Nel paradiso del Vigilius il 20° Trofeo Schiava5 min read

Il  Trofeo Schiava, o Vernatsch Cup è arrivato alla sua 20° edizione e come sempre si è rivelato lo strumento migliore (per molti versi unico) per fare il punto e capire “il momento” di questo vitigno altoatesino a bacca rossa, che cinquanta anni fa era onnipresente in regione  e adesso  non arriva nemmeno a 600 ettari (566). E’ però l’uva che rappresenta la storia viticola dell’Alto Adige nell’ultimo mezzo secolo, il vino che questa terra ha più nel cuore, anche se ha voluto/dovuto quasi abbandonarlo per entrare velocemente nel mondo del vino di qualità, dove oggi la schiava, forse più buona che mai,  fatica a trovare spazio.

Come da tradizione la finale, a cui ho partecipato assieme ad una quindicina di degustatori di varie nazionalità, si è svolta nello stupendo Hotel Vigilius, adagiato a 1500 metri d’altezza, da cui l’occhio può spaziare su mezzo Alto Adige.

La finale, per cui erano stati selezionati  32 vini, si è svolta in un silenzio rarefatto, con davanti le montagne altoatesine e ha premiato otto vini per le varie categorie del Concorso. La prima cosa da dire è che la qualità dei vini era veramente alta, nonostante l’annata 2022 sia stata calda e difficile, con un aumento medio dell’alcol e in diversi casi una diminuzione dell’acidità. Però la schiava è riuscita ad esprimersi molto bene sia con profumi classici del vitigno che con una rotonda eleganza che adesso la rende molto gradevole.  Per quanto mi riguarda i vini degustati andranno a far parte delle degustazioni  per la guida di Winesurf, soprattutto come ulteriore conferma degli assaggi che faremo in Camera di Commercio a Bolzano a partire da lunedì prossimo.

Eccovi l’elenco degli otto vincitori delle categorie in cui era diviso il concorso: Laco di Caldaro, Meranese, Santa Maddalena, Schiava Doc e Schiava “Matura”, cioè con qualche anno di invecchiamento

Lago di Caldaro Classico Superiore Doc Der Keil 2022, Manincor

Meranese Schiava Doc Schickenburg  2022, Cantina di Merano

Schiava Doc Hexenbichler 2022, Tramin

Santa Maddalena Classico Doc 2022, Waldgries

Lago di Caldaro Classico Superiore Doc 2022 Arthur Rainer, Seeperle

Schiava Doc Turmhof 2022, Tiefenbrunner

Santa Maddalena Classico Doc Gran Marie 2021, Fliederhof

Santa Maddalena Classico DOC Moar 2018, Cantina di Bolzano

Ma aldilà del concorso e  mi interessava capire come vedono questo vitigno e i vini che da lui nascono i produttori e grazie ad alcune interessanti discussioni mi sono fatto un’idea piuttosto chiara.

In primo luogo  la drastica diminuzione della superficie vitata a schiava (si è ridotta in 30 anni di oltre 2/3) ha come contraltare il grosso vantaggio che gli ettari rimasti sono vigneti vecchi o vecchissimi e quindi adesso perfetti per dare equilibrio, corpo  e struttura adeguati ai vini. Forse qualche ettaro è in zone molto basse e il cambio climatico porta a vini con gradazione alcolica alta e acidità non molto alta, ma fondamentalmente il “vigneto schiava” è forse adesso nel suo migliore momento per quanto riguarda la resa qualitativa.

Bisogna anche domandarsi quali sono i punti forti del vitigno e capire che non avendo acidità e corpo importanti alla fine quelli che reggono, con eleganza, “la baracca” sono i pochi tannini che il vitigno ha e che quindi debbono avere buona maturazione in vigna ed essere estratti con attenzione per conferirgli rotondità, equilibrio e soprattutto nessuna nota amara o secca.

I miglioramenti generali evidenti sono dimostrati anche dal fatto che non si trova, in Alto Adige, schiava nel mercato dello sfuso e che tanti produttori  non ne hanno praticamente da vendere. Non per niente i prezzi sono saliti e oggi per un buon Santa Maddalena si possono arrivare a spendere anche 35/40 euro. A parte però questi picchi  i vini a base schiava rimangono sempre quelli che portano meno guadagno in cantina e alla fine questa realtà pesa sulla voglia di piantarla o ripiantarla.

Comunque il dilemma sul perché un vino rosso con profumi particolari e inconfondibili, dal corpo leggero ma vivo, con tannicità accennata ma mai invadente, che può (per gli altoatesini deve) essere servito fresco e quindi svolgere sia il compito come aperitivo o come  vino a tutto pasto e , last but non least, può invecchiare benissimo per molti anni, non riesca a trovare un mercato più largo, non solo nazionale ma internazionale non è stato per niente svelato.

Probabilmente la risposta sta nei numeri attuali e nella storia passata, che porta con sé un retaggio di vino di basso profilo, specie per quelli che hanno più o meno la mia età e l’hanno bevuto in passato.

Però sul passato sarebbe bene metterci una pietra sopra e, considerando anche che per fare un vigneto di schiava non c’è bisogno di andare oltre i 450/500 metri, la regione Alto Adige, il consorzio e i produttori tutti potrebbero investirci con più consapevolezza e magari proporlo anche prima dei moltissimi bianchi che ormai rappresentano l’Alto Adige in Italia e nel mondo.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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