chi vorrà piantare ribolla gialla? Ops! Ho sbagliato paragone perché di persone che hanno piantato ribolla gialla ce ne sono tantissime, tanto che nelle Grave e in altre zone di pianura se ne contano 1000 (dico mille!) nuovi ettari. Adesso io vi faccio una domanda: secondo voi perché un vitigno che non ha grandi aromi ma alta acidità (e che, per inciso, per esprimersi al meglio dovrebbe stare in alta collina) viene piantato in zone vicine alle migliaia di ettari di glera, vitigno abbastanza aromatico ma non certo acidissimo? Ai posteri l’ardua sentenza.
Potete dirmi che sono un malfidato, un inguaribile pessimista, uno che vede le streghe, però la situazione friulana per me è rischiosa e i bravi produttori di qualità che si trovano in tutte le zone del Friuli dovrebbero stare attenti alle loro mosse future.
Veniamo invece alle “mosse presenti” cioè ai vini bianchi che abbiamo degustato. Partiamo con la buona notizia (ce n’è bisogno…) che il miglior vino dei nostri assaggi è stato il Friulano! Non un vitigno autoctono qualsiasi ma quello che impersona la regione stessa, quello amato e conosciuto da tutti, quello per cui si sono fatte battaglie comunitarie, quello che in un’annata non certo facile ha mostrato di essere perfettamente adattato al territorio, producendo vini di buona o ottima potenza, equilibrati, profumati e credo anche piuttosto longevi. Praticamente in ogni zona il friulano ha dato punti a tutti gli altri vini e i migliori di quest’anno sono vini da comprare senza pensarci su.
Su buoni livelli anche il nostro amato pinot bianco, sicuramente meglio rispetto al 2014 e al 2015. Purtroppo non è un vitigno facile da coltivare ma quando te lo trovi nel bicchiere è sicuramente un vino che fa innamorare perché riesce a mettere assieme finezza, giusta aromaticità, freschezza e buon corpo. I migliori del 2016 sono così, non perdeteveli.
A parte quanto detto in apertura, La ribolla gialla nel 2016 ha dato risultati di discreto livello: dando per scontata la solita, quasi inesauribile, freschezza, una bella fetta di vin ha mostrato fini gamme aromatiche, per fortuna non riconducibili ad “innesti” di altri vitigni. Segno che la maturazione del 2016 è stata equilibrata e le non molte sostanze aromatiche primarie del vitigno sono riuscite ad esprimersi.
Anche lo chardonnay si è espresso, ma non come speravamo! A parte infatti alcuni picchi che oramai giocano un’altra partita, il resto è quasi tutto (parafrasando una nota canzone) noia, solo maledetta noia. Vini prevedibili e previsti, magari anche profumati ma senza quella complessità o quella forza che ci si aspetterebbe da un vitigno di così nobili natali. La situazione non è solo friulana ma è condivisa anche in altre regioni non solo confinanti e questo, visto il numero di ettari piantati, ci può far solo sperare che le “bollicine” vengano in aiuto.
Finiamo con gli uvaggi che, come molti sanno, noi non amiamo molto. Per fortuna in Friuli la situazione è diversa perché da una parte c’è una tradizione che si chiama Collio Bianco e dall’altra ci sono produttori che riescono a dare equilibrio e sostanza ai loro uvaggi. Mai come quest’anno (per “quest’anno” intendiamo i vini delle vendemmie 2014- 2016) la media qualitativa è stata alta e questo vuol dire anche riuscire a utilizzare il legno nella giusta maniera, cioè per affiancare e non sovrastare il vino.
Vorremmo chiudere quest’articolo con un’affermazione chiara: noi crediamo fermamente che “sic stantibus rebus” Il prosecco sia un vino da salvaguardare come il panda. Dobbiamo tenerci cara questa grande e bella realtà, ma per farlo occorre la testa e non solo la pancia. Bisogna ragionare sui nuovi impianti, non farli per andare dietro ad una moda. Mai come adesso c’è bisogno di politici illuminati ed esperti che sappiamo gestire questa grande opportunità del vino italiano, anche a vantaggio di chi non produce Prosecco. Il Friuli potrebbe essere la terra dove tale connubio può essere raggiunto, sta solo ai friulani.