Stampa estera. Decanter Vol. 47, n° 6: Spagna Olè!10 min read

Si tratta di un numero in pratica dedicato interamente ai vini spagnoli, come annunciato in copertina, con poche altre aggiunte esterne: il report di Matt Walls sui vini del Nord del Rodano, quelli ancora assai poco conosciuti del Sud-Ovest della Francia, e-per quanto riguarda gli spirits, i whiskies delle isole.

Partirò ovviamente dalla Spagna. Il menu prevede tre ampi articoli, rispettivamente sui bianchi spagnoli, sulle esperienze in Spagna del winemaker “nomadico” Darren Smith e sul nuovo astro della Ribera del Duero, Francisco Barona; vi sono inoltre i due Panel Tasting di questo numero (rispettivamente i Rioja “new wave” e i bianchi da uve Verdejo) e un bell’itinerario di viaggio a Cadice, base ideale per scoprire i vini andalusi. Non è però finita, perché la Spagna è protagonista anche del “Market watch” di questo numero, che approfondisce appunto il posto dei vini spagnoli nel mercato del Fine Wine.

Partiamo con i bianchi spagnoli. Conosciuta soprattutto per i suoi vini rossi, la Spagna produce ben più tipi di vini bianchi che gli Alvarinos delle Rias Baixas, quelli probabilmente più conosciuti tra quelli  fermi non fortificati. Grazie anche a una molteplicità di varietà autoctone e a un numero crescente di vignaioli e winemaker ambiziosi, è oggi possibile trovare, anche in questo colore, numerose pepite ancora poco conosciute, dal Ribeiro galiziano a Jerez. Non potendo citare tutti quelli selezionati da Decanter, mi limiterò a segnalare i quattro, che, con i loro 94 punti, sono giunti a sfiorare la soglia dei vini “outstanding”.

Il primo di essi un palomino bianco andaluso, lo Jeréz Ube Miraflores di Bodegas Cota 45 del 2020, di Ramiro Ibañez. Le uve, provenienti dai  caratteristici suoli di albariza da Sanlucar de Barrameda al vigneto costiero di Miraflores, danno un fino non fortificato, sapido e agrumato. Sugli stessi livelli è un Moscatel di Alicante, il Pureza di Pepe Mendoza del 2020: un infuso di mandarino e rosmarino, con la florealità del Moscatel de Alexandra da vigne molto vecchie, fermentato in anfore d’argilla, freschezza ed energia allo stato puro, grande classe. Il terzo del gruppetto di testa è un listan bianco di Tenerife, il Tenzado 2020 della Valle de Orotava, di Suertes del Marquès: organic, dalle note riduttive, affumicato e con una finissima acidità. Infine un albillo real della Castilla y Leon, il Kπ Real di Daniel Ramos del 2018,luminoso, vivo , molto distintivo, da una vigna condotta in biodinamica di 90 anni sulle montagne di Gredo, affinato in tinaie di argilla. E poi: un Verdejo della stessa regione, una vera bomba fruttata di Barco del Corneta, un blend di garnacha blanca e macabeu del Duero, di Terroir al Limit; uno Xarel-lo del Penedès, il Miranius 2018 di Celler Credo, mineralità, succo di pera e sottili note d’erba, e anche un umile Txakoli de Bizkaia organic della Valle de Astaria, di Tantaki. Un’esplosione di frutti tropicali che ricorda il manseng dello Jurançon , dalla beva compulsiva, di gran classe , ma riconoscibile come Txakoli.  Infine, da un blend di sette uve diverse provenienti da 23 parcelle differenti, un blanco di Ribeiro galiziano di Adega Sameiras 2019 (92/100), di grande grazia e charme.

Ora un rapido accenno all’Annual Report di Walls sui vini del Rodano del 2020. Si è trattato di un’ottima annata, sui livelli di quella felice del 2016, valutata da Decanter quattro stelle e mezza (su cinque). Solo 2010 e 2015 hanno ottenuto il punteggio pieno, mentre si sono attestate sulle 4 stelle 2012, 2017 e 2019. La 2020 è stata un’annata molto secca anche nel Rodano: a Crozes-Hermitage i vini, specie i bianchi da roussanne, risultano però molto equilibrati ed armonici, con diversi vini bianchi (dei Domaines Betton e Vendôme e di Marc Sorrel) e rossi (Villa Rouge, Haut Chassis, Yann Chave) che superano di slancio i 90 punti. Nella Côte-Rotie, i rossi sono più leggeri e freschi, con risultati eccellenti nella Côte Brune: 99/100 per quelli di JP Jamet e del Domaine Rostang . Nell’area dei bianchi di Condrieu, i vini sono leggermente meno concentrati ma molto eleganti, come dimostrano i 98/100 de La Grillette del Domaine de Martellot  e i 97/100 de Les Vieilles Vignes de Jacques Vernay del Domaine Stéphane Ogier. A Hermitage, si riscontrano eccellenti risultati, sia in rosso (99/100  a Le Pavillon rouge di Chapoutier e 98 all’Hermitage di J-L Chave, 97 l’Ex-Voto di Guigal), sia in bianco (98/100 al blanc di J-L Chave). Non sono da meno i Cornas, con i 98/100  de La Geynale di Vincent Paris e i 97 del sempre validissimo Clape. Di grande finezza e precisione, infine, gli altri bianchi della regione: soprattutto a St.- Joseph (92/100 il blanc di Gripa), dove anche i rossi sono di buon valore, mentre quelli di St.-Peray spiccano per brillantezza e trasparenza.

I due Panel tasting. Il primo è dedicato ai Rioja “new wave”, che “muovono”  la denominazione nelle varietà impiegate, con selezioni di vigna o tecniche innovative di winemaking.73 i vini degustati, dei quali circa un terzo ha raggiunto o superato la fatidica soglia dei 90 punti. Tre di essi sono stati valutati “outstanding”. “Tra questi un inconsueto 100% di maturana tinta da una vigna a 500 metri di altitudine, il Los Corrales de Moncenillo 2019 di Bodega Corral. Nell’altro Panel è protagonista in verdejo, una varietà a bacca bianca ormai diffusa in varie aree della Spagna, ma che per la  maggior parte si trova nella DO Rueda. Un tempo vini fortificati, ora sono vini bianchi slanciati e rinfrescanti, ottimi per l’aperitivo e gastronomicamente versatili. 120 i vini degustati, per circa un quarto valutati almeno 90 punti. Spicca l’unico vino ritenuto “exceptional”, dall’alto dei suoi 98/100,un Rueda non vintage, un solera di stile ossidativo che unisce vini di circa 70 annate diverse, invecchiate in damigiane esposte al sole, il Dorado de Alberto.

Mi resta di fare un accenno all’articolo dedicato al Sud-Ovest francese. Conosciuto più per la bellezza dei suoi paesaggi e per la sua storia, il Sud-Ovest lo è ancora molto poco per i suoi vini. Eppure, secondo Andrew Jefford, ben noto editorialista  di Decanter, sul quale ha una sua pagina fissa, e co-chair del prestigioso DWWA, il trofeo annuale dei vini del mondo  della rivista inglese, il Sud-Ovest francese è la più grande delle regioni misconosciute del vino francese, quella con le migliori potenzialità nel rapporto valore/prezzo e con possibilità pressoché illimitate di produrre vini fini da varietà poco conosciute. E di fatti l’Agenzia dello Sviluppo Economico della regione Occitana (ADOCC) presenta il Sud-Ovest come una grande riserva di diversità per quanto riguarda le varietà di uva, oltre 300, di cui 120 indigene: camaralet , lauzet, len de l’El, raffiat de moncade e verdanel  tra le uve bianche, duras e prunelac tra quelle rosse , continuando con l’arrufiac, l’ondenc e il petit manseng bianche  e l’abouriou e la négrette tra le rosse come varietà più esclusive.

Gaillac

Il Sud-Ovest comprende ben sette regioni diverse, con un numero considerevole di appellations grandi (come Bergerac,Cahors, Gaillac e Madiran), piccole (come Irouléguy e Marcillac) o piccolissime (come Entraygues-Le Fel ed Estaing), caratterizzate da terroirs molto diversi. Partendo da est, andando in direzione dell’Atlantico, sono dapprima l’area collinare dell’Aveyron, con Marcillac, poi il Tarn (Gaillac), il tolosano (Fronton), il Lot (Cahors), la Dordogne (Bergerac), la Gascogne (St. Mont, Madiran e Pacherenc-du-Vic-Bilh), e infine la ragione pirenaica, dove sono Irouléguy e lo Jurançon. Accomunate dal clima oceanico, esse si differenziano notevolmente per il paesaggio e la natura dei loro suoli, dalle aree pedemontane dei Pirenei agli altipiani del Tarn, della Dordogne e del Lot e i loro plateaux calcarei

Sono molte le pepite che si possono rintracciare spigolando tra le diverse denominazioni della zona. Tra i bianchi, ad esempio, va considerata la cuvée Renaissance 2019 del Domaine Rotier (93/100 per poco più di 13 pounds). Ottimi rossi abbondano nell’AOC Cahors (94/100 il Cahors 2018 dello Chateau du Cèdre) ,  a Irouleguy (Domaine Ilarria 2018, 93), intorno alle 20 sterline la bottiglia, mentre con poco più di 10 si può acquistare un interessante Madiran , l’Odé d’Aydie 2016 dello Château d’Aydie .Imperdibile, infine, tra i vins moelleux, il Monbazillac Les Pins 2020 dello Château Tirecul La Gravière (92/100), in grado di rivaleggiare con i Sauternes, ma costando meno della metà di quelli del suo livello (14, 50 pounds la bottiglia da 50 cl.).

Segnalo infine l’articolo di Andrew Jefford, che, oltre alla sua pagina abituale di commento, interviene sul controverso tema dei punteggi assegnati ai vini da guide ed esperti. Le prime valutazioni dei vini erano analitiche piuttosto che numeriche. Ad es., nella guida ai vini di Bordeaux di Penning-Rowsell del 1973, la gerarchia qualitativa dei vini dei diversi Châteaux appariva chiara anche se non veniva espressa in alcun voto. Michael Broadbent adottò fin dagli anni ’50 una scala di soli 6 punti (un massimo di 5 stelle e nessuna per un vino insufficiente), mentre Hugh Johnson, da sempre critico verso i punteggi su base 100 attuali, nella sua guida tascabile dei vini del mondo fece uso- e lo fa ancora oggi- di una scala da una a quattro stelle, eventualmente colorate di  rosso per i vini che mostrassero un particolare valore in termini di qualità/ prezzo. La scala di 100 punti oggi dominante fu introdotta per la prima volta da Robert Parker, in base all’esigenza di poter meglio discriminare i vini gli uni dagli altri, e si affermò progressivamente a partire dalla valutazione della grande annata 1982 di Bordeaux. Allora Parker, diversamente da oggi, dava anche giudizi molto severi, oggi inconcepibili, ben lontani dal minimo politico di 90/100 attuali: il Margaux 1973 ricevette ad es. solo 55 punti e solo il Petrus della stessa annata giunse a 87. La critica di Jefford a questo sistema di valutazione (qualunque sia la scala numerica adottata, da 20 o a 100 punti) è molto netta.

Del resto, per quanto sia ampia la scala adottata, i punti effettivamente utilizzati sono molti di meno (alla fine più o meno i 5 di un tempo), visto che il mercato richiede ormai vini che siano valutati tra 95 e 100 e mal sopporta quelli inferiori a 90. Nessun punteggio potrà mai essere però sufficiente a descrivere la enorme diversità “orizzontale” dei vini.Un 95/100 assegnato a un cabernet argentino non sarà mai identico allo stesso punteggio attribuito a un cru classé di Bordeaux. Come valuta i vini Jefford? Quale che sia la scala numerica adottata per convenienza (per lui non fa differenza), prima di tutto occorre comprendere “simpaticamente” la cultura da cui proviene il vino, facendo astrazione dalla sua reputazione e dal suo rango, perché non è possibile confrontare sullo stesso terreno un riesling kabinett con un semplice txakoli basco, eventualmente considerando vini diversi e di altre annate dello stesso contesto. Successivamente ci si concentra sul vino considerando con attenzione il colore, la consistenza e la viscosità nel bicchiere, l’aroma, il flavour, la texture, l’ampiezza, la lunghezza, l’armonia e la persistenza, le sole cose che alla fine restituiscono l’immagine di un vino.

Guglielmo Bellelli

Nella mia prima vita (fino a pochi anni fa) sono stato professore universitario di Psicologia. Va da sé: il vino mi è sempre piaciuto, e i viaggi fatti per motivi di studio e lavoro mi hanno messo in contatto anche con mondi enologici diversi. Ora, nella mia seconda vita (mi augurerei altrettanto lunga) scrivo di vino per condividere le mie esperienze con chi ha la mia stessa passione. Confesso che il piacere sensoriale (pur grande) che provo bevendo una grande bottiglia è enormemente amplificato dalla conoscenza della storia (magari anche una leggenda) che ne spiega le origini.


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