Stampa estera: Bordeaux si sposta in Polinesia? Che ne dite di 670 anni di riscaldamento globale a Beaune?6 min read

L’arinarnoa, nonostante il nome evochi più un atollo polinesiano che l’Haut-Médoc, è solo una delle 89 (e sembra fra quelle che hanno dato i risultati più interessanti)  varietà estranee agli assemblages di Bordeaux che l’infaticabile ottantottenne Bernard Magrez ha impiantato in una vigna sperimentale di 2 ettari e mezzo  nel suo Château La Tour-Carnet.

Château La Tour-Carnet

Lo spazio certo non manca, visto che Magrez, in 23 anni, ha portato la superficie vitata dello Château da 45  (tanti erano al momento dell’acquisto) a 251 ettari: non una novità- questa enorme dilatazione della proprietà ben oltre i confini originari-  perché ad averlo fatto sono praticamente tutti i crus classé di Bordeaux, anche se non in una misura simile. Si tratta comunque di un esperimento non poco costoso, visto che mantenerlo costa 100.000 euro l’anno.

Il punto d’arrivo dell’esperimento è fissato nel 2050, quando, se si avvereranno le previsioni più pessimistiche degli esperti, le temperature medie aumenteranno di  2°7 gradi. Il caldo, e ancor più la siccità, hanno già una vittima principale, il merlot,  la cui progressiva riduzione delle acidità a causa del calore sta mettendo in difficoltà non solo i vini della Rive Droite, in cui è la varietà dominante, ma anche quelli dell’altra riva, nei quali, negli ultimi decenni, il merlot aveva notevolmente accresciuto la sua importanza a scapito del cabernet franc.

Bernard Magrez

Obiettivo ambizioso di Magrez è quello di integrare l’encèpement degli Châteaux bordolesi con il  5-30% di varietà nuove, più resistenti e ben adattate a climi più caldi . Tra queste c’è ovviamente l’arinarnoa, derivante dal tannat e dal cabernet sauvignon, che conferisce ai vini rinfrescanti note mentolate, pur se ad alte temperature. Si aggiungono ad essa numerose altre varietà provenienti dal Sud-Ovest, resistenti alle variazioni climatiche ma che sembrano non compromettere l’equilibrio caratteristico degli assemblages bordolesi classici, come lo speziato fer servadou, il goloso manseng noir e il profumato duras. Non mancano naturalmente altri vitigni mediterranei capaci di ben adattarsi al caldo e alla siccità, come la syrah e il tempranillo, ed altri, oggi dimenticati e caduti in disuso, come il  castet noir, oppure ancora resistenti, come il voltis e l’artabane .

Magrez non punta sui Vin de France, fuori dal sistema delle appellations ufficiali, ma ad una modificazione dei disciplinari, recuperando varietà come il manseng noir e il fer servadou, che oggi sono vietati ma erano autorizzati nella Gironda prima della creazione dell’AOC. Per ora solo l’arinarnoa è stato ammesso (fino a un massimo del 10%) come “cépage d’interet à fin d’adaptation” ma la strada è stata tracciata. Il vulcanico autodidatta, che ha costruito un impero dal nulla a Bordeaux, intende far leva sulla filosofia bordolese dell’assemblage per trasformare- secondo una sua espressione- i vignerons  in concertisti, che dovranno trovare le giuste armonie tra resistenza allo stress idrico, acidità, pH, resistenza alle malattie. E gusto.

Se 670 vi sembran poche

Ha suscitato un ampio dibattito la pubblicazione, nel settembre scorso su “Le Monde”, dell’intervento di Thomas Labbé, cofondatore del gruppo universitario  di ricerca storica PArHis e ricercatore associato all’Università di Borgogna di Dijon, riguardante le date delle vendemmie in Borgogna nel corso degli ultimi 7 secoli. Si tratta di un condensato attualizzato e reso comprensibile per il pubblico di un ampio studio, di cui Labbé è il primo autore, apparso nel 2019 sulla rivista scientifica “ Climate of the Past”. Sulla base di diversi archivi dell’epoca, esso ha potuto ricostruire le date delle vendemmie nel territorio di Beaune dal 1354 al 2018, traendone importanti riflessioni sul riscaldamento climatico.

Non certo a caso, durante la Rivoluzione, il periodo compreso tra il 22 settembre e il 21 ottobre era indicato nel calendario rivoluzionario come “Vendemmiario”, perché era quello in cui tradizionalmente si vendemmiava. E di fatti i dati di Labbé mostrano che, partendo dalla “piccola glaciazione” iniziata nel ‘300, fino al 1987, quando era già da tempo in corso un innalzamento delle temperature, la data media delle vendemmie a Beaune  si è mantenuta stabile al 28 settembre. Dopo di allora, invece, questa viene ormai anticipata di circa due settimane (13-15 settembre).

I puntini rappresentano la data di venmmia in quell’anno.

Naturalmente ci sono anche numerose anomalie, che si discostano, e di molto, da questi dati medi, che lo studio discute in dettaglio, ma è significativo che dei 33 casi estremi (al di sotto del quinto percentile), 21 si siano verificati in un arco di tempo  di ben tre secoli e mezzo (dal 1354 al 1719), solo 4 nei due secoli e mezzo successivi (dal 1720 al 1987), ma ben il doppio (8) negli ultimi trent’anni. 

Quello di Labbé  é l’unico studio di questo genere che ripercorra un arco di tempo così lungo e sulla base di dati contemporanei al periodo descritto e non derivanti da narrazioni documentarie parziali, e come tale riveste un interesse particolare. Ovviamente, riportandone i risultati al dibattito attuale sul riscaldamento climatico, vanno considerate alcune circostanze, la principale delle quali è che lo studio parte dagli inizi del   periodo di brusco raffreddamento della “piccola glaciazione” iniziata nel XIV secolo e  conclusasi agli albori del Settecento, senza poter considerare il periodo del  famoso caldo medievale, noto come “medieval climatic anomaly”, in cui le temperature risalirono sensibilmente in tutta Europa (X-XIV secolo).

Va poi detto che la data delle vendemmie, anche se importante e correlata con le misurazioni disponibili sulle temperature, non è però una misura precisa del riscaldamento, dal momento che su di essa influiscono non solo le temperature medie annue, ma molto più quelle dei periodi critici (dopo la fioritura),  nei mesi e nelle settimane che precedono la raccolta delle uve, non trascurando le precipitazioni.

Considerando un arco di tempo così ampio non vanno poi trascurati altri fattori, come le conoscenze del tempo  e le credenze allora  in vigore circa i momenti ottimali per la raccolta ( si ricordi che nel Medioevo  le date delle vendemmie erano fissate dalle autorità attraverso  i cosiddetti “Ban de vendange”) e probabilmente anche  l’evoluzione dei gusti che potrebbero aver influito sulla maggiore o minore precocità della raccolta (la ricerca di maggiore acidità, di vini da bere giovani, ecc.).

Si tratta comunque di uno studio intrigante che mostra una via nuova ed originale per lo studio dei cambiamenti storici del clima.

Guglielmo Bellelli

Nella mia prima vita (fino a pochi anni fa) sono stato professore universitario di Psicologia. Va da sé: il vino mi è sempre piaciuto, e i viaggi fatti per motivi di studio e lavoro mi hanno messo in contatto anche con mondi enologici diversi. Ora, nella mia seconda vita (mi augurerei altrettanto lunga) scrivo di vino per condividere le mie esperienze con chi ha la mia stessa passione. Confesso che il piacere sensoriale (pur grande) che provo bevendo una grande bottiglia è enormemente amplificato dalla conoscenza della storia (magari anche una leggenda) che ne spiega le origini.


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