Da Mazzon a Gleno: un viaggio nel pinot nero dell’Alto Adige4 min read

L’occasione era troppo ghiotta per lasciarsela scappare: due giorni in Alto Adige a cercar di capire qualcosa sul Pinot Nero, in particolare quello prodotto nella storica zona di Mazzon e in quella emergente di Gleno.

Quindi dopo aver partecipato al Concorso Nazionale sul pinot nero  ho chiesto al mio amico e mentore altoatesino Peter Dipoli di organizzarmi un po’ di visite e così…

Per chi è abituato ai dolci declivi della Borgogna salire da Egna a Mazzon  è come scalare il Mortirolo. Per poche centinaia di metri la strada si inerpica con decisione e in un niente ti ritrovi nell’ultima curva importante, dominata da un crocifisso. Ancora 100 metri  e sei arrivato nell’ altipiano famoso oramai nel modo enoico italiano e non solo per i suoi pinot nero.

Sei arrivato ma non puoi fermarti, perché a Mazzon puoi trovare bei vigneti, case, cantine, una meravigliosa chiesetta e fantastici panorami ma di parcheggi nemmeno l’ombra.

Un posto naturalmente lo trovi , magari utilizzando le capezzagne e così puoi guardarti intorno con calma.

L’altipiano di per sé , con i suoi 52 ettari vitati (praticamente tutta la superficie utile, case escluse) è paesaggisticamente bello ma non va oltre. Per capire qualcosa bisogna guardarsi intorno: siamo sulla sinistra orografica dell’Adige,  come minimo 100 metri sopra  la piana del fiume,  ad un altitudine che varia dai 300 ai 450 metri. Se guardi verso l’altro versante alle tue spalle sentirai incombere lo strapiombo dei picchi che compongono il Parco Naturale del  Monte Corno, uno dei  fattori grazie al quale  il pinot nero viene bene.

Infatti a Mazzon grazie al Monte Corno i raggi del sole arrivano solo in tarda mattinata, permettendo così alle piante di godere un periodo maggiore di freschezza mattutina. All’opposto  la sera il sole abbandona molto tardi i vigneti e questo porta ad una immediata inversione  termica.

Quando sono arrivato a Mazzon con Michela Carlotto erano circa le 17 e il sole era ancora lontano dal tramontare. La passeggiata che ho fatto con lei nei vigneti, l’incontro e la chiacchierata con suo padre sono state il degno coronamento della visita fatta in precedenza in cantina ad Egna e dei relativi assaggi.

Pensate che  i nonni (il nonno ha adesso ben 104 anni!) di Michela  hanno fatto  i mezzadri a Mazzon fino al 1993 (sic!) e quindi Michela conosce quel fazzoletto di cinquanta ettari di terra come le sue tasche. Lo conosce meglio suo padre, con cui parliamo di come era Mazzon 30-40 anni fa. Le vigne c’erano ma c’erano anche alberi da frutto, prati per fare l’erba per le bestie, insomma c’era il pinot nero con un economia diversa. Del resto da questa foto che rubo dal bellissimo libro scritto a due mani da Michela e Peter Dipoli  si capisce come la situazione fosse diversa rispetto a quest’altra foto presa dall’alto.

Ma veniamo ai vini di Carlotto, che mi hanno fatto una notevole impressione. Mi ha impressionato molto positivamente anche Michela, enologa che non ha paura a porsi domande anche scomode e dà veramente molto poco per scontato.

Seria, riflessiva, molto profonda e precisa nei suoi ragionamenti ha vini che le somigliano molto. Per esempio il pinot nero 2014 è preciso sia al naso che in bocca, ancora austero, chiuso su se stesso e su fini note di rosa, si concederà forse tra due anni anche se già da ora è marcatamente varietale. Non è coperto da legno e non cerca scorciatoie per rimettere a posto una vendemmia difficile ma, per Michela assolutamente non negativa.

Ho avuto la conferma che i vini di Carlotto, pur esprimendo perfettamente il vitigno e il territorio hanno bisogno di tempo per dare il meglio di sé, stappando un 2008 che Michela mi ha gentilmente regalato. L’ho tenuta aperta per qualche ora e alla fine aveva un naso finissimo ma profondo, vibrante con un palato nitido e slanciato, con una chiusura lunga e piacevole.

Michela credo sia l’avanguardia di giovani enologi-produttori di cui sentiremo molto parlare.

Michela Carlotto

Di Gottardi invece sentiamo parlare da anni e finalmente sono potuto andare a visitarlo, ma sia di lui che di Brunnenhof, Kollerhof  e Castelfeder (con le vigne a Gleno!) vi parlerò nel secondo e conclusivo articolo.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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