Decanter vol 48. Americhe e Toscana!10 min read

In pratica uno speciale dedicato alle Americhe, con “l’intrusione” del report sulle ultime annate di due grandi rossi toscani: Chianti Classico e Vino Nobile di Montepulciano

Ad aprire la serie dei servizi di questo numero è il racconto, firmato da Tim Atkin, dell’influenza della vitivinicoltura francese in Argentina: una storia che ha ormai 150 anni, nel corso della quale sono stati numerosi i winemakers e  gli imprenditori francesi- a cominciare dall’ampelologo Michel Aimé Pouget, che , intorno al 1850, importò il malbec dal Lot – i quali, recatisi in Argentina,  hanno profondamente segnato il mondo del vino di quel paese con la loro spinta innovatrice e l’assunzione del rischio. Atkin descrive le diverse fasi della  penetrazione transalpina in Argentina, dall’incontro, negli anni ’60 del Novecento, tra il grande enologo Emile Peynaud e Don Raul de la Mota, uno dei maggiori imprenditori del vino argentino con le Cavas de Weinert, ai primi investimenti e alle joint ventures, l’influenza di Michel Rolland, fino ai giorni nostri.

A conclusione, sono riportati i 12 vini che secondo Atkin meglio esprimono l’eredità francese nel vino argentino. Al vertice un malbec di Mendoza con un 24% di cabernet sauvignon, nato dall’incontro di due talenti, Fernando Buscema e Philippe Rolet, il Caro 2018 delle Bodegas Caro, a cui Atkin assegna 98/100.

Nell’articolo che segue (uno dei due dedicati al Nord America) Karen Mc Neil presenta l’ascesa del cabernet franc californiano. Trainato dal successo del cabernet sauvignon, ma ancora largamente minoritario, con poco meno di 1.400 ettari (di cui 500 circa nella Napa Valley) contro gli oltre 38.000 del cabernet sauvignon, il cabernet franc incontra un crescente gradimento da parte degli appassionati, che trovano molto intrigante quel carattere verde che al contrario  non tollererebbero in un cabernet sauvignon. Tra i favoriti della Mc Neil, uno dei due franc che hanno raggiunto il punteggio più elevato della degustazione (97/100) è l’Atlas Peak di Antica, azienda fondata nella Napa Valley da Antinori nel 1993. Più avanti i lettori di Decanter potranno leggere anche un itinerario di Katie Kelly Bell dedicato alle offerte, sempre più ricche, di cibo e di vini delle principali wineries californiane, della Napa Valley e di Sonoma, per i wine lovers.

Williamette Valley

Meno conosciuti dei pinot noir e degli chardonnay, si fanno strada i pinot gris della Williamette Valley, nell’Oregon. Ne parla Clive Pursehouse in un articolo che illustra la crescita dell’interesse per questa varietà, spinto anche dalla popolarità dei nostri Pinot grigio. I risultati qualitativi ottenuti, grazie anche alla ricchezza e varietà di terroirs di questa regione, sono molto promettenti, come mostrano i 96/100 ottenuti dal Pinot Gris Old Vine 2018 delle Chehalem Mountains di Ponzi Vineyards,   e ci sono almeno cinque winehouses, scelte e segnalate da Michael  Alberty, che meritano attenzione.

Un ultimo articolo , dedicato ai  distillati messicani ricavati dall’agave (il mezcal, la raicilla e la bacanora) chiude il capitolo  nord-americano di questo numero , e comincia quello, decisamente prevalente, dedicato ai vini sud-americani.

Due articoli, rispettivamente dedicati ai Pais cileni e ai bianchi uruguayani, precedono le grandi degustazioni comprese nella “Buying Guide”, che chiude come sempre la rivista.L’articolo della Barnes  tocca un territorio del Sud America sviluppatosi dopo quelli dell’Argentina e del Cile, l’Uruguay, finora conosciuto soprattutto per i suoi vini rossi, con il tannat , altro vitigno proveniente dal Sud-Ouest francese, come protagonista. Negli ultimi anni, però, diversi viticultori ed enologi innovativi, hanno cominciato ad esplorare strade nuove,  elaborando alcuni vini bianchi di un certo interesse. Alla metà degli anni ’90, infatti, l’Istituto Nazionale della Viticultura, aveva formulato un piano finalizzato alla produzione di vini bianchi di qualità. Dopo un periodo sauvignon blanc, sostenuto da un consulente neo-zelandese, Duncan Killiner, chiamato a collaborare da una dozzina di aziende -soprattutto nel terroir di Canelones, molto simile a quello dell’Entre-Deux Mers bordolese-, la famiglia Bouza diresse la propria attenzione sull’albariño galiziano, e il loro esempio fu presto seguito da altri vignaioli. Il successo di questa varietà originaria delle Rias Baixas, ha aperto la strada all’impiego di molte altre uve, dal manseng e la marsanne francese all’arneis e al pinot grigio italiano. Un Riesling del 2019 di Bouza e un Albariño da vigna singola del 2020 di Garzon, entrambi dell’area di Maldonado,  sono i vini Top per Barnes, con 94/100.

Vigneti cileni

Eccomi ora al país. Il país è per Smith il classico vitigno Cenerentola. Probabilmente originario della Castilla-La Mancha, nella Spagna centrale, arrivato nell’America del Sud, in Cile, è stato per lungo tempo un tesoro segreto. Dapprima utilizzato nella parte meridionale del territorio per la produzione dei rustici vini “pipeños”, fermentali nelle “rauli pipas” (larghi tini di legno aperti), fu largamente espiantato quando cominciò a svilupparsi l’industria del vino, perché i pais apparivano troppo chiari di colore e troppo rustici per competere con le varietà internazionali. Una tappa importante fu l’arrivo, nel 1998, di un winemaker borgognone che aveva lavorato con Lapierre, Louis-Antoine Luyt, che negli ultimi venti anni ha mostrato come da questo vitigno si possano ricavare vini di qualità secondo la filosofia “naturale”. Poi l’agronomo Roberto Henriquez Ascencio e Leonardo Erazo, enologo argentino di A Viñateros Bravos, diversi coltivatori e winemakers cileni  hanno cominciato a produrre e imbottigliare i loro Pais con risultati via via migliori. Il resto è storia recente, che l’articolo ricostruisce dettagliatamente. Ora l’invisibilità del país sembra finalmente finita e Smith ha potuto censire diversi campioni di qualità interessante. Migliori risultati riscontrati nella degustazione sono stati quelli di un Pais da vigne di 150 anni di Ignacio Pino Roman, l’Itata 2020, e un País Franco da vigne ancora più vecchie (200 anni) di Roberto Henriquez, entrambi valutati 93/100. Che sia la strada giusta è dimostrato anche dal fatto che diversi vini abbiano raggiunto la soglia dei 90 punti ed altri vi siano molto vicini.

Concludo la sezione sudamericana con un cenno ai due Panel Tasting della “Buying Guide”. La prima degustazione ha riguardato i bianchi Premium di Cile, Argentina e Uruguay (assente il Brasile). 75 vini, di cui 6 sono risulltati “Outstanding” (oltre 95/100) e 48 “Highly Recommended (90-94), il che significa che oltre il 70% dei vini del campione hanno raggiunto o superato la soglia critica dei 90 punti. I due col punteggio più alto sono entrambi cileni: 96/100 per uno Chardonnay  della Aconcagua Costa, il Las Pizarras 2019 di Errazuriz e per uno Chenin blanc in purezza  della Maule Valley, il Cementerio 2020 di Longavì. A quota 95 sono altri tre bianchi cileni (uno Chardonnay e due Sauvignon) di Undurraga e l’unico vino argentino del plotone di testa, uno Chardonnay di Catena Zapata.

La seconda degustazione è toccata ai rossi sudamericani da vigne vecchie di Argentina, Cile e Uruguay. 116 i vini degustati, con 8 “Outstanding” e 70 “Highly Recommended” , con il 68% del campione a 90 o più centesimi. Anche in questo caso, quindi, risultati eccellenti.  Vino Top non è stato né, come ci si sarebbe potuto attendere, un Cabernet-Merlot-Carmener cileno o un Malbec argentino, ma un Cinsault cileno di Itata, il Monk Cinsault 2019 di Pedro Parra (96/100). Dei 7 vini del gruppo di testa, a quota 95, ben 5 sono anch’essi cileni (tre Carignan e due  Cinsault) e solo due Malbec argentini di Mendoza.

Infine Amanda Barnes ha selezionato i 20 migliori sparklings sudamericani, tra i quali sono ancora Cile e Argentina a fare la parte del leone, ma con alcune intrusioni brasiliane e uruguayane: una di esse, un Blanc de Noirs brut 2017 della Serra Gaucha brasiliana della Cave Giesse è nel gruppo dei cinque migliori.

Eccomi finalmente ai rossi toscani. Questo report di Michaela Morris segue quello precedentemente dedicato al Brunello di Montalcino. In esame, questa volta, sono le altre due denominazioni più importanti del sangiovese toscano: il Chianti Classico della vendemmia 2020, con le riserve e i Gran Selezione del 2019, e il Vino Nobile di Montepulciano 2019 con le riserve del 2018. Entrambe sono denominazioni di qualità molto elevata e “great value”, ossia con un rapporto ancora assai favorevole per quanto riguarda i prezzi. Quella del  2020 del Chianti Classico (4 stelle su 5 nella valutazione di “Decanter”) è stata un’ottima annata: un’annata nella quale-affermano i produttori- si è lavorato soprattutto in vigna, più che in cantina o nelle fiere,  a causa delle restrizioni Covid. Una bella primavera, un’estate lunga, senza notevoli picchi di calore e abbastanza fresca di notte, senza grandinate e un elevato stress idrico: insomma una bella annata, di qualità e anche di quantità. I vini mostrano una piacevole acidità, più struttura che tannini, alcol moderato e una grande bevibilità: tutto ciò che occorre per essere apprezzati dal mercato, già entusiasmato dalla nascita delle UGA. Tra le versioni più brillanti del 2020, spiccano, secondo la Morris, Cigliano di Sopra, Istine e Montesecondo, con 92/100. Molto apprezzabili anche Rocca di Montegrossi, Brancaia, Podere di Castellinuzzo ,  Sacello di Arillo di Terrabianca e Bibbiano.

Per quanto riguarda le Riserve e i Gran Selezione, se non è ancora del tutto risolto il dilemma della loro effettiva distinguibilità, l’annata 2019 risulta di grande valore. Le piogge della tarda primavera hanno permesso di ricostituire le riserve d’acqua necessarie, un mese di maggio fresco e umido ha provocato un certo rallentamento della crescita, poi un’estate calda, con temperature stabili e pochissime precipitazioni, con un mese di settembre con tempo clemente e forti escursioni. I vini non sono eccessivamente corpulenti, non hanno   la densità di quelli del 2016, né la spiccata maturità di quelli del 2015, ma sono eleganti e sfaccettati, ricchi di dettaglio, con tannini ottimamente rifiniti, che sostengono più che imporsi. Quanto ai Gran Selezione, hanno struttura, senza pesantezze, sono freschi ed equilibrati, con una buona gestione del legno.  Le valutazioni delle migliori cuvée attestano un risultato molto positivo: 97/100 il Vigna Gittori Gran Selezione di Riecine (miglior punteggio della degustazione), 96 il Terrazze di San Leonino Gran Riserva di Fontodi e il Vigna Cavarchione di Istine, 95 il Badia a Passignano Gran Selezione di Antinori, il Vigna Barbischio Riserva di Maurizio Alongi, la Riserva Bugialla di Poggerino, 94 la Riserva di Riecine , il Vigna del Capannino Riserva di Bibbiano, Isole e Olena e Tenuta Carleone.

Montepulciano

Le annate sotto esame del Vino Nobile di Montepulciano sono state la 2019 e le riserve del 2018. Nel 2019 il meteo è stato abbastanza instabile nel periodo della fioritura, in parte compensato da un buon periodo successivo, che ha consentito una lenta maturazione con temperature più fresche in settembre. Una vendemmia generosa ma con unanotevole concentrazione,  acidità abbondante  e aromi complessi, pur con differenze tra le varie sottozone. Migliori risultati della degustazione sono stati quelli del Nobile di Boscarelli (94/100) e, leggermente al di sotto, de La Spinosa de Il Molinaccio (93) e di Salcheto (92). Quanto all’annata precedente è risultata fresca e piovosa fino a metà luglio, poi con temperature in progressiva crescita e meno precipitazioni. Nonostante le alte temperature, la 2018 appare come un’annata fresca che ha dato vini vibranti e piuttosto snelli, “fine-grained” , ma non necessariamente adatta per le riserve in generale. All’assaggio le Riserve più convincenti sono state quelle di Boscarelli, Le Bertille e Salcheto, tutte con la valutazione di 91/100.

Guglielmo Bellelli

Nella mia prima vita (fino a pochi anni fa) sono stato professore universitario di Psicologia. Va da sé: il vino mi è sempre piaciuto, e i viaggi fatti per motivi di studio e lavoro mi hanno messo in contatto anche con mondi enologici diversi. Ora, nella mia seconda vita (mi augurerei altrettanto lunga) scrivo di vino per condividere le mie esperienze con chi ha la mia stessa passione. Confesso che il piacere sensoriale (pur grande) che provo bevendo una grande bottiglia è enormemente amplificato dalla conoscenza della storia (magari anche una leggenda) che ne spiega le origini.


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