Ed eccoci alla seconda parte dei nostri assaggi chiantigiani, quelli che riguardano le Gran Selezione e gli IGT prodotti nel territorio.
La sorpresa relativa alla Gran Selezione, vino presentato pochi anni fa come la prospettiva futura del Chianti Classico, è nei numeri: come accennato nell’articolo su 2015 annata e 2014 Riserva, solo 4 fascette su 100 rilasciate dal consorzio riguardano questa tipologia. Visto che fascettare non vuol dire necessariamente vendere, possiamo presumere che la quota di mercato di questo vino si attesti attorno al 3-3.5% delle vendite totali della denominazione.
Non si può certo dire che abbia sfondato come vendite ma forse potrà essere servito a portare almeno un po’ in alto i prezzi. Questo lo speriamo per tutti i produttori chiantigiani, che non trovano grande remunerazione nel produrre dei buoni Chianti Classico.
Della Gran Selezione abbiamo degustato soprattutto 2013, con un discreto numero di 2014 già in commercio e una piccola coda di 2012-2011. I 2013 ci sono sembrati in primo luogo molto diversi tra loro, sia dal punto di vista olfattivo che strutturale: difficile adesso ricondurli ad un minimo comun denominatore, a maggior ragione se questo fosse il sangiovese.
Lo strano rapporto Jekyll-Hyde
Vorrei andare oltre e riportare una sensazione condivisa dagli altri degustatori di Winesurf: il modo di esprimersi con il Chianti Classico che hanno molte aziende è completamente diverso quando si passa alla Gran Selezione: la voglia di creare il “grande vino” spesso prende un po’ troppo la mano e rende questi vini (che dovrebbero essere frutto del cuore aziendale) come un oggetto misterioso, un qualcosa dove il sangiovese non riesce ad uscir fuori con la stessa chiarezza.
Si assiste a questo rapporto Jekyll-Hyde in diverse cantine e la domanda che ci siamo fatti noi forse se la potrebbe porre anche un consumatore finale “Ma, tra questi due vini, qual è quello con il sangiovese?”. In effetti la vicinanza stilistica che esiste praticamente sempre tra annata e riserva, con la Gran Selezione si rarefà, si disperde: questa dicotomia non è certo quello su cui si puntava all’inizio, quando si è presentata la Gran Selezione come espressione più pura e precisa (nell’ottica sangiovese) delle cantine chiantigiane.
Ma torniamo ai vini degustati con i 2014, che sono figli dell’annata e, dobbiamo ammettere, sono stati giocati seguendo abbastanza l’andamento vendemmiale: sono quindi centrati sulla ricerca di equilibrio ed eleganza, senza voler eccedere.
E gli IGT?
E “senza voler eccedere” potrebbe essere anche il motto degli IGT chiantigiani di varie annate e tipologie: abbiamo infatti degustato anche gli IGT d’annata, non solo i potenziali o reali Supertuscan, e la sensazione generale è di libertà, la libertà di poter fare in Chianti Classico buoni e ottimi vini anche con uve diverse dal sangiovese senza sentirsi dei “traditori della patria”.
Finalmente crediamo sia definitivamente superata la paura che uve non autoctone possano soppiantare il sangiovese anzi, è ormai chiaro che le prime possano avere un ruolo definito ma secondario nei vini DOCG, che diventa assolutamente primario negli IGT. Abbiamo degustato tanti buoni vini, piacevoli, armonici, ben fatti, dove le gamme aromatiche e le strutture di bocche parlavano lingue diverse ma tutte con la freschezza (anche nei 2012 e 2011) delle terre chiantigiane. Ci sentiamo di poter dire che alcuni IGT giovani sono un bel connubio tra piacevolezza, corpo e prezzi giusti, mentre i Superturscan stanno assumendo sempre più vesti disinibite e amicali, pur mantenendo strutture importanti. Sull’altro versante è sempre un piacere trovare dei Supertuscan dove il sangiovese di razza dice prepotentemente la sua e rivendica con forza una “bonaria mano longa” sul territorio.
A questo punto aspettiamo le anteprime di febbraio per farvi sapere qualcosa sulle nuove annate chiantigiane.