Alto Adige Pinot Nero: passi indietro e quindi… in avanti2 min read

Era rimasto un pezzetto di Alto Adige ancora da presentare, per molti il più amato e conosciuto, quello che si raccoglie attorno al pinot nero.

Del pinot nero altoatesino ne abbiamo parlato spesso (vedi qui qui e qui)  e non sempre con giudizi positivi. A parte un piccolo numero di produttori infatti, tanti Pinot Nero definiti “importanti” lo erano solo perché avevano dosi importanti di legno da digerire e mostravano una rigidità strutturale che non si confaceva a questo vino, specie se non sei in un Gran Cru Borgognone e  non fai vini che debbano durare almeno 50 anni.

Vigneti a Gleno

In alcuni casi li abbiamo anche definiti “vini cappuccino” per un sentore di tostato che gli dava il legno nuovo non ben digerito.

La degustazione di qualche giorno fa non diciamo  che ci ha fatto ricredere ma abbiamo constatato con piacere che alcune cantine, da sempre in prima linea per avere pinot nero molto opulenti e  marcati dal legno, hanno fatto “molti passi indietro e quindi dei passi avanti”.

Non tutte naturalmente ma il segnale è chiaro e importante e noi siamo felici di questo “alleggerimento”, che in futuro siamo convinti toccherà anche altre cantine importanti.

Quindi in generale molto meno legno  e vini più dinamici, sia della vendemmia 2016 sia 2015, che mostrano  una freschezza ed una dolcezza tannica maggiore e molto piacevole. In particolare i 2015 avevano qualche spigolo in più dei 2016 ma forse questo è dovuto “all’importanza” del vino presentato, che vedeva tra i 2015 i grandi nomi della denominazione.

Un fattore negativo, crediamo momentaneo,  ha riguardato diversi vini ridotti che hanno avuto bisogno di tempo per potersi esprimere. Invece in bocca la loro espressività era chiara e positiva, tanto da farci definire i vini degustati “più di bocca che di naso”.

Quindi dall’assaggio esce un quadro abbastanza positivo e soprattutto con belle prospettive future per questo vitigno, che ha trovato in Alto Adige la patria italica di elezione.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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