Tra Mazzon e Gleno: viaggio nel Pinot Nero dell’Alto Adige (seconda parte)5 min read

Se dovessi riassumere in una parola la filosofia che anima Gottardi non avrei dubbi: semplicità!

Mentre Alexander  Gottardi  mi spiega come  lavora (fermentazioni classiche piuttosto brevi, passaggio e stazionamento in legno piccolo non di primo passaggio, imbottigliamento e maturazione di qualche mese in bottiglia prima della vendita) non trovo una minima particolarità, uno “scatto” enologico.

Anche nella semplicità però siamo di fronte ad una cantina non certo piccola e così mi viene da chiedere “Ma in quanti ci lavorate? ” “ Vendemmia e momenti particolari come l’imbottigliamento esclusi, solo io e quasi sempre nei fine settimana perché gli altri giorni ho il commercio di vini in Austria che mi impegna” .

Lo guardo come se vedessi un mostro con cento braccia, ma è solo un uomo  e mi domando come possa gestire una cantina del genere da solo. Naturalmente facendo  le cose nel modo più semplice possibile  e “delegando” molto alla vigna. Credo infatti che siano i vigneti il vero segreto di Gottardi, posti quasi tutti nelle zone più alte di Mazzon.

A proposito d vigneti, assaggiando le ultime annate non posso non notare un certo “irrigidimento” dei vini: qualche anno fa i vini di Gottardi erano famosi per una immediatezza aromatica che non era semplicità ma  rispondenza letterale alle caratteristiche del vitigno, mentre adesso mi sembra ci sia stato un leggero cambio di marcia. Forse una maggiore spinta verso la concentrazione in vigna porta a note leggermente mature o comunque ancora molto chiuse e diverse dai Gottardi che conoscevo. Resta comunque un punto di riferimento del territorio.

 

Brunnenhof

Kurt Rottensteiner, figlio di una dinastia di famosi commercianti di vino, conduce da diversi anni questa cantina che imbottiglia col proprio marchio non da tantissimo tempo. Siamo in conduzione biologica e le vigne che degradano dalla casa guardando verso Castell Caldiff sono tenute proprio bene. I suoi vini puntano molto sulla potenza e sulla complessità che di solito viene conferita da un uso non certo leggero di legno piccolo (in questo caso tonneau).

Assaggiando i suoi pinot nero, pur trovandoli molto buoni e importanti, non posso non pensare a quanto detto anche qui (articolo si concorso nazionale pinot nero) sul voler fare un grande vino e invece tirare fuori un grosso vino.

Se andiamo ancora a sfogliare “Mazzon e il suo pinot nero” troviamo una pagina dove vengono confrontati i dati analitici di diverse annate e produttori: in questa “classifica” i vini di Kurt  spiccano per estratto secco (tra 24.60 e 26.80) ed hanno la caratteristica di conservare alcuni grammi (max 4, tutto nella norma) di zucchero residuo. Pur essendo ottimi vini e voglio ripeterlo ancora, sono per me figli del “frainteso tra grande e grosso” e ne è la dimostrazione un pinot nero che lui considera giovane e vende tutto ad un distributore nazionale: questo vino, molto meno ingessato, molto più libero di esprimersi, per me rappresenta meglio l’idea di partenza per fare un ottimo pinot nero a Mazzon.

Kollerhof

La cantina della famiglia Visintin si trova nemmeno 100 metri sopra quella di Kurt Rottensteiner. Fino a qualche anno fa c’era anche un ristorante e devo ammettere che la predisposizione all’accoglienza non è stata dimenticata, anzi. La gentilissima signora Visintin  ci fa accomodare in giardino e ci allestisce una delle degustazioni più gustose (e meno professionali, lo ammetto) degli ultimi anni. Prima però di lasciarsi andare a speck, pane e funghi sott’olio due parole serie sulla cantina.

Anche loro imbottigliano da poco tempo e la loro cantina è quanto di più semplice si possa trovare: vasche con il controllo della temperatura, qualche barrique di vari passaggi e niente più. Il risultato è un pinot nero nitido, forse non estremamente complesso ma sicuramente molto connotabile e riconoscibile come espressione di Mazzon. Il 2014 è molto buono e il 2015, gustato in anteprima (ma già imbottigliato) è ancora meglio, anche se avrà  bisogno di tempo per esprimersi.

In chiusura non posso non citare il loro bianco da vitigno (PIVI) Solaris. Prodotto quasi a mille metri è un bianco di rara freschezza e bevibilità: un meraviglioso esempio di quello che potrebbe essere il futuro dell’enologia.

 

Castelfeder

Qui si lascia Mazzon e si scende a valle, a Cortina, anche se per il pinot nero andremo addirittura sopra a Mazzon, a Gleno. Prima però presentiamo Ivan Giovannett, giovane enologo che assieme alla sorella Ines e ai genitori porta vanti quest’azienda familiare ma con ben 50 ettari di vigneto. La gamma dei vini è molto ampia ma mi concentro sul pinot nero e Ivan mi fa assaggiare soprattutto quanto l’azienda tira fuori dai vigneti della zona di Gleno, piantati su pendenze veramente da “stambecchi”. La differenza sostanziale tra Gleno è Mazzon sta molto nell’altitudine e nell’esposizione: Mazzon  è ovest-nord-ovest,  Gleno è sud-sud-ovest ma ha vigneti che partono da 550 metri e arrivano fino a quasi 700.


Indubbiamente siamo di fronte ad un territorio figlio dell’innalzamento termico degli ultimi periodi. E’ stato molto interessante con Ivan degustare pinot nero di Gleno da diverse altitudini e notare la stranezza che più salivi e più i vini erano strutturati. Forse una particolarità dovuta al terreno perché per il resto, ci ha garantito Ivan, la vendemmia e la vinificazione sono  praticamente uguali.

Assaggiando la loro riserva Burgum Novum e trovandola molto buona noto che stenta un po’ a decollare per freschezza e “libertà d’espressione”. Questo credo sia dovuto da una parte a vigneti di altre zone e altezze e dall’altra dalla solita voglia di fare grandi cose, che mi sento di definire “sindrome da grande pinot nero”. Personalmente ho preferito il Glener, sicuramente più figlio di un territorio preciso, meno impastoiato, più scattante, fresco, immediato ma non semplicistico.

 

Sono arrivato così alla fine del mio viaggio nel pinot nero,in parte fatto in compagnia di Gainpaolo GIacomelli,  che mi ha riservato tante notizie e tanti buoni assaggi. Porto con me la voglia di conoscere sempre più e sempre meglio questo vitigno e queste zone e quindi chiudo con una parola che disse un generale  americano, di cui mi sfugge il nome, nella Seconda Guerra Mondiale: “Ritorneremo!”

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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