Stampa estera.Wine Spectator, vol. 47: Chianti CLassico in prima fila7 min read

Questo é quasi un numero monografico sul Chianti Classico, ma vi si parla anche di altri rossi toscani di pregio (Brunello e Bolgheri), di bianchi borgognoni e dei “buoni affari” dei vini dell’emisfero australe.

Anticipata dall’editoriale di Shanken (“L’ascesa del Chianti Classico”), si comincia con la “Ultimate Guide to Chianti Classico”, la guida “definitiva” di Bruce Sanderson: ovviamente partendo dalla sua lunga storia e dalle sue tappe fondamentali, dagli esordi (il conflitto tra Siena e Firenze per il controllo della regione vinicola e il famoso  lodo di Poggibonsi del 1203) fino alla istituzione delle nuove UGA (2021), con i commenti e le valutazioni di  diversi produttori.

Una dettagliata tavola sinottica riporta una mappa schematica delle 11 UGA e una loro breve descrizione, mentre completano il servizio altre due  “finestre”, la prima  sul sangiovese, il vitigno principe del Chianti Classico,  e l’altra  su come leggere le etichette dei suoi vini. Due grandi tavole a tutta pagina riportano i migliori assaggi dei vini di ciascuna UGA scelti da Sanderson, in pratica tutti Gran Selezione. Il punteggio più alto assegnato é stato quello  del Colledilà GS del Barone Ricasoli dell’annata 2019 a Gaiole, con 97/100, mentre un punto al di sotto sono il  Costassala GS 2019 del Castello di Volpaia a Radda e il CeniPrimo GS 2019 del Barone Ricasoli 2019 , ancora a Gaiole. e diversi altri vini hanno ottenuto  l’ “outstanding score” di 95/100 a Panzano (Riserva Basilica Cafaggio 2018), San Donato (il GS di Casa Emma 2018 e il Poggio GS del Castello di Monsanto 2017), a Castellina in Chianti (l’Effe 55 GS di Capraia). Nelle rimanenti UGA, invece, diversi vini sono risultati molto vicini alla soglia, ma senza raggiungerla. Un’ultima tabella a tutta pagina é infine dedicata ai “Best values”, ossia i vini col miglior rapporto qualità/prezzo. Al vertice di questa particolare classifica é il Chianti Classico Castello di Monsanto 2019, con 93/100, proposto a “soli” 20 dollari la bottiglia.

Il Chianti Classico ritorna nell’ articolo successivo, sempre firmato da Sanderson, dedicato alla vendemmia 2019, insieme con altri grandi rossi toscani, Bolgheri, principalmente, e  Brunello di Montalcino (di quest’ultimo l’annata 2017). Nella valutazione di WS la 2019 é stata una grande annata nel Chianti Classico (“Equilibrio perfetto”, annuncia il titolo) , con 95/100, di poco inferiore solo alle annate 2015 e 2016, entrambe valutate 97/100, ma migliore di tutte le altre prese in considerazione, a partire dal 2012. La vendemmia 2019 é stata  sugli stessi livelli anche  a Bolgheri (96/100), mentre, quanto all’annata 2017 del Brunello é stata meno brillante (come del resto anche negli altri due terroir sotto esame), decisamente al di sotto di 2015 e soprattutto del 2016 , che raggiunse la valutazione-monstre di 99/100.

Nel Chianti Classico, una stagione con più pioggia, in maggio e luglio, che nel bolgherese e nella Maremma, ha dato luogo ad un millesimo caratterizzato da equilibrio,  freschezza e  finezza, ma,nel contempo, con la struttura per durare a lungo negli anni. Anche a Bolgheri, una buona stagione estiva con notti fresche, ha giovato ai cabernet, che hanno raggiunto un’eccellente maturità fenolica. Come sempre, l’articolo, corredato dale impressioni e dale valutazioni dei produttori di punta di ciascun territorio, si conclude con le consuete tavole dei vini “Top score”, cioé con il più alto punteggio, e “Top value”, quelli raccomandati per la loro qualità e il prezzo contenuto. Per quanto riguarda i primi (i Brunello non sono inclusi), Masseto  e Sassicaia mettono tutti gli altri in fila con 98 punti, poi segue un sestetto di vini (tre Vin Santo, ancora due bolgheresi e un Chianti Classico, il già citato Colledilà GS del Barone Ricasoli, a quota 97. Sono otto, infine, i  vini che hanno superato la soglia del “Classic score”, attestandosi a 96/100: anche in questo gruppo bolgheresi e Supertuscan lasciano indietro i Chianti Classico, presenti solo con due vini. Tutti i vini citati hanno prezzi sostenuti, in taluni casi superiori ai 300 dollari, con una punta di 860 del Masseto. Costano mediamente 20 dollari, invece, i vini compresi nella classifica dei “Top Value”, che pure hanno ottenuto valutazioni molto lusinghiere: é qui che il Chianti Classico (con  l’emergente Rufina) la fa da padrone, aggiudicandosi otto posizioni tra i migliori dieci, col Chianti Classico Monsanto a 93 punti al vertice, e tutti gli altri oltre la soglia critica dei 90/100.

Saltando dalla Toscana alla Borgogna,è sempre Sanderson a guidare i lettori di WS alla scoperta dei bianchi delle annate 2019 e 2020 di quella regione, due ottime annate precoci (soprattutto la 2020), nelle quali si é vendemmiato ad agosto , molto diverse tra loro: molto calda la prima e soprattutto molto secca la seconda. Nonostante le sfide climatiche, i vini di entrambi questi millesimi sono eccellenti: la 2020 con acidità più elevate, la 2019 con temperature bollenti, ma che non si sono tradotte in sovramaturazione. I vignerons (Sanderson riporta con dovizia i loro commenti) hanno fatto esperienza dalle difficoltà degli anni precedenti e hanno saputo governare i nuovi problemi. 2013 a parte, tutte le annate della stringa successiva, hanno dato buoni risultati (dai 92/100 in su), con 2015 e 2014 davvero straordinari. Le due annate in esame si collocano leggermente al di sotto, quanto a risultato qualitativo, ma sono  comunque  molto brillanti (93 la 2019 e 94 la 2020).

Nella classifica dei Top score, Montrachet e i suoi fratelli (Chevalier, Bâtard…), fanno naturalmente il vuoto attorno a sé: tra  i primi dieci vini, infatti,   sette provengono dai grand cru di Puligny e Chassagne, accompagnati da due Corton Charlemagne e un Meursault, unico Premier cru ammesso a corte. Gli Chablis sono più giù , sia pure a quote lusinghiere (94/100 il Vaudésir di Long-Depaquit e il Les Blanchots cuvée de l’Obédience di Laroche, entrambi del 2020). Al vertice é lo Chevalier-Montrachet 2018 del Domaine Leflaive, con 97 punti. A 96/100 sono il Montrachet di Latour del 2020 e il Bâtard-Montrachet 2019 del Domaine Leflaive. Hanno invece ottenuto  95/100 sette vini, tra i quali il Corton Charlemagne 2019 di Bouchard Père et Fils, insieme con altri due vini di Latour e lo Chevalier-Montrachet di Jadot, a confermare che le grandi Maison (qui presenti con vini di proprietà) sono in perfetta salute. Tra i Top Value, largo invece agli Chablis, con la novità dei Pouilly-Fuissé,che piazzano ben quattro vini nel gtuppo dei migliori dieci, e soprattutto ottengono il miglior risultato della degustazione di questa categoria (92/100) con il 2019 del Domaine Ferret .

Passo direttamente al bel servizio di Robert Camuto sul suo incontro-dialogo con Peter Sissek, enologo danese, oggi sessantenne che, in meno di tre decenni, ha creato il mito di Pingus, icona della Ribera del Duero, il vino più costoso della regione insieme con l’Unico di Vega Sicilia. Sissek approdò nella Ribera del Duero nel 1990 col progetto di restarvi un semestre per aiutare un vecchio cugino, per il quale aveva già lavorato a Bordeaux, nelle Graves, allo Château Rahoul, nelle vecchie vigne di tempranillo che aveva acquistato. Dopo avrebbe dovuto, da globetrotter del vino qual era, trasferirsi nella Napa Valley, in California, per un nuovo incarico presso Ridge. Innamoratosi del luogo e delle sue vecchissime vigne, anche provocato dall’amico Thunevin “garagiste” allo Château Valandraud (“Bravo sei bravo, ma quando farai un vino tuo?”), si lanciò a capofitto nell’impresa.  Nel 1995 vinificò in un angolo improvvisato della Finca Villacreces le uve tempranillo di due parcelle di dieci acri in tutto piantati nel 1929. Nacque così il Pingus, che raggiunse subito prezzi altissimi anche a causa di un incidente: il vino era piaciuto enormemente a Parker, ma il battello che trasportava il vino in viaggio per l’America affondò presso le Azzorre. La sua rarità e il fascino della storia del naufragio fecero impennare I prezzi. Dopo Pingus, venne il secondo vino, il Flor de Pingus, anch’esso eccezionale , e poi ancora il Progetto PSI , finalizzato a salvare le vecchissime vigne di garnacha, col suo vino di négoce “utopista”. Nell’incontro con Sissek, Camuto ricostruisce tutta la sua storia, dalla sua infanzia danese, ai periodi trascorsi a Bordeaux e presso l’azienda Monasterio, fino al suo ultimo progetto più visionario, quello della sua nuova avventura a Jérez. Un bell’articolo che raccomando a chi potrà leggerlo direttamente.

Guglielmo Bellelli

Nella mia prima vita (fino a pochi anni fa) sono stato professore universitario di Psicologia. Va da sé: il vino mi è sempre piaciuto, e i viaggi fatti per motivi di studio e lavoro mi hanno messo in contatto anche con mondi enologici diversi. Ora, nella mia seconda vita (mi augurerei altrettanto lunga) scrivo di vino per condividere le mie esperienze con chi ha la mia stessa passione. Confesso che il piacere sensoriale (pur grande) che provo bevendo una grande bottiglia è enormemente amplificato dalla conoscenza della storia (magari anche una leggenda) che ne spiega le origini.


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