Stampa estera. Decanter, vol 48: Quali sono le più grandi vigne del mondo?8 min read

“Le più grandi vigne del mondo” recita il titolo maggiore della copertina. Poi: i vini che “scaldano” l’inverno, winemakers neri nel Sud Africa, gli assaggi: rossi spagnoli da varietà indigene, bianchi dell’Adriatico, Madera. Inoltre, “fuori copertina”: alla scoperta di Givry. Naturalmente le consuete rubriche di “Uncorked”, e tanti inserti promozionali, forse un po’ troppi.

Che cosa ho scelto di raccontare?  Le grandi vigne e i winemakers africani emergenti. Poi dirò qualcosa su Givry e sulle degustazioni della “Buying Guide”.

Introdotta dall’editoriale di Chris Maillard (”A reign of terroir”), ad inaugurare il numero è la  scelta- in verità molto divisiva- delle  migliori 12 vigne del mondo, presentata da Andrew Jefford.  Quale che sia la spiegazione scientifica- se ce n’è una- è indubbio che alcuni terroir posseggano una magia che altri, nei quali pure si producono vini eccezionali, non posseggono. Per Decanter sei sono in Francia (2 in Borgogna e una ciascuna a Bordeaux, nella Champagne, nella Valle del Rodano, in Alsazia) e una ciascuna in Australia, California, Spagna, Germania, Argentina e in Italia (Vigna Rionda, nelle terre del Barolo). Ho usato il termine “divisiva”. Perché? Certo nessuno potrebbe negare la legittimità che nel gruppo francese siano comprese Montrachet e Musigny, ma davvero sono più grandi di Romanée-Conti e Chambertin? E a Bordeaux Petrus ha davvero più titolo di Ausone o Latour? E, per entrare più direttamente nelle cose di casa, nessun altro cru del Barolo eguaglia Vigna Rionda, e, soprattutto, può Montalcino essere del tutto fuori da questa selezione?

La scelta è stata effettuata da un gruppo di esperti, non si sa quanto collegialmente oppure individualmente, dagli specialisti di un dato territorio (per il Barolo, Michaela Morris). Ma in definitiva, quali sono le altre vigne che non ho già menzionato?  Clos des Goisses (Champagne), Les Bessards (Hermitage), e Rangen (Alsazia) le altre tre francesi, Macharnudo (Spagna, Jérez), Scharzhofberg (Germania, Mosel), le altre tre vigne europee che si aggiungono a Vigna Rionda, infine Hill of Grace (Australia, Adelaide), PerSe (Argentina, Uco Valley), To Kalon (USA, California) per il Nuovo Mondo. Vogliamo aprire un dibattito?

Quello dei “Black Talents” della vitivinicoltura sudafricana è un fenomeno recente, che ha avuto una graduale evoluzione  dal superamento dell’apartheid, nel corso della quale è venuta emergendo una nuova generazione di winemakers e di imprenditori  molto dotati, ben formati e determinati a  raggiungere i loro obiettivi. Dopo un  certo numero di false partenze e vari arresti, l’accelerazione è venuta con il Wine Arc, un brand che collega 13 marche con proprietari neri,  ed è rapidamente cresciuto  il numero di giovani laureati neri in enologia all’Università di Stellenbosch  e all’ Elsenburg Agricultural College che  hanno seguito l’esempio pionieristico di Carmen Stevens, prima donna di colore a conseguire la laurea in un College di winemaking nel 1995. L’articolo di Tim Atkin presenta sei di essi, descrivendone le storie personali e la carriera, a cominciare da Rűdger van Wyk. Alcune sono donne, come Kiara Scott (Brookdale Estate),  Nongcebo Lamga (Delheim) e Natasha Williams (Bosman Family Vineyards).  Di ciascuno di essi viene alla fine presentata una cuvée nella quale hanno espresso il loro talento.

Bianchi adriatici. Dico subito che nel Panel non sono compresi vini italiani, per quanto diverse regioni avrebbero titolo a farne parte, ma solo croati, sloveni e bosniaci. Nella degustazione, presentata da Caroline Gilby, sono stati assaggiati 151 vini, non si sa come distribuiti tra i tre territori considerati, di vari millesimi, principalmente 2019-2021 con qualche rara eccezione di vini più vecchi. I risultati sono complessivamente più che buoni: nessun vino è risultato “eccezionale” (98-100/100),  ma ben 8 sono risultati “outstanding”, riportando  almeno 95 punti e ben 75, cioè la metà, ha raggiunto la soglia critica dei 90/100.  Nel gruppo di testa (tutti con 95/100), la Croazia supera la Slovenia con 5 vini su 8, la Slovenia ne colloca tre, e nessuno la Bosnia, evidentemente sottorappresentata nel numero o di livello inferiore. Il quadro resta lo stesso anche nella fascia immediatamente inferiore (90-94/100), con 42 vini croati, 23 sloveni e solo due provenienti dalla Bosnia-Herzegovina. I migliori? Stravincono le Malvasie, con la sola eccezione di un Pinot Grigio e di un bianco di assemblage, e, tra i millesimi, il 2019.

Ai Madeira non è dedicato un Panel sistematico, ma un “omaggio” a questi vini fortificati molto amati dagli inglesi. L’articolo, firmato, come sempre, dall’esperto Richard Mayson, autore di due bei libri sul Porto e appunto sul Madera, riporta i 18 più interessanti: da grandissime cuvée  che mostrano l’insuperabile resistenza al tempo dei Madeira, come il Bual 1920 di Blandy’s , rimasto un secolo in fusto (99/100, e ben 840 sterline il costo) e il Terrantez 1899 di D’Oliveiras (stesso punteggio e 1.182 sterline ),  a quelle più giovani e accessibili. Tra queste ultime, bastano solo 15 setrline per il Rainwater Reserva dello specialista Barbeito, una inconsueta cuvée a base di Tinta negra, con una piccola percentuale di verdelho invecchiata 5 anni in legno /89/100).

Tempranillo

Se tutti conoscono il tempranillo, la varietà di uva bandiera dei vini rossi spagnoli, della Rioja, della Ribera del Duero e Toro), molte altre varietà autoctone , assai meno note, sono alla base di vini di grande interesse. Scopo del secondo Panel Tasting di questo numero è stato di scoprire i migliori, provenienti da tutti i territori della Spagna. I vini assaggiati sono stati 159 e i risultati molto lusinghieri, dal momento che ben 13 vini hanno ottenuto la valutazione di “outstanding” (almeno 95 punti) e 80 hanno raggiunto la soglia critica dei 90/100. Certo, la quantità della produzione e l’esperienza contano molto, e di fatti il Priorat contribuisce con ben 5 suoi vini al gruppo degli “outstanding wines”, grazie anche alla lunga esperienza fatta con la garnacha e la cariñena e alla presenza di molte vigne vecchie. Nella Rioja (un solo vino, il Pancrudo di Gomez Cruzado 2020, con 96/100, nel gruppo di testa), oltre naturalmente la garnacha, le carte principali da giocare sono il graciano e il mazuelo  e la maturana tinta, probabilmente la varietà più antica, oggi recuperata, ma ancora quantitativamente poco diffusa. Molto brillante il risultato dei vini galiziani: 96/100 per un rosso delle Rias Baixas da caiño tinto “organic” di 200 anni, l’Os Dunares 2020 di Anonimas,  e per  un mencia, con piccole aggiunte di garnacha e mouratò (detta anche negreda) della Ribeira Sacra , il Vel’Uveyra 2018 di Ronsel do Sil . Nel gruppo di testa sono anche due rossi delle isole Canarie, un vino valenciano, uno di Bierzo (Castilla y Leon) e uno di Manchuela (Castilla-La Mancha).  La delusione? Il mencia, la “rising star” delle varietà autoctone, per la sua succosità e freschezza, ma solo due vini  del campione sono stati interpretati al meglio per far parte dei primi venti.

Resta da dire solo qualche parola su  Craggy Range, la winery protagonista della serie “Profilo di un produttore”, oggi giunta a  25 anni di vita: situata in Nuova Zelanda, la proprietà della famiglia Peabody dispone di 400 ettari piantati, nei siti-chiave di Gimblett Gravels e Kidnappers Vineyard nell’Hawke’s Bay , Te Muna a Wairarapa  e altre vigne varie nella regione di Marlborough. Chardonnay, Pinot Noir, Syrah e varietà bordolesi , da cui ricava circa 1 milione di bottiglie l’anno nelle annate favorevoli.

E naturalmente su  Givry, una delle cinque AOC della Côte-Chalonnaise borgognona, di cui Charles Curtis dedica il “profilo regionale” del mese:  l’unica, con Mercurey, a produrre in maggioranza vini rossi: a Bouzeron e Montagny si producono infatti solo vini bianchi, mentre a Rully vi sono gli uni e gli altri, ma lo chardonnay predomina. Le vigne sono quasi totalmente situate nei comuni di Givry e Dracy-le-Fort, con una piccola partecipazione della vicina Jambles . Terra soprattutto vocata per il pinot noir, rappresentato in misura quasi cinque volte superiore allo chardonnay, vi si produce comunque anche una sia pur limitata quantità di vini bianchi. Sono poco meno di una settantina (66) i vigneron a produrre vini di questa denominazione, ma solo 18 installati nel suo territorio. Di questi i produttori di punta, a cui Curtis dedica una piccola scheda individuale, sono i Domaines François Lumpp, Joblot, Clos Salomon, Ragot e pochi altri, tra cui il Domaine du Cellier aux Moines e il Domaine La Ferté, tra loro vicini, entrambi di origine ecclesiastica. L’andamento delle ultime vendemmie è stato abbastanza in linea con quello delle altre regioni  vinicole della Borgogna, generalmente buone qualitativamente ( specie 2019 e 2020), ma ridotte nelle quantità per le gelate (soprattutto la 2021) e le grandinate (come quella del 16 maggio 2018). Nella sua vetrina personale, Curtis ha scelto un solo bianco, un Premier cru  La Grande Berge (il più grande del comune di Givry) 2020 del Clos Salomon, valutato 91/100, mentre, tra i rossi, al top è un altro Premier cru, il Clos du Cellier aux Moines, situato nel territorio di Dracy-le-Fort  2019, al quale l’autore assegna 95/100.

Guglielmo Bellelli

Nella mia prima vita (fino a pochi anni fa) sono stato professore universitario di Psicologia. Va da sé: il vino mi è sempre piaciuto, e i viaggi fatti per motivi di studio e lavoro mi hanno messo in contatto anche con mondi enologici diversi. Ora, nella mia seconda vita (mi augurerei altrettanto lunga) scrivo di vino per condividere le mie esperienze con chi ha la mia stessa passione. Confesso che il piacere sensoriale (pur grande) che provo bevendo una grande bottiglia è enormemente amplificato dalla conoscenza della storia (magari anche una leggenda) che ne spiega le origini.


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