Dopo aver parlato qualche tempo fa dei bianchi sardi il focus si sposta sui rossi con due gruppi di degustazioni: la prima riguarda il vitigno rosso per antonomasia, il cannonau, la seconda tutte le atre uve, autoctone o meno.
Partiamo dal Cannonau per cercare di capire cosa sta accadendo sull’isola nel momento in cui si sta creando una specie di “Unione Europea della Garnacha” (o Grenache), che dovrebbe favorire la diffusione del cannonau (padre o figlio della Garnacha, con le uve non è facile parlare di genitori e figli) fuori dai confini isolani.
Prima però di entrare a far parte di questa comunità bisogna domandarsi qual è la vera faccia di questo vino/vitigno, quella da presentare all’universo mondo. Ci spiace constatare che, aldilà della qualità dei vini il problema è che siamo di fronte almeno ad un Giano Bifronte, cioè ad un vino interpretato come minimo in due maniere molto diverse tra loro.
Da una parte abbiamo i Cannonau più “internazionali” o forse è meglio dire meno legati al modo di fare Cannonau del passato: sono vini con bei profumi di frutta che mostrano una tannicità importante ma garbata: forse ricordano meno i Cannonau più sanguigni e veraci, ma sono comunque vini ineccepibili e sicuramente adatti al mercato.
Dall’altra troviamo quelli più “ruspanti” legati all’equazione “alcol+tannino= buon Cannonau”, vini che nascono con potenza alcolica importante, che difficilmente non opprime le note fruttate o terziarie: in bocca invece tocca al tannino ruvido dettare legge e magari ammorbidirsi in tempi molto lunghi, quando oramai il naso mostra segni di cedimento.
Abbiamo estremizzato per far capire il concetto, ma è certo che dai nostri assaggi è emersa una dicotomia chiara, che forse rimarrà per molti anni, ma che non gioca a favore di un biglietto da visita univoco con cui presentarsi al mondo degli amanti della grenache (e non solo).
Da un punto di vista puramente qualitativo ci preme dire che non abbiamo trovato vini con problemi di carattere enologico, cosa che accadeva puntualmente anche in un recente passato, ma di fronte a noi si sono presentati vini di concezione antica (in qualche caso troppo) e moderna (in qualche caso troppo). Non siamo produttori e quindi non sappiamo consigliare quale strada seguire, possiamo solo notare che il mondo del Cannonau sardo viaggia a varie velocità, mentre dovrebbe ritrovarsi attorno ad un “progetto- vino” comune, altrimenti verrà superato a destra e a manca.
Potrebbe essere superato proprio dai “figli più piccoli”, dagli autoctoni isolani siano essi carignano, cagnulari o nieddera. Gli assaggi degli altri vini rossi sardi hanno parlato chiaro e ci hanno mostrato un settore molto più effervescente e “sentito” rispetto al mondo del Cannonau. Abbiamo parlato di questi tre vitigni perché compongono i vini che hanno ottenuto l’eccellenza, ma potremmo citare bovale o monica e il risultato cambierebbe di poco. Ci sembra di aver trovato in queste proposte autoctone una decisione e un piglio che manca al Cannonau.
Buttiamo lì un’ipotesi: forse molte cantine, per proporsi sul mercato non isolano, considerano questi vitigni autoctoni la vera novità e quindi un’arma su cui puntare con decisione, mentre il cannonau rientra tra il “già visto e sentito”.
Naturalmente un Carignano del Sulcis non può certo essere definito una novità, ma nieddera, cagnulari e bovale sembrano proprio i vitigni del momento.
In definitiva un mondo sardo dei rossi ha diverse sfaccettature, dove comunque la qualità media è in crescita: quello che manca è un comune sentire, un provare ad andare avanti assieme, anche dal punto di vista promozionale che vede i grandi marchi regionali seguire strade proprie mentre il resto dei produttori non sa bene da che parte buttarsi.