“ ‘Un gli dia retta, l’è briaho!”
Questa frase, gridata ad un posto di blocco da chi stava seduto in auto dietro all’autista (che ero io) praticamente in faccia al carabiniere, ci costò un’ispezione accurata dell’auto e dei passeggeri. Tutto questo al gelo invernale delle tre di mattina e meno male ancora non esistevano gli alcol test, altrimenti sarebbe andata a finire molto peggio.
Era il 1991 e stavamo tornando per stradine interne da una bella cena a Suvereto: le stesse stradine però erano in quegli anni utilizzate per spostare vittime di rapimenti e così è spiegato cosa ci facesse un posto di blocco, a quell’ora, in un posto dimenticato da dio.
Anche la Val di Cornia nel 1991, dal punto enoico, era dimenticata da dio. Vi si producevano bianchetti a base trebbiano e rossi con sangiovese e magari un po’ di ciliegiolo: vini che difficilmente superavano l’anno di vita. Qualcosa comunque iniziava a muoversi ma eravamo veramente ai prodromi della Val di Cornia che conosciamo oggi.
In trent’anni è cambiato tutto e ne ho avuto la conferma lo scorso dicembre, durante la presentazione alla stampa del Consorzio di Tutela Dop Suvereto e Val di Cornia Wine. Il nuovo consorzio ha 27 produttori iscritti, Nico Rossi presidente e più di ottocento ettari di vigneto (la quasi totalità ancora a IGP Toscana) come patrimonio da gestire, da promuovere, da sviluppare.
E’ cambiata Suvereto, divenuta una vera chicca, un paesino da sogno, ma soprattutto sono cambiate le campagne attorno, grazie sia ai viticoltori locali che a quelli arrivati nel tempo da ogni dove. Un cambiamento completo, anche perché oramai di Sangiovese in Val di Cornia ne è rimasto pochissimo (e non è detto sia un bene…) perché poco anni dopo il 1991 arrivarono il cabernet sauvignon, il cabernet franc e il merlot, più recentemente anche il petit verdot e il syrah.
La Val di Cornia, con le Colline Metallifere che fanno da sfondo e la distesa azzurra del mare a pochissimi chilometri che è una garanzia in fatto di turismo, si trova in quella che viene definita Alta Maremma. In effetti anche se si trova a meno di 20 chilometri a volo d’uccello da Bolgheri e utilizza gli stessi vitigni, i suoi rossi, a parte delle eccezioni importanti e famose, hanno più cose in comune con la Maremma “vera”, quella che si dipana subito dopo Grosseto. La calda, alcolica, potente imponenza di tanti vini, la tannicità in diversi casi ancora brusca e soprattutto un difficile allineamento tra queste caratteristiche ricordano infatti più i vini importanti della zona del Morellino di Scansano che non quelli di Bolgheri.
Me ne sono reso conto a più riprese: sia durante la degustazione di annate storiche, dove è stato anche presentata un primo studio per una ripartizione in tre aree dei suoli della Val di Cornia, sia durante la degustazione con i produttori.
Nel primo caso, con vini che partivano dal 2004 e arrivavano al 2016, mi sono accorto come quelli dal 2004 al 2009, che magari negli anni della loro (prima) giovinezza potevano essere nati e visti come frutto di un estrema concentrazione, negli anni sono riusciti a rendersi rotondi e armonici, levigando i tannini e creando un perfetto habitat per l’alcol, non certo basso.
Invece in diversi campioni degli anni successivi, fino all’ultimo del 2016, forse a causa dei cambiamenti climatici (ma non solo), l’alcol prende il comando delle operazioni e la tannicità sembra rincorrerlo inutilmente, rimanendo comunque separata e piuttosto brusca.
Anche nella degustazione dei vini più recenti, ai banchetti con i produttori, una buona fetta dei vini tradiva la voglia di “miracol mostrare”, che cozzava però anche contro un andamento climatico sempre più caldo e siccitoso, che imporrebbe quindi grande attenzione e piede sul freno nel gestire lo sviluppo della vigna prima, fermentazioni e maturazioni dopo.
Ci sono grandi potenzialità nelle vigne della Val di Cornia ma in diversi casi, dovrebbero essere sfruttate con più elegante parsimonia, visto anche l’andamento climatico.
Attenzione: qui non si discute della longevità o della potenza dei vini ma di un equilibrio che non è facile da trovare e che dovrebbe essere lo scopo futuro del consorzio e dei produttori, magari sotto il cappello della DOCG Val di Cornia.
Ma la Val di Cornia mi ha mostrato anche una faccia meno conosciuta ma non per questo qualitativamente inferiore, quella relativa ai bianchi. Vermentino e ansonica si stanno smarcando dalla classica versione fresca e giovanissima. Ho infatti assaggiato almeno 7-8 Vermentino e alcune Ansonica (di cui una passita, buonissima) di almeno 3/4 anni e tutti i vini mostravano sapida freschezza e notevole presenza al palato, per no parlare di nasi che tendevano verso finissime note floreali e di pietra focaia. Credo che in questa terra la produzione dei bianchi vada seguita con grande attenzione e li metto sin da ora (assieme ai rossi, naturalmente) tra gli assaggi della guida di Winesurf per il 2022-2023.