“Pianeta Mamoiada”: eccovi i produttori14 min read

E dopo aver parlato qui del “Pianeta Mamoiada” eccoci a presentare i suoi abitanti, alias produttori. Quasi tutti sono piccolissimi e qualcuno non imbottiglia nemmeno, ma rappresentano una bellissima sorpresa per chi ama il cannonau. Fanno tutti parte dell’associazione Mamojà, che raccoglie la stragrande maggioranza dei produttori locali, cercando di guidare quelli più piccoli e inesperti verso l’imbottigliamento e la commercializzazione . Accanto ai piccoli ci sono anche nomi conosciuti e all’interno del gruppo (ferma restando una qualità media altissima) delle assolute chicche enoiche che non si possono perdere. Noi le abbiamo scoperte in tre giorni visite e ve le presentiamo con gioia, quasi nello stesso ordine cronologico in cui le abbiamo visitate.

 Pasquale Bonamici

Il primo impatto con i vigneti di Mamoiada è stato in quello appena piantato di Pasquale: la pioggia della settimana precedente gli aveva fatto grossi danni e del resto se pianti in una “spiaggia” con  pendenze  importanti e poi piove forte per una settimana non puoi non aspettarti solchi dove si potrebbe nascondere un bambino. La spiaggia a cui accennavo è creta dal suolo di Mamoaida, quel disfacimento granitico che ha una consistenza, se bagnato, di poco superiore a quella della sabbia e quindi soggetto a profondi dilavamenti in vigneti con forte pendenza, specie se giovani. Ma Pasquale, giovane anche lui, ha voglia di fare e soprattutto ha altri tre ettari di vigneto (in zona non sono pochi!) in una delle zone più rinomate, quella della chiesetta di Lorett’ Attesu (cioè la chiesa di Loret fuori del paese) a quasi 800 metri di altezza.

Vigne lavorate solo a mano, lieviti indigeni in fermentazione con fermentazioni di circa 10-12 giorni, et voilà, ecco il Cannonau Deledda 2015, maturato solo in acciaio: di una freschezza e piacevolezza uniche. Molto buono e più potente il Montanaru, con ancora da smussare qualche spigolo.

Emanuela Melis – Eminas

Emanuela è l’unica donna produttrice del gruppo ma vi garantisco che si fa rispettare. La sua famiglia da sempre produce e vende vino e quindi suo padre si aspettava figli maschi per aiutarlo in vigna: naturalmente sono arrivate tre femmine, ma toste. Alla fine, dietro le continue insistenze e soprattutto dietro alla passione che Emanuela dimostrava il padre ha ceduto e così una parte dei vigneti, i più vecchi, i migliori, danno vita al progetto Eminas (in sardo femmina) . Il Cannonau 2015, unico prodotto e anche unico dei vini di Mamojà ad essere vinificato fuori zona, ha naso dove la frutta nera si sposa a sensazioni terrose, balsamiche. Bocca di ottima struttura ancora da ammorbidire con chiare possibilità di maturazione.

A proposito di maturazione: nelle vigne vecchie e quasi centenarie  di Emanuela ci sono viti che da sole valgono il viaggio a Mamoiada. Quasi per scherzo lo scorso anno ha lasciato in un ceppo vecchissimo crescere tutti i grappoli e alla fine, in vendemmia, ne ha contati 36! E poi si dice che i vecchi sono deboli…

Luca Gungui

Non ci credevamo! Abbiamo dovuto riassaggiare più volte il Berteru 2017 (in italiano Veritiero) di Luca perché credevamo di trovarci in un sogno. Niente di particolare ; un vigneto di 60 anni, altre vigne molto più giovani (18 anni) per un totale di quasi 3 ettari. Fermentazione in vasche di pvc (sic!)  per circa 12 giorni, naturalmente con lieviti autoctoni: un grande lavoro in vigna e niente di più del normale  in cantina, eppure questo 2017 è stato uno degli assaggi più stupefacenti del nostro viaggio. Una cascata di frutta nera al naso, in bocca rotondo, armonico, giustamente tannico e fresco. Un vino che stramerita i quasi 20 euro a cui esce di cantina. Abbiamo degustato anche la Riserva 2017 adesso in legno: anche questa ci ha lasciati a bocca aperta. Il vino di Luca è forse l’emblema di cosa bisogna e non bisogna fare a Mamoiada per produrre dei gran cannonau.

Bisogna fare molta fatica in vigna e in vinificazione, poi non bisogna toccare più di tanto il risultato che si sta affinando: solforosa zero o quasi, pulizia dei vini praticamente solo per decantazione, una mano assolutamente leggera perché il vino è nato prima. Come diceva la vecchia pubblicità di Aiazzone? Provare per credere!

Canneddu

Da Marco e Tonino Canneddu abbiamo incontrato per la prima volta la Granazza, quest’uva bianca presente in zona da sempre e su cui molti stanno pensando di puntare visto che oramai ce ne son ben… tre ettari! I Canneddu ci credono e la vinificano in maniera molto tradizionale, senza macerazioni prolungate. Il risultato è un vino piacevole di ottima acidità e con un accenno di tannino, “tipo” greco di tufo. Ma la vera e bella sorpresa è il rosato 2017 da uve cannonau, che dimostra come quest’uva possa essere perfetta anche per rosati “fuori scala”, comunque all’opposto dei rosatelli provenzali. Qui la frutta di bosco arriva a ondate e in bocca c’è potenza e freschezza senza che l’alcol (pur essendoci) incida più di tanto.

Credo che occorra spendere due parole in più sulle possibilità reali di questi rosati, nati forse seguendo un mercato “marino” ma con caratteristiche di potenza, aromaticità e freschezza che li rendono adatti non solo a piatti di carne ma ad un leggero invecchiamento. Sono vini di grande impatto, che ricordano i rosati del Salento ma con una freschezza ed un’austerità molto maggiore.

Sannas

Lo spazio (chiamarlo cantina è eccessivo) dove  Piergraziano Sanna produce il suo vino  è emblematico del “modus operandi” di Mamoiada. Fino a due anni fa Piergraziano  il vino lo beveva e basta, poi si è messo in testa di produrlo e, partendo da zero conoscenze enologiche e  zero esperienza in vigna e in cantina, ha creato il solito “cannonau miracoloso”.

Forse un po’ più rustico degli altri, ancora ruvido e coperto al naso, ma con tanta materia e tante possibilità di miglioramento. Sempre in quel luogo che anche lui stenta a chiamare  cantina ci ha fatto assaggiare una strepitosa granazza, peccato che ne faccia 100 litri si è no. Ci ha anche letto alcune ricette meravigliose che lui si diverte a scrivere e che uniscono l’amore della tavola ad una vena ironico-surreale , il tutto condito di sana cultura. Speriamo un giorno di proporvene qualcuna.

Sedilesu

I vini di Francesco mi piacevano anche 15 anni fa e credo di essere stato uno dei primi giornalisti a parlarne. Del resto Francesco è stato uno dei primissimi ad imporre il Cannonau di Mamoiada fuori dalla Sardegna e soprattutto a cercare di far capire le sue differenze e peculiarità rispetto agli altri Cannonau isolani.  Oggi ha messo su una cantina che niente ha da invidiare alle  più blasonate del continente ma continua e ricercare con la fatica delle braccia lo spirito del cannonau di Mamoiada.

Lo potremmo chiamare anche il “padre di Mamojà”, dell’associazione  che cerca di far conoscere i vini e le produzioni locali e sicuramente svolge, senza farsi molto vedere, la funzione di “chioccia” per tanti piccolissimi che vogliono provare ad imbottigliare. Come detto i suoi vini mi piacciono tutti anche se ho una particolare predilezione per il Mamuthone, il cannonau che molti anni fa mi fece capire l’eleganza e le possibilità di questo vitigno. Ma il vino che in questo viaggio mi ha sorpreso di più è stato il suo Erèssia 2016: un rosato di cannonau di una sapidità e profondità incredibile, un vino che comincia adesso a dare il meglio di sé e che mette un altro mattone alle grandi possibilità del rosato locale.

Graziano Deiana e il mondo dello sfuso

Purtroppo Graziano, sindaco storico di Mamoiada, ci ha lasciato da qualche mese, ma i sei  ettari e mezzo di vecchi vigneti ad alberello nella zona di Loret’ Attesu e la cantina vanno  avanti, grazie alla moglie di Graziano e al nipote Antonio. Ho detto cantina? Volevo dire “luogo” con vecchie botti e damigiane, anzi volevo dire posto miracolato, perché assaggi vini tenuti in botti che dire vecchie e malmesse è fargli un complimento e rimani a bocca aperta. Se imbottigliassero mi sarei riempito la macchina, perché qui ho sentito in maniera chiara come il cannonau possa aprirsi e distendersi, dare calore senza eccedere, potenza senza ingombrare, freschezza senza squilibrare. Non voglio esagerare ma (pur non mettendo ad appassire i vini)  qualche grande amarone farebbe una figura barbina a  confronto. Non ci sono parole per definire i vari assaggi e se penso che un vino del genere viene venduto sfuso a tre euro al litro rischio il tracollo mentale.  Uscendo di cantina ci siamo dati come scopo nella vita quello di aspettare il loro primo imbottigliamento per  riempirsi la cantina.

Approfitto di questo spazio dedicato a chi ancora non imbottiglia per segnalare altre due cantine che, piano piano, stanno provando a passare dallo sfuso alla bottiglia: la cantina Dessolis e Gianfranco Montisci. Due storie  completamente diverse: i primi produttori da sempre il secondo ristoratore convertito da poco al vino. Due nomi che, in futuro e con qualche minimo supporto tecnico, potranno dire la loro

Giampietro Puggioni

La vecchia cantina sociale, rimodernata e colorata in maniera ben visibile, è uno dei punti più in vista del paese. Qui Giampietro Puggioni produce una serie di vini sia bianchi che rossi, anche se naturalmente la parte del leone la svolge il cannonau, di cui ci ha fatto assaggiare tre versioni, tutte molto convincenti e dai prezzi interessanti. La grande cantina a più piani rischia oramai di divenire piccola per una produzione di quasi 200.000 bottiglie di vino e forse è il punto di approccio ideale per l’appassionato che vuole avvicinarsi alla realtà di Mamoiada. I suoi cannonau infatti  hanno quella riconoscibilità,  che unita ad una particolare facilità di beva (soprattutto  Isula e Mamuthone), invogliano al secondo e terzo sorso.

Pub Agricolo

C’è un piccolo locale a Mamoiada che apre pochi giorni all’anno, vende solo vino, birra e acqua ed è sempre talmente pieno che letteralmente non si riesce ad entrare se non, forse, dalla finestra. Si chiama Pub Agricolo ed è stato fondato da tre ragazzi,  Dario, Delio e Giuseppe, che stanno facendo parlare di questo locale a destra e a manca. Non contenti di questo luogo dove l’allegria sposa la follia perché, come diceva Erasmo da Rotterdam “Una cosa è certa, che senza un pizzico di follia non può esservi banchetto ben riuscito” , i tre si sono messi a produrre cannonau, naturalmente da vigne abbastanza vecchie, naturalmente a quasi 700 metri e naturalmente buono. Oltre ad essere buono è anche particolare grazie ad alcune note speziate e pepate e ad una rotondità tannica accompagnata da giusta freschezza. Nemmeno 2000 bottiglie, forse bastano per una serata al Pub Agricolo, ma non ci giurerei.

Cantina Gaia

Uno con un nome così non si poteva non visitarlo! In realtà la cantina si chiama Giorgio Gaia, è naturalmente piccolissima ma ben attrezzata, anche perché Giorgio è uno che prima di fare vino… faceva vino, ma per altri. Lavorava in una cantina non di Mamoiada e quindi ha tutte le conoscenze tecniche che servono. Ha piantato da qualche anno 2 ettari di vigna allevati a guyot e produce un solo vino, il Cannonau Nigheddu (che credo voglia dire nero), ma c’è una riserva in preparazione.  La versione 2016 del Nigheddu ha un frutto molto netto affiancato da note alcoliche importanti. In bocca ha la solita freschezza  data da questo magico territorio, con tannini vivi e pulsanti.

Francesco Cadinu

La legge dei tre euro al litro per lo sfuso è Vangelo a Mamoiada e anche nella grande (per la zona) cantina di Francesco si può acquistare vino a questa modica cifra. A proposito, se in una cantina locale vi domandassero “Vuoi assaggiare il vino bianco?” Non meravigliatevi se vi serviranno un rosato, perché da queste parti il vino bianco è questo.  Del resto una vecchia storiella afferma che a Mamoiada nemmeno l’acqua fa meno di 12°. I vini di Francesco hanno naturalmente una gradazione maggiore, in particolare il suo profumatissimo  moscato  De Oro (da quest’anno vinificato secco) di cui purtroppo produce solo poche centinaia di bottiglie.

Non è che del cannonau Perdas Longas , asciutto e austero, ne faccia molto di più e anche la  Riserva 2016, assaggiata dalla piccola botte, viene prodotta in dosi omeopatiche: ma questa è la (bella) realtà locale.

Vike Vike

La famiglia Sedilesu si è oramai “sdoppiata” e il giovin virgulto (virgulto per modo di dire, è grosso come un trattore grosso) Simone ha creato un suo marchio e una sua cantina. La traduzione del nome, dal sardo all’italiano è “Guarda guarda!” frase di uno che rimane piacevolmente stupito, per esempio assaggiando un vino. Di vini ne abbiamo assaggiati tre, una Granazza 2017, un rosato da cannonau dello stesso anno e un Cannonau 2016: quello che ci ha più colpito è il rosato, a cui dovremmo concedere  qualche mese per armonizzare tutte le belle cose annusate e gustate.

Vigne Muzanu

Salvatore Mele è pronto a giurarlo, il suo vigneto centenario non ha mai visto un trattamento che sia uno. Naturalmente gli credo, perché  tra uno e nessuno la differenza è minima. E mentre scrivo queste parole penso alla immensa fortuna di un territorio che è naturalmente al di sopra di qualsiasi discussione su biologico si-biologico no. Ci sono zone italiane viste come paradisi naturali che arrivano a fare anche 20-25 trattamenti in annate difficili e qui si arriva, quando va male, a due.

Dovrebbero scriverlo su tutte le etichette dei produttori associati a  Mamojà a lettere cubitali, perché sarebbe una calamita per chi ama il biologico, il cosiddetto naturale e biodinamico. E dalla vigna di oltre cento anni Salvatore mi ha fatto assaggiare un vino di otto primavere, non certo fatto per l’invecchiamento ma per il consumo familiare. Il naso sicuramente non era perfetto ma quella materia fresca e e lineare dei cannonau di Mamoiada era ancora integra. Dategli tempo, qualche minimo accorgimento tecnico e vedrete.

Cantina Mele

Il giorno in cui i rosato di cannonau di Mamoiada invaderanno il mercato saremo tutti più felici. Anche quello 2017  di Antonio Mele  è un rosato che sprizza profumi da tutti i pori con bordate fruttate e floreali di bella ampiezza. In bocca è grassottello ma fresco: un vino che  tiene tranquillamente testa anche a piatti importanti. Per i piatti molto più importanti c’è il suo cannonau 2016, con una bella pienezza tannica ed un naso che ricorda la melagrana e poi vira verso note speziate, mentre il 2017 è fresco e bevibilissimo per quanto può esserlo un vino di 14 gradi (che non si sentono). Anche qui da Antonio siamo in piena conversione, nel senso che dalla vendita di sfuso, si sta passando all’imbottigliato, che vedrà la luce quest’anno sotto il marchio Vinera. Se mi si permette la battuta, visto il bel futuro che l’attende, avrei chiamato i vini “Vinsarà”.

Gianluigi Montisci

Il suo Cannonau  Istimau 2016 ha vinto la medagli d’oro al concorso Grenache du Monde ed in effetti è un vino  più “rifinito” e rotondo di altri, pur avendo la solita bella struttura. Lo abbiamo degustato prima nella “stanza-cantina” di Mamoiada, attrezzata per ricevere l’assalto per la festa di Sant’Antonio Abate (quella dei Mamuthone)  o della “Notte Nighedda” e delle molte manifestazioni che a Mamoiada richiamano migliaia e migliaia di persone.

Nei suoi bei vigneti attorno alla  casa/cantina, che sta lentamente portando a termine sulle colline sopra a Mamoiada, invece la presenza umana è molto ridotta. Qui in pochi fortunati abbiamo fatto l’ultima passeggiata nei vigneti e il pranzo finale  prima di partire. Bei ricordi!

La gastronomia

A parte una cena a “La Rossa” l’unica seria enoteca/ristorante del paese, i nostri tre giorni ci hanno visto affrontare la meravigliosa cucina casalinga di Mamoiada. Lasciando un attimo da parte il superlativo Pane Carasau prodotto in loco, la carne la fa naturalmente da padrone: gli spiedi di maialino o di pecora sono ancora nelle nostre menti e nei nostri fegati, ma come dimenticare la trippa di pecora, dei particolari gnocchetti al ragù (sempre di pecora), le buonissime Sevadas e la prova regina per ogni invitato, il sangue di pecora caldo condito con erbe aromatiche e pane carasau che, ammetto, per me è stata una montagna troppo alta da scalare. E poi salumi, formaggi e mi scordo tantissimi piatti eccezionali che hanno a garanzia della loro bontà i tre chili presi in tre giorni.

Alla fine

Dedicheremo una degustazione della guida di Winesurf  solo ai vini di Mamoiada e in quell’occasione faremo un preciso punto tecnico sui cannonau che nascono in questo “pianeta”.  Chi vi “atterra”  e vuole farsi un quadro della situazione, degustando o comprando qualche vino, ha a disposizione una sola un’enoteca attrezzata . Si chiama Enoteca  La Rossa e il nome per un vecchio nostalgico come me è intrigante.

E’ piccola ma per adesso sufficiente, gestita da gente appassionata delle propria terra e dei vini che vi nascono. Guardandola da fuori mi sono sentito portato indietro nel tempo, ad oltre 30 anni fa, quando a Castiglion Falletto o a Montalcino, a Radda in Chianti o a Negrar c’era si e no un’enoteca che svolgeva il compito che La Rossa adesso incarna. Fra vent’anni sono convinto che Mamoiada avrà almeno 7-8 enoteche e diversi ristoranti, dove si potranno degustare i  vini di quei 40-50 produttori, oramai famosi e conosciuti da tutti. Vogliamo scommettere?

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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