Vino Kasher eccellente, dove? In Chianti… Kashico naturalmente!6 min read

Non posso dire che il mondo del vino kasher abbia mai attirato in modo particolare il mio interesse. Pur essendo ebreo, non ho mai dato più di una minima attenzione alle prescrizioni alimentari stabilite nella Bibbia (nel Levitico per essere precisi, ossia il terzo libro del Pentateuco). Proprio per questo motivo mi è sempre sembrata piuttosto ridicola l’idea di purificare con un bicchiere di vino kasher le mie infrazioni, molteplici e reiterati, alle leggi della tribù.

Che mi ricordi, gli unici esemplari italiani di questa categoria  li ho assaggiati nella cantina umbra dei fratelli Renzo e Riccardo Cotarella, la Falesco, realizzati sotto la supervisione del rabbinato di Parigi. Effettivamente erano le versioni kasher di altri vini della stessa casa, a cui assomigliavano parecchio. I profumi e i sapori erano quelli, l’unica differenza era la tessitura tannica, leggermente più ruvida dei loro confratelli nella gamma aziendale causa l’obbligo che tutte le operazioni di cantina fossero eseguite da ebrei osservanti e autorizzate e controllate dalla agenzia di certificazione.

Questo significava concretamente che certi interventi, ad esempio le chiarifiche, non potevano essere operate con la stessa puntualità degli altri vini in affinamento.

Più recentemente però, ho avuto il piacere, in tutti i sensi, di poter assaggiare i vini kasher di un’azienda del Chianti Classico a me purtroppo sconosciuta, la Terra di Seta di Castelnuovo Berardenga.  I proprietari, Daniele della Seta e Maria Pellegrini  sono, rispettivamente, biologo /insegnante all’Università di Siena e figlia di un ex-produttore del Morellino di Scansano. La coppia acquistò la proprietà nell’anno 2000, ma fino al 2006 vendevano le uve ad altre case produttrici della zona. Dopo la costruzione della cantina le prime bottiglie con la propria etichetta cominciarono ad uscire con la vendemmia 2007 e sin dall’anno 2008 l’intera produzione venne certificata kasher, quindi non c’è una doppia gamma destinata a mercati diversi.

Un’anomalia in Europa ma una decisione che sicuramente ha aiutato commercialmente la casa, sebbene non fosse una considerazione dettata da motivi di marketing, bensì dal desiderio e dall’ambizione di produrre vini kasher dello stesso livello qualitativo di quelli tradizionali. Dal 2001 l’azienda ha anche praticato una agricoltura biologica, anch’essa certificata. Qualche dato di base: come già detto, la proprietà, con 15 ettari di vigneto, si trova a Castelnuovo Berardenga, a sud di Dievole, ad est di Selvole e a nord di Borgo Scopeto. Non conosco benissimo i vini di quest’ultima cantina, degli altri sì, e li ritengo di sicuro livello qualitativo. Zona vocata, in poche parole.

I suoli sono di medio impasto ma ricchi di galestro ed alberese, i classici terreni da ottimo  sangiovese del Chianti Classico (e non solo). Per anni la quota, 500 s.l.m. è stata ritenuta leggermente alta per una completa maturazione delle uve nel chiantigiano, ma negli ultimi tre lustri, grazie sia al cambiamento del clima sia a nuovi e più rigorosi concetti della buona viticoltura, questa leggenda metropolitana è stata definitivamente sfatata: ormai il numero di buoni produttori a questa altitudine si è moltiplicato in modo impressionante. “Fitti come le foglie che cospargono i torrenti della Vallombrosa”, come scrisse John Milton nel “Paradiso Perduto”  (“thick as autumnal leaves that strew the brooks in Vallombrosa”). La viticoltura, biologica come già detto, è supervisionata da Ruggiero Mazzili, consulente diventato punto di riferimento in Toscana per coloro che coltivano secondo i dettami dell’agricoltura biologica o biodinamica.

L’enologo invece è trentino, Enrico Paternoster, che ho conosciuto diversi (anche troppi, come passa il tempo!) anni fa al Maso Cantanghel, dove è stato l’artefice di Pinot Nero e Chardonnay di elevata qualità e personalità, testimonianti doti tecniche e palato preparatissimi. Lavora pure a San Gimignano ed è un piacere apprendere della sua presenza in Toscana: la sua intelligenza e capacità professionale sicuramente daranno il loro contributo ai vini della regione.

Ha aiutato i titolari ad attrezzare la cantina con tecnologia avanzata che permette loro di operare a distanza durante le fasi critiche della fermentazione (rese più complicate dal fatto che le due feste più solenni del calendario ebraico, Yom Kippur e Rosh Hashanah, cadono precisamente nel mese di settembre, con conseguenze facilmente immaginabili  sulla disponibilità in cantina di personale qualificato e autorizzato). Problemi di rimontaggi e svinatura dunque non ce ne sono e il tannino qui è giustamente levigato, non c’è la minima rusticità al palato.

Ho potuto assaggiare una serie di loro vini, una sequenza più che sufficiente per chiarire le idee sulla qualità e carattere dei medesimi. La degustazione è iniziata con i due Chianti Classico d’annata, il 2016 e il 2015: il primo di una bella freschezza e vigore, fruttato ed elegante e piuttosto persistente, mentre il secondo, frutto di una annata più calda, era più pieno e corposo, più sostanziale e strutturato e, con ogni probabilità, di maggiore longevità. Entrambe le bottiglie, fortunatamente, erano inconfondibilmente sangiovese anche se c’è un 5% di cabernet sauvignon nel taglio, utile chiaramente ad aggiungere colore e polpa al sangiovese adatto per questa categoria di vino. Queste due vini sono stati seguiti da due Riserva, il 2013 e 2012, e anche in questo caso le differenze fra i millesimi (una virtù precipua secondo i miei canoni di degustazione) non potevano essere più chiare.

Il 2013 è stata un’annata piuttosto fresca e piovosa rispetto alle  medie stagionali e lo si sente nel vino: fragrante al naso, vigoroso e tonico al palato, ottima la continuità; c’è anche una leggera vena acida che suggerisce che l’affinamento in bottiglia sarà di aiuto nel completamento del vino. Più calda l’annata 2012, più generoso e morbido il vino, dolci i profumi e sapori, rotonda la materia, molto Castelnuovo Berardenga nelle sensazioni di tabacco e ribes rosso sia al naso che al palato. E i solidi tannini dei vini di questo comune sono pure ben presenti in questa Riserva.

Le due Gran Selezione assaggiate, come è giusto, sono indubbiamente di una classe superiore. Il 2013, intenso e di una concentrazione significativa, è leggermente indietro nel suo sviluppo: l’estratto è importante pur essendo il vino ben levigato, la lunghezza è notevole e idem dicasi per l’intensità, equilibrata e priva di qualsiasi asprezza. Ancora migliore il 2011: frutta rossa matura e fresca, palato di volume e profondità, un bel velluto alla progressione e al finale, molta materia e, allo stesso tempo, molta armonia. Vino destinato a diversi anni di gradevole vita .

Da notare: l’impiego molto discreto delle barrique in affinamento ma mai prevaricanti, mentre più recentemente sono stati introdotti anche i tonneaux, scelta che ritengo molto azzeccata. I miei ringraziamenti ai proprietari per la disponibilità e ad Elisabetta Borgonovi, che ha suggerito l’incontro.

I titolari, anche se imbottigliano da pochi anni, stanno lavorando molto bene  e non credo  sia necessario aggiungere che questi sono vini per persone di tutte le fedi, offrendo una piacevolezza e una personalità  veramente ecumeniche.

 

Daniel Thomases

Semplicemente il giornalista che ha insegnato a molti, se non a tutti, il mestiere. Una delle vere colonne della critica enogastronomica in Italia.


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