Stampa estera. Wine Spectator, vol. 46: il vino francese di Jon Bon Jovi e tanta Toscana5 min read

La Cover Story di questo numero é quella della rockstar Jon Bon Jovi, anche benefattore di giovani, famiglie e veterani  di diversi stati, con la sua JBJ Soul Foundation e partner del noto imprenditore vinicolo (una potenza nella Laguedoc) Gérard Betrand , per  Hampton Water , popolare rosé  a base grenache (60%), cinsault e mourvèdre con saldo di syrah.

Oltre all’ampio servizio di Gillian Sciaretta su Bon Jovi, al feedback dei lettori, alle tradizionali rubriche di GrapeVine (le news e i temi del giorno, le pagine dedicate al caffé, al cioccolato, ai formaggi e quelle dei columnist), e alla sezione finale della Buying Guide, gli altri articoli di questo numero sono rispettivamente dedicati  ai vini toscani, a quelli della Nuova Zelanda, al “nuovo volto” dell’Amarone  e ai whisky invecchiati in fusti di vino. Come sempre, sceglierò  due articoli sui quali soffermarmi maggiormente, limitandomi a un cenno più veloce agli altri.

Partirò dunque dalla Toscana, con il Piemonte, la regione italiana del vino più popolare d’Italia e quella maggiormente seguita da Wine Spectator. A occuparsene é Bruce Sanderson: “Stile e sostanza” recita il titolo, a sottolineare la capacità dei vini toscani di coniugare qualità e diversità di espressioni. Si parla ovviamente di grandi rossi, e soprattutto di Chianti Classico, Bolgheri  e SuperTuscan, tralasciando il Brunello di Montalcino, al quale sono dedicati servizi specializzati. Sangiovese e cabernet dunque e una varietà di territori : l’ annata 2019, climaticamente benevola, che ha dato rossi fruttati ed equilibrati e bianchi freschi e piacevoli, segue  a due millesimi di ottimo livello: 93/100 la stima di WS di 2017  e 2018  per il Chianti classico, un punto in meno  per Bolgheri nel 2018, anche se al di sotto delle stellari annate 2015 e 2016 ( addirittura 99/100, alle soglie del perfect score, a Montalcino), le migliori di un decennio comunque molto favorevole,  dove solo 2012 (con l’unica eccezione il Brunello con i suoi 96/100) e 2014 non hanno raggiunto la fatidica soglia dei 90 punti.

Dopo un’ampia carrellata di assaggi e di incontri (tra questi Gaia Gaja di Ca’ Marcanda, Giovanni Manetti di Fontodi, Alessandro Cellai di Castellare in Castellina, Maurizia Di Napoli di Rampolla, Laura Bianchi del Castello di Monsanto), le scelte di Sanderson vedono spiccare Chianti Classico e Supertuscan (97/100 il Gran Selezione  2016 di Ipsus e il d’Alceo 2016 del Castello di Rampolla), con i soli must bolgheresi Masseto  2018 e Sassicaia 2018  tra i primi dieci vini col più alto punteggio  (a quota 96), e l’intrusione di un Vino Nobile di Montepulciano  di Salcheto 2016 e del Vin Santo 2009 della Fattoria di Felsina.  Sono comunque almeno 30 i vini  che hanno raggiunto i 95/100 previsti per i vini “outstanding”, il che non é poco. I Chianti Classico  dominano anche  la classifica dei Top Values : al vertice, con 93/100, al costo di poco più di 20 dollari, sono il Chianti Classico 2018 Badia a Coltibuono e il Pomino rosso Villa Petrognano 2017 di Selvapiana.

Alison Napjus introduce il lettore nel mondo dell’Amarone della Valpolicella, il vino più  famoso del Veneto, grazie anche  Hemingway che lo amava molto . Una cartina schematica rappresenta le varie zone della Valpolicella e della Valpantena, un apposito box sintetico illustra l’uvaggio tipico dell’Amarone e quanto prescrive il disciplinare,con l’ascesa dekl corvinone,  e un altro le procedure adottate per l’appassimento, al termine del quale le uve perdono fino al 40% del loro peso iniziale.

Nell’articolo la Napjus entra poi nel dettaglio del territorio e della produzione dell’Amarone anche incontrando   alcuni dei produttori più conosciuti, come Marco Dal Forno, Marilisa e Franco Allegrini e Sabrina, Riccardo e Antonietta Tedeschi, la cui foto maxi introduce il servizio. Al termine, come di norma, la Napjus presenta le sue raccomandazioni: un solo Amarone “outstanding”, con 95/100 ( e 425 dollari) , quello  di Romano Dal Forno dell’annata 2013, poi, a quota 94, sono sei cuvées: il Fieramonte riserva della stessa annata di Allegrini (100 dollari in meno) , il Mazzano 2012 di Masi, le riserve  Capitel Monte Olmi  e La Fabriseria 2015 di Tedeschi, quelle  della stessa annata di Zenato e la TB 2011 di Tommaso Bussola.Tutti in vendita  a 100-150 dollari la bottiglia, ad eccezione de La Fabriseria, proposto a 360 dollari.

Arriviamo dunque ai vini della Nuova-Zelanda: sempre sauvignon, naturalmente, ma ancora più Pinot noir , di Otago e, in misura minore di Marlborough e Martinborough. Stretto tra i due-rara avis- lo chardonnay di Kumeu. Che dire al riguardo dell’ampia rassegna di Mary Ann Worobiec?

I vini kiwi incontrano sempre più il favore dei consumatori, grazie alla qualità costante, ai prezzi ancora moderati e ora anche per l’offerta di vini “healthy”, con basso tenore di alcol e zuccheri. Unico problema, I consistenti cali di produzione (nel 2021 87.000 tonnellate di uva in meno dell’anno precedente) e naturalmente alla pandemia.

E’ presto per giudicare la qualità dell’annata 2021, ma le prime indicazioni, a parte la scarsità della raccolta, sono positive, sulla linea delle ultime annate(91-94/100 la 2019 e 93 la 2019). Anche quelle precedent sono state piuttosto buone, tutte sopra il 90 punti,a parte il biennio 2017-2018 che si é fermato appunto a quella quota. Tra i rossi  il pinot noir non ha rivali: tutti e 16 i vini top di questo colore provengono infatti da quest’uva, e, tra I pinot kiwi, Central Otago non ha rivali, con ben 10 referenze su 16, e, tra queste, nove tra quelle con più alto punteggio: al vertice il Burn Cottage Vineyard 2018 di Burn Cottage, con 95/100, poi, a quota 94,  un terzetto della stessa zona, Central Otago con l’unico Martinborough del Gruppo di testa, quello di Escarpment del 2019. Tra i Bianchi la storia si ripete  con il primate incontrastato dei sauvignon blanc di Marlborough, che, oltre al vino di vertice, il Section 94 del 2018 di Dog Point (94/100), riempie 13 delle 16 posizioni di testa. Unica eccezione al sauvignon, uno Chardonnay di Kumeu Hunting Hill, il 2019 di Kumeu River.

Guglielmo Bellelli

Nella mia prima vita (fino a pochi anni fa) sono stato professore universitario di Psicologia. Va da sé: il vino mi è sempre piaciuto, e i viaggi fatti per motivi di studio e lavoro mi hanno messo in contatto anche con mondi enologici diversi. Ora, nella mia seconda vita (mi augurerei altrettanto lunga) scrivo di vino per condividere le mie esperienze con chi ha la mia stessa passione. Confesso che il piacere sensoriale (pur grande) che provo bevendo una grande bottiglia è enormemente amplificato dalla conoscenza della storia (magari anche una leggenda) che ne spiega le origini.


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