La presentazione dei risultati dei bianchi friulani è avvenuta in agosto, in un periodo vacanziero che magari ha fatto perdere a qualcuno le valutazioni di questa zona così importante per il vino italiano. Per questo, oltre a consigliarvi di andare a leggere qui, qui e qui i tre articoli a commento scritti un mesetto fa, vi ripresentiamo i risultati accompagnandoli con un articolo venuto dal cuore, dopo aver annusato l’aria che tira in Friuli Venezia Giulia.
Girando nel Collio, nei Colli Orientali e nell’ Isonzo si percepisce una sensazione di attesa.
Attesa di cosa? Può sembrare scontato dire del futuro.
Infatti voi direte che tutti sono in attesa del futuro, ma qui, tra i produttori friulani l’attesa è un’attesa diversa, più precisa, sentita, vissuta; l’attesa di sapere cosa dover ASSOLUTAMENTE FARE in futuro.
I produttori, in particolare i molti che hanno intrapreso senza ripensamenti e da anni la strada del vino di qualità e che da tempo producono ottimi vini, più o meno scientemente si sentono quasi “accerchiati” e percepiscono il dovere per loro, i loro figli, il futuro del vino regionale, di fare qualcosa.
Da cosa sono accerchiati? in primo luogo dalla glera e soprattutto dal “concetto glera”, cioè dall’idea che si possano fare bei soldi lavorando meno, piantando in altre zone più pianeggiante e facili da lavorare e cavalcando un mercato diverso.
Ma questa è solo una parte del discorso: si sentono accerchiati anche da un mondo del vino bianco italiano che è molto cresciuto mentre qui si campava un po’ di rendita del grande lavoro fatto attorno al cambio di millennio. Piano piano la forbice di prezzo (e qualitativa naturalmente) tra i bianchi friulani e il resto dell’Italia si è ristretta ed oggi quando si pensa ad un buon bianco vengono in mente almeno altre 5-6 zone assieme al Friuli.
Per questo il Collio sta cercando di cavalcare la tigre del “Grande bianco DOCG”, per questo i Colli Orientali stanno cercando una strada promozionale che li veda protagonisti, per questo l’Isonzo sta crescendo qualitativamente anche grazie a produttori friulani di altre zone che vengono attratti qui dal grande rapporto “qualità-prezzo” che ha piantare vigna e fare buon vino.
I produttori percepiscono anche che non possono più aspettare, che devono rilanciare e rilanciarsi.
Non tanto qualitativamente ma svecchiando un’ immagine enoica che ha dato grandi soddisfazioni ma oggi mostra qualche crepa, specie se confrontata con l’onda arrembante di altre zone emergenti e/o emerse, ma soprattutto con il “tifone” glera, con i molti-troppi ettari di ribolla gialla piantata in pianura, con un mercato che ha sete di vini che in collina o comunque nelle storiche zone vocate non si possono fare ai prezzi di quel mercato.
Come tanti produttori di ottimi Prosecco DOCG “campano” grazie alle vendite del DOC, così sempre più produttori friulani stanno facendosi tentare dall’idea di “mantenere” l’azienda di qualità grazie alla produzione-commercializzazione di vini friulani di più basso profilo. Altri invece stanno puntando ancor più verso la qualità, trovando però sempre più competitor, anche alle porte di casa.
Per questo si percepisce una tensione di base nei ragionamenti di tanti produttori: una tensione assolutamente logica perché nei prossimi 10 anni si giocherà il futuro del vino friulano. La grande carica dei vini a basso prezzo fagociterà l’alta qualità? Quest’ultima andrà sempre più e sempre meglio difesa e sviluppata, ma come? Come alzare l’asticella in corsa senza farla cadere?
E’ giusto porsi queste domande, è giusto farlo adesso, è giusto che oggi più che mai queste domande si dipanino all’interno dei consorzi di tutela.
E il solo fatto che questo si percepisca all’esterno è sintomo reale di volere un cambiamento “fattivo”: noi, che amiamo il vino friulano e siamo amici di tanti bravissimi produttori, seguiremo gli eventi con fiducia.