Bianchi del Trentino 2017: annata non facile, ma non per tutte le uve5 min read

I nostri assaggi trentini daranno vita come sempre a tre diverse pubblicazioni: una riguardante i bianchi, l’altra i rossi (ovvero il solo Teroldego) e la terza i vini spumanti, praticamente i Trento Doc. Tre articoli, tre pubblicazioni diverse e in tempi diversi sulla nostra guida vini e sul nostro giornale.

Iniziamo naturalmente con i vari bianchi degustati, ma prima di tutto vogliamo congratularci con il consorzio dei Vini del Trentino per il “Profilo evolutivo dei vini trentini” una raccolta ragionata e approfondita di dati e valutazioni che permette una visione chiara e approfondita della realtà viticola locale. Un lavoro certosino, ripetuto anno dopo anno, che dovrebbe essere di esempio per ogni consorzio italiano e sia l’anno scorso che quest’anno ci ha dato molti spunti di discussione.

Per esempio: volete sapere a che altezza sono piantate le uve bianche in Trentino?

Eccovi il dato:

  • fino a 200 metri s.l.m. 32%
  • tra 200 e 350 metri s.l.m. 39%
  • tra 350 e 500 metri s.l.m. 15%
  • oltre 500 metri s.l.m. 14%

Questo dato è molto più interessante se visto per i vitigni più importanti.

Distribuzione principali vitigni per quote altimetriche

 

Altezze                  <200  200-250  250-500  >500

Pinot grigio                 53,1%   40,4%     6,0%       0,5%

Chardonnay               22,0%    23,6%    40,4%    14,0%

Müller Thurgau          0,1%      0,1%      21,4%    78,4%

Traminer                     8,6%      25,2%    54,7%    11,5%

Nosiola                        1,8%        1,3%     89,0%     7,9%

Tot. bianche              30,1%     27,2%    26,0%    16,7%

Così vediamo che oltre il 90% del pinot grigio (primo  vitigno dal punto di vista quantitativo con quasi il 29% del totale)  è piantato sotto i 250 metri, mentre la seconda uva regionale, lo chardonnay, forse grazie alla ricerca di freschezza per vini spumanti, ha quasi il 55% delle uve ben sopra ai 250 metri.  La terza varietà per ettari è il müller thurgau, che ha praticamente il 100% sopra i 250 e quasi l’80% sopra ai 500 metri. Il traminer aromatico (quarta varietà bianca) è piantata in maniera più random e comunque soprattutto tra i 250 e i 500 metri.

Ora voi vi domanderete a cosa servono questi dati per spiegare la vendemmia 2017 e noi ve lo diciamo.

Al contrario di quello che si crede l’annata in Trentino è stata sì mediamente molto più calda del normale, ma in certi periodi, giugno e settembre in particolare, anche più piovosa del normale (sempre secondo i dati della pubblicazione suddetta). Questo vuol dire che, per esempio, la vendemmia dei müller in quota, di solito settembrina, è stata fatta in un periodo più piovoso del normale e questo spiega perché mediamente  ci siano sembrati più diluiti e ci abbiano soddisfatto molto meno che in passato. Invece i traminer, maturi prima e ad altezze inferiori, hanno dato risultati molto interessanti.

Lo stesso pinot grigio, uva vendemmiata  forse per prima a bassa quota ( se si lasciano da parte le basi spumante di chardonnay e pinot nero) ha dato risultati migliori degli chardonnay fermi vendemmiati più avanti.

Voi a questo punto potreste dire che può andar bene in linea generale, ma alla fine ogni cantina lavora e raccoglie in maniera diversa.

Ma c’è un dato dello studio che ci fa pensare perchè mostra come ben l’85% delle uve raccolte vadano in cantine sociali: per questo abbiamo sempre più gamme di vini che arrivano da queste realtà, per questo la produzione trentina non è che possa spaziare più di tanto o lavorare e raccogliere quando pare al produttore.

Questo non è un male o un bene è solo una constatazione, come è alttrettanto vero che in vendemmie comunque difficili  un piccolo produttoreimbottigliatore  reagisce in maniera più attenta e veloce rispetto ad una grossa cooperativa con tanti conferitori.

Comunque, per equità, dobbiamo dire che forse mai come quest’anno le cantine sociali  ci hanno proposto vini di alta qualità, praticamente in ogni tipologia.

Quindi abbiamo visto che il müller e altre uve come chardonnay, ( mettiamoci anche il sauvignon, che comunque è poco piantato in regione)  hanno sofferto la parte finale dell’annata: e le altre uve, per esempio la Nosiola?

Purtroppo la Nosiola non ha sofferto tanto l’annata, quanto il disamore dei produttori per questo vitigno che oramai in regione ha quasi lo stesso numero di ettari  (63) che hanno tutti assieme gli appena arrivati vitigni PIWI! Quindi da un uva poco considerata si arriva a vini poco considerati da tutti e questo è un peccato, perché la linearità della nosiola è perfetta per il mercato moderno e inoltre la sua versatilità è meravigliosa quando si passa a parlare di Vino Santo Trentino.

Abbiamo già detto dei Traminer Aromatico, ma vogliamo ribadire che quelli trentini del 2017 hanno gamme aromatiche di ottimo livelloaccanto a strutture asciutte (cioè con zuccheri residui bassissimi) che li rendono adatti non solo per il classico aperitivo.

Arriviamo così alla vera sorpresa dell’anno, cioè gli uvaggi bianchi: mai da quando degustiamo vini trentini ci siamo trovati di fronte ad una serie di blend di così alto livello: qui i dati del consorzio non ci vengono in aiuto e quindi dobbiamo solo constatare come la maestria dei produttori (sociali o privati) sia cresciuta assieme all’idea che il Trentino possa dare, nei vini fermi, molto di più del piacevole monovarietale.

A proposito: il riesling comincia veramente ad essere un uva da tenere in considerazione: mediamente sono buoni ma quest’anno ne abbiamo assaggiati alcuni, provenienti da cantine sociali, che dimostrano come la cooperazione intelligente e motivata possa dare risultati qualitativi di altissimo livello, addirittura superiore a quelli dei cugini altoatesini.

Qui di fianco troverete ben 10 gruppi di degustazione, con  i vini divisi  per vitigno e in più gli uvaggi ed un piccolo gruppo di “raccolta” dei vini che non avevano abbastanza etichette per poter creare uno a se stante.

A questo punto non resta che darvi appuntamento tra qualche tempo per il Teroldego e i Trento Doc.

 

 

 

 

 

 

 

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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