Carmignano, ovvero quando il sangiovese parla francese3 min read

Non vi tedierò con la solita vecchia solfa di come il Cabernet Sauvignon sia arrivato in zona, anche perché oramai lo sanno anche i sassi nelle vigne, pardon nelle belle vigne che comunque danno tanto sangiovese (nel vino almeno il 50% per disciplinare ma praticamente tutti non ne utilizzano meno del 70%) e anche cabernet sauvignon e merlot. Erano quasi due anni che non assaggiavamo i Carmignano e abbiamo pensato che era il momento per “interrompere il digiuno” allargando la cosa anche agli oli (che troverete qui) e a qualche vecchia annata.

Per chi non conoscesse Carmignano, siamo a pochi chilometri da Prato, ma sembra di essere a centinaia di chilometri da quella zona industriale e pianeggiante. Qui le colline si susseguono sempre più verdi e i vigneti arrivano fino ai 350-400 metri di altezza, anche se la stragrande maggioranza si trova attorno ai 200 metri. Una denominazione piccolissima, con poco più di 200 ettari vitati ma con una grande storia alle spalle, tanto da essere l’unica DOCG toscana dove il Cabernet Sauvignon può (quasi) essere considerato un vitigno autoctono.

In effetti nel panorama dei rossi toscani i Carmignano si riconoscono da lontano, per la loro classica freschezza aromatica che qualche volta punta verso note leggermente vegetali. In bocca siamo di fronte ad un uvaggio “con i cosiddetti” ma spesso viene fuori  un eleganza bordoleggiante che mitiga la ruvidezza di alcuni sangiovese.

Denominazione piccolissima e quindi con poche aziende,  poco più di una decina: con questi numeri sembra scontato fare qualità e invece negli scorsi anni Carmignano, pur avendo punte di altissimo livello, aveva produttori che non parlavano tutti  la stessa lingua.

La nostra degustazione ha avuto come risultato più importante proprio il constatare come la qualità media sia salita e come, oramai, tutti i produttori abbiano inserito la giusta marcia della qualità. Una marcia che porta, finalmente, anche a vini con caratteristiche diverse, con timbri dove la mano del produttore si sente, ma alla fine con  la “finezza Carmignano-bordolese”  che è un tratto comune.

Certo che il sangiovese dice la sua, specie in annate abbastanza ruvide come la 2013, ma voglio ribadire che la finezza di tanti Carmignano, pur con caratteristiche di vins de garde, è figlia di mamma toscana e padre francese.

Non esiste altra denominazione così in Toscana, quasi fuorviante per chi ha in mente l’aromaticità e l’austerità dei sangiovesi chiantigiani , o l’opulenza di quelli nativi di  Montalcino.

Il nostro assaggio ha, come già accennato mostrato una qualità media in grande salita, soprattutto tra i vini del 2015 e del 2016. le poche riserve presenti si sono comportante molto bene ma alla fine anche un Carmignano “base” mostra una struttura più che adeguata. Le riserve sono quindi più delle selezioni importanti, anche provenienti da singoli vigneti e non dei “SuperCarmignano”.

Molto contenti quindi degli assaggi, mentre per quanto riguarda le vecchie annate purtroppo c’è solo una cantina, la solita, che può mostrare vini assolutamente perfetti andando indietro anche di 70-80 anni. Agli altri manca da una parte la storia e dall’altra, negli anni scorsi fino quasi ad oggi, è stata carente la voglia di immaginare il Carmignano come un vino ANCHE da lungo invecchiamento.

Dovremo riparlarne tra qualche anno, perché adesso quella mentalità sembra essere finalmente presente quasi in ogni cantina.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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