Degustazione Dolcetto: Dogliani e Diano bene mentre il Dolcetto d’Alba è alle prese col… Barolo5 min read

Iniziamo con i Dolcetto delle tre denominazioni più importanti la presentazione dei nostri assaggi piemontesi “in rosso”. A questi seguiranno nei prossimi giorni la Barbera d’Alba e i Roero di varie annate, i Barbaresco 2018 e i Barolo 2017.

Quasi 100 Dolcetto degustati tra Alba, Dogliani e Diano e suddivisi in due annate (2019-2020) ci permettono di fare un quadro abbastanza preciso di quest’uva/vino, sicuramente poco considerata da tanti produttori e da tanto mercato negli ultimi 10-15 anni.

Il quadro che ne viene fuori è piuttosto variegato e vede alti e bassi non tanto qualitativi quanto “fiduciari”, nel senso che si riesce a percepire dove i produttori abbiano ancora fiducia, credano ancora in questo vitigno e dove invece viene prodotto perché la vigna c’è e magari un po’ di bottiglie di Dolcetto possono essere vendute senza problemi.

Se diamo un’occhiata ai numeri lo capiamo sicuramente meglio. Per esempio anche se a Dogliani dal 2007 gli ettari vitati sono calati del 26% (da 1076 a 788) oramai da diversi anni le bottiglie prodotte si sono attestate su 3 milioni circa. A Diano d’Alba succede praticamente la stessa cosa: una diminuzione di ettari dal  2007 del 30% (da 303 a 211) ma negli ultimi 5-6 anni le bottiglie prodotte rimangono stabilmente attorno alle 900.000. Se invece parliamo di Dolcetto d’Alba a fronte di una diminuzione degli ettari di ben il 40% (da 1707 a 968) si è assistito dal 2016 ad oggi a una diminuzione di imbottigliato del 26% (da 7.800.00 a 5.800.000) a cui si affianca anche un crollo del Langhe Dolcetto imbottigliato, che dal 2014 ad oggi è sceso di circa il 50%.

I numeri parlano chiaro ed è facile interpretarli: anche se la situazione è e resta molto difficile per chi produce Dolcetto, in zone dove questo vino è comunque quello più importante la situazione di mercato è complessa ma piuttosto stabile e i produttori cercano in ogni modo di mantenere lo status quo , mentre dove il Dolcetto è il “vino d’ingresso”, stiamo parlando del Dolcetto d’Alba, gli ettari vengono tolti per far spazio al nebbiolo e così le bottiglie si riducono notevolmente.

Langhe

Dolcetto d’Alba

Partiamo proprio da questo vino per analizzare i risultati degli assaggi. Il Dolcetto d’Alba oramai, nella stragrande maggioranza dei casi, non è solo il vino d’ingresso per tanti produttori di Barolo e Barbaresco, ma è diventato quasi un impiccio. Deve essere vendemmiato molto prima dei nebbioli  (anche della Barbera) e quindi occorre non solo aprire prima il periodo dedicato alla vinificazione, ma poi bloccare tutto per attendere la maturazione delle altre uve, con logici problemi organizzativi. Naturalmente ci sono anche produttori che lo fanno volentieri e riescono a produrre ottimi Dolcetto, ma la sensazione  generale rimane questa e si acuisce in annate come la 2020 che, per esempio, aveva bisogno di molte cure per evitare di rendere più nette le sensazioni tanniche pungenti del vitigno. Rimanendo su quest’annata notiamo una “stranezza” aromatica che abbiamo riscontrato in tanti vini, ma bianchi, del 2020: la predominanza di note floreali rispetto a quelle fruttate. Naturalmente il frutto c’è ma non è così “esplosivo” come si poteva pensare e se a questo aggiungiamo una maggior presenza tannica, in diversi casi abbastanza ruvida, la vendemmia 2020 per il Dolcetto d’Alba non può essere inserita tra le migliori. Mentre ci va di diritto la 2019, non tanto per il grande frutto che esprime, la rotondità tannica e le strutture importanti, ma perché dimostra come il Dolcetto sia un vino che, in annate adatte, (ma non sono poche) può tranquillamente essere bevuto dopo 3-4 anni senza problemi. Un bel numero di 2019 lo stanno a dimostrare e questo è importante per un vino considerato da molti “d’annata”.

Diano d’Alba

Diano d’Alba

Sembra incredibile ma basta spostarsi di qualche chilometro e il Dolcetto 2020 diventa un’altra cosa: frutto intenso, frutta di bosco, bella rotondità e pienezza con tannini ben fusi. Tutto quello che ci si aspetta da un Dolcetto giovane e pimpante. A Diano d’Alba sicuramente sanno come fare il Dolcetto ma il ristretto numero di campioni arrivati non ci permette di andare oltre alcune annotazioni più “ad aziendam” che generali. Oramai vi sono cantine che, anno dopo anno, garantiscono Dolcetto di DIano o Diano (fate voi…) di alto profilo, dotati di caratteristiche talmente positive  che non si capisce come non possano essere considerati tra le migliore produzioni di Langa. Però il discorso si ferma qui e purtroppo una piccola zona come Diano dovrebbe presentarsi compatta per almeno provare ad avere quel “peso comunicativo” che i vini di questa terra meritano.

Dogliani

“Forse per la prima volta ci siamo trovati davanti a dei Dogliani che hanno imparato dagli errori”. Questa frase ci è venuta in mente alla fine dell’assaggio, commentando una degustazione dove finalmente la ricerca di potenza e grassezza ha lasciato spazio ad una più centrata presentazione di equilibrio e dinamicità, anche tannica. Lasciando oramai da parte (non in toto…) l’uso esagerato del legno i Dogliani 2020 e 2019 (ma anche qualche 2018) si sono presentati come vini più “smart” che hanno abbandonato la voglia di superare altre vini per vivere appieno le proprie ottime caratteristiche. Non c’è solo frutto e buon corpo, c’è un insieme di levigata, fresca ma profonda pienezza che si ripropone in diversi vini e che presenta il Dogliani sotto una veste più pacata ma molto più accettabile. Siamo felici di questa evoluzione e contenti anche del fatto che questa strada venga seguita non da un solo produttore ma da nomi sicuramente  importanti nel territorio. Quindi accanto a delle sensazioni olfattive classiche, sia i 2020 che i 2019 mostrano una equilibrata pienezza e una interessante dinamicità che ci fa intravedere buone possibilità di invecchiamento, nell’ordine almeno dei 5-7 anni.

In conclusione un quadro con molti punti positivi e alcuni negativi, che riguardano però, come detto, più la “voglia” di produrre Dolcetto che i risultati finali.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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