Guida vini 2024. Chianti Classico: buoni i vini ma la strada è quella giusta?7 min read

I nostri assaggi in Chianti Classico ci hanno presentato un panorama variegato che ci ha lasciati con dubbi che non riguardano tanto la qualità dei vini ma la strada che sta prendendo questa denominazione.

Sangiovese OK, ma dove sono andate le altre uve?

Prima di parlare di annata, riserva o gran selezione occorre fare un discorso a monte che parte da una domanda “Fermo restando l’importanza del sangiovese, dove sono andati a finire tutti gli altri vitigni, autoctoni o meno?” Ci sentiamo di fare questa domanda perché sia assaggiando i vini che andando a controllare gli uvaggi ci siamo trovati di fronte ad un mondo dove, in pochissimi anni, il sangiovese è diventato quasi l’unico attore della denominazione. Se il discorso era già “indirizzato” per la Gran Selezione negli ultimi anni i Chianti Classico annata hanno sostituito una buona fetta delle uve che, in misura del 20% entravano nell’uvaggio (canaiolo, colorino, malvasia nera, ma anche merlot e cabernet sauvignon) con l’ormai imperante sangiovese. Sicuramente non sono sparite dalla circolazione (almeno spero) ma sono andate a comporre dei piacevoli IGT e magari potranno tornare utili in futuro.

Dico questo perché se 40 anni fa, per dare man forte a dei sangiovese balbuzienti (e alle altre uve autoctone non certo in grande spolvero) ,  arrivarono merlot e cabernet sauvignon oggi, con questa situazione climatica molto complessa che vede variazioni repentine e importanti delle temperature, piogge torrenziali magari dopo lunghi periodi di siccità, incertezze generalizzate durante quasi tutto l’arco dell’anno, puntare su un singolo vitigno, pur caratteristico del territorio e con grandi qualità, mi sembra un po’ miope. Oramai non solo tanti merlot e cabernet sauvignon “chianteggiano” molto bene, ma anche le classiche uve chiantigiane come canaiolo, colorino e malvasia nera potrebbero essere un bel paracadute in tante situazioni.

Gran Selezione: qualità molto buona a scapito della territorialità

Altro argomento importante riguarda la Gran Selezione, mediamente nei nostri assaggi mai di qualità così alta dalla sua creazione. Questa è sicuramente una bella cosa, che però ha un risvolto un po’ meno positivo. La qualità alta non è solo merito di ottime uve (che magari potevano aiutare tanti vini d’annata…) ma anche di tecniche di cantine che riescono a levigare tannini, migliorare aromi, presentando vini dove il sangiovese è in una specie di gabbia dorata, che piacerà tanto al mercato americano ma che è sempre meno rispondente alla diversità chiantigiana.

Questo è ancora più grave perché è l’unica denominazione su cui si basano Le UGA e quindi quella dove si dovrebbe riconoscere da lontano il terroir. Abbiamo fatto una provas:  quest’anno le bottiglie di Gran Selezione, al momento di essere bendate, sono state divise per UGA e se da una parte, come detto, abbiamo trovato una qualità molto alta, dall’altra le diversità tra UGA e UGA erano quasi inesistenti o comunque molto meno riscontrabili di quanto ci si potrebbe aspettare. In definitiva si punta a fare un ottimo vino, che però tende sempre più ad assomigliare alle altre ottime Gran Selezioni e sempre meno al contesto in cui nasce. Un vino molto buono ma forse troppo tarato su quello che vuole il mercato e non su quello che potrebbero dare le grandi diversità di terreno, di esposizione e di altitudine del Chianti Classico.

Riserva: una valida alternativa, specie per chi cerca rispondenza al territorio

La Il Chianti Classico Riserva è forse, oggi come oggi, la denominazione che riesce a proporre diversità territoriale affiancata da qualità comprovata. E’ qui che sentiamo di più i sani spigoli del sangiovese, le balsamicità quasi da macchia mediterranea delle uve bordolesi quando sono presenti, alcune durezze dovute all’altitudine e determinate rotondità figlie di vigne un po’ più calde. Insomma è un vino più “acqua e sapone” (se mi passate il termine) e vi consigliamo di cercare qui quelle differenze che dovrebbero mostrare le gran Selezioni.

Detto questo veniamo ai vini e alle annate degustate.

I Chianti Classico d’annata sono quelli che oramai hanno meno paracaduti di tutti e in qualche caso mostrano, specie in annate come la 2022, accanto a buone e ottime produzioni, alcune caratteristiche non proprio positive sia del sangiovese che di questo bellissimo territorio. Per esempio  la caldissima e siccitosa 2022 non ha certo sfornato tannicità suadenti e in generale la rusticità del tannino è un dato da tenere in considerazione. Da tenere in considerazione è anche il fatto che oramai i Chianti Classico annata escono con cadenze più diluite: oramai sono anni che almeno il 50% dei campioni sono di annate precedenti quella in commercio e quindi anche quest’anno accanto ai 2022 abbiamo degustato molti 2021 e diversi 2020. La 2021 ci ha confermato in buona parte quanto dicemmo l’anno scorso, cioè una certa “fresca leggerezza” che magari sfocerà in diversi casi in eleganza ma comunque ha e avrà di base una mancanza di concentrazione ma non di equilibrio, caratteristiche che potrebbero risultare anche positive in ottica invecchiamento. Se volessimo fare il “giochino delle UGA” applicato al Chianti Classico annata ci troveremmo a dover osanna l’UGA San Donato (e Poggibonsi) perché i 2 VINI Top del 2021 sono proprio di questi due comuni. I 2020 si confermano figli di una buona annata, sottostimata solo perché venuta dopo la meravigliosa 2019 e qui il giochetto di prima premierebbe Gaiole, con 1 VINO TOP. Purtroppo la 2022  non ha avuto VINI TOP, soprattutto per  i palati che si portano dietro una certa rigidezza, mentre i nasi sono aperti e con decise note fruttate, in diversi casi floreali.  Qui il solito giochino, pur non partendo da VINI TOP ma comunque da ottimi punteggi,  toccherebbe quasi tutte le UGA.

E la Riserva 2021? E la Gran Selezione 2021?

Un’annata giocata su equilibrio e eleganza! Questo dato, scaturito dai vini d’annata lo ritroviamo tra le Riserva, che in più hanno una maggiore spigolosità attuale ma con prospettive di maturazione e invecchiamento molto positive. Qui ci corre l’obbligo di far notare come un moderato uso di uve “bordochiantigiane” cioè merlot e cabernet sauvignon allevati in Chianti Classsico da 30-40 anni, possa dare una nota aromatica più fresca e anche una setosità leggermente accentuata. Piccolo inciso per le Riserva 2020, che confermano la bontà di un’annata poco considerata.

Chiudiamo con la Gran Selezione 2021: qui le cose cambiano perché l’annata assume, come per miracolo,  un peso maggiore al palato, assieme ad una rotondità e una potenza da “ex Supertuscan”. Quasi l’80% dei vini degustati ha ottenuto almeno 80  punti (lo diciamo ancora, per noi non sono pochi), ma non vogliamo non pensare a come sarebbero stati i vini base se tutte queste uve fossero andate lì: forse l’annata sarebbe stata considerata migliore. Del resto se cominci a fare una o due Gran Selezioni, una (o due) Riserva, “forse” l’annata ne potrebbe risentire. Ma aldilà di queste elucubrazioni che non possono avere una chiara conferma resta il fatto che oramai questa tipologia può combattere ad armi pari con Barolo, Brunello e compagnia. Se questo era lo scopo ci sono riusciti, speriamo solo non paghino dazio gli altri vini della denominazione.

In chiusura un ringraziamento al Consorzio del Chianti Classico che da sempre ci aiuta nel nostro lavoro è doveroso: senza di loro saremmo proprio nei guai. Grazie, Grazie, Grazie.

La foto di copertina è di Joshua Choate da Pixabay

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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