Clos de Tart venduto a quasi 250 milioni di euro. Che succede in Borgogna?3 min read

Se ne parlava già da un po’ nell’ambiente: Clos de Tart,  il mitico grand cru , già tête de cuvée nella classificazione del  Dr. Lavalle (1855), che dal Medioevo in poi (era stato prima degli Hospitaliers di Brochon, poi , dal 1141, delle monache di Notre Dame de Tart, fino alla Rivoluzione), aveva conosciuto solo due proprietari diversi, la famiglia Marey-Monge  e la famiglia Mommessin, che l’aveva acquistata nel 1932, era sul punto di passare di mano.

Si era parlato dapprima di un misterioso acquirente cinese, poi si era vociferato che, ad essere in pole fossero i Rouzaud , proprietari dello Champagne Roederer, pronti a seguire l’esempio della famiglia Henriot, che  negli anni passati aveva acquisito due storici Domaines borgognoni (Bouchard Père et Fils e William Fèvre).

A sorpresa, invece, l’affare veniva concluso con un accordo di vendita con Artémis, la società di investimento della famiglia Pinault. I Pinault, noti agli appassionati di grandi vini soprattutto per essere proprietari del prestigioso premier cru di Pauillac, Château Latour (e poi di Eisele Vineyard nella Napa Valley e  Château Grillet, nella Valle del Rodano), ma già con un piede in Borgogna, avendo acquistato nel 2006 il Domaine René Engel a Vosne-Romanée (ribattezzato Domaine d’Eugénie), si sono aggiudicati il Clos per un prezzo monstre non ancora esattamente conosciuto, ma si parla di una cifra tra i 200 e i 250 milioni di euro  (per 7.53 ettari di vigna).

Un prezzo senza precedenti in Borgogna , ed enormemente più alto anche di quello pagato appena tre anni fa per l’acquisto del confinante Clos des Lambrays  (101 milioni),  già allora ritenuto altissimo.

Ad aggiudicarsi il Clos des Lambrays (un quasi monopole di 8.66 ettari) era stata la LIVMH del rivale di sempre di Pinault, Bernard Arnault. Ora  Pinault e Arnault si troveranno fianco a fianco, separati soltanto da un muretto.

E’ un altro pezzo di Borgogna che passa di mano  sotto una pioggia di miliardi: non è molto che il Domaine Bonneau du Martray, famoso in tutto il mondo per i suoi vini di Corton, è stato acquistato dal miliardario Stan Kroenke, già proprietario di Screaming Eagle (nonché socio di maggioranza del club calcistico Arsenal).

Sia ben chiaro: tutti i nuovi proprietari non sono dei barbari avventurieri che mettono le mani su un  mondo di cui non sanno nulla e tutti hanno finora mostrato di non voler modificare l’identità storica dei loro gioielli, ma è indubbio che queste vendite non saranno prive di effetti.

Il primo e il più evidente è l’immissione di una enorme massa di denaro che non avrà solo conseguenze positive, perché rappresenterà una forte spinta all’aumento del prezzo, prima che delle bottiglie, delle terre.

Se prima era già difficile per chiunque acquistare terre di pregio nella Côte d’Or, ragione per la quale molti Domaines hanno cercato in questi ultimi anni un’espansione nel Maçonnais, ora diventerà proibitivo per altri che non posseggano risorse finanziarie come quelle dei Pinault e degli Arnault.

L’altra conseguenza alla quale è difficile non pensare è la forse ormai inarrestabile erosione progressiva del “sistema borgognone” basato sulle famiglie con una lunga tradizione di vignerons. Diciamolo pure: un pezzo dell’identità storica di questa regione, finora rimasta unica in uno scenario sempre più anonimo e globalizzato.

Ora attendiamo le mosse della nuova proprietà. Intanto Sylvain Pitiot, régisseur per la famiglia Mommessin dal 1996, e  grande artefice della eccezionale rinascita del Clos de Tart, ha passato la mano nel 2015 a Jacques Devauge.

Inevitabile, a questo punto, l’aumento del prezzo delle bottiglie: si parla di raddoppio.

Guglielmo Bellelli

Nella mia prima vita (fino a pochi anni fa) sono stato professore universitario di Psicologia. Va da sé: il vino mi è sempre piaciuto, e i viaggi fatti per motivi di studio e lavoro mi hanno messo in contatto anche con mondi enologici diversi. Ora, nella mia seconda vita (mi augurerei altrettanto lunga) scrivo di vino per condividere le mie esperienze con chi ha la mia stessa passione. Confesso che il piacere sensoriale (pur grande) che provo bevendo una grande bottiglia è enormemente amplificato dalla conoscenza della storia (magari anche una leggenda) che ne spiega le origini.


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