Stampa estera a portata i clic: Terre de Vins, n. 684 min read

Foto e titolo grande di copertina sono per Mathieu Potin, vincitore del concorso “Meilleur caviste de France 2020”  con la sua Cave La Vignery a Saint-Germain-en-Laye. Gli altri titoli sono: 60 “secondi” vini di Bordeaux, Viaggio in Corsica e, per la cucina, sapori d’Alsazia. La parte maggiore del fascicolo (una sessantina di pagine sulle 170 complessive) è riservata alla degustazione dei vini “da festa” di tutte le regioni di Francia: partendo da Bordeaux e proseguendo poi con i vini del Sud-Ouest, di Languedoc e Roussillon, Provenza, Corsica, Rodano, Jura e Savoia, Loira, Borgogna, Alsazia e Champagne. Distinti per denominazione, con l’indicazione dello statuto ambientale (certificazione HVE-Alto Valore Ambientale-  o AB-coltivazione biologica-, o vigne a conduzione biodinamica), una breve descrizione valutativa, prezzo indicativo e suggerimento gastronomico, ma senza alcun voto, secondo le nuove scelte della rivista. Soli segni di distinzione: i giudizi qualitativi e il contrassegno di “coup de coeur”.

Non parlerò dei singoli vini, lasciando al lettore il compito di scoprirli, limitandomi a segnalare la crescente attenzione della rivista per la biosostenibilità e la scelta di non assegnare voti numerici. Solo qualche coup de coeur di vini “sostenibili” al di sotto dei 12 euro per coloro che amano i vini di qualità adatti alla tavola  al di fuori del luxury: due rossi -un Côtes du Marmandais 2015, la Belle du Méras 2015, certificato AB, a € 10.50, da accompagnare a una côte à l’os forestière, e un Pinot noir della Languedoc, Pech Clavel 2018 del Domaine Girard, HVE, € 11.00 per il  tacchino con le castagne, e un bianco, Brin de Mimosa 2019, Côtes de Provence del Domaine de la Fouquette, €11.00 certificato AB, per un polpo grigliato alla piastra).

Passiamo ad un ampio servizio  sui trofei di “Bordeaux Vignoble Engagé 2020” attribuiti da Terre de Vins  in collaborazione con il Consiglio interprofessionale dei vino di Bordeaux.  Cinque i premi assegnati:  “Nature et respect” , per le azioni svolte per ridurre in modo durevole l’impiego di pesticidi; “Faune et Flore”, per l’attività volta a favorire la biodiversità e le infrastrutture agro-ecologiche;   “Vivre ensemble”, che distingue le aziende impegnate a sviluppare relazioni rispettose con i propri dipendenti e con l’ambiente sociale esterno; infine  le categorie “Empreinte”(gestione delle risorse, di acqua, energia, riciclaggio dei rifiuti) e   “Innovation et Avenir” (lotta contro le malattie della vigna).

Accenno ora  alle altre degustazioni minori  di questo numero, prima di soffermarmi un po’ di più sulla saga di questo mese (la famiglia Tesseron). I “secondi”vini di Bordeaux (segnalo il coup de coeur per Le Cèdre 2018, secondo vino bio dello Château Jean Faure, cru classé di St. Émilion, 20 euro), le “pepite” della Clairette de Die (encomiabile la cuvée Vincent metodo ancestrale del Domaine de Magord, domaine de Magord di Barsac, HVE,  solo 8 euro la bottiglia) e quelle dei bianchi delle Graves (un delizioso Château Cheret Pitres 2019 di Aurore e Nicolas Dewarte , in vendita a €8.50).

La saga della famiglia  Tesseron è annunciata dal titolo “La Charente scorre a Bordeaux”, a indicare le sue origini nelle terre del Cognac, dove possedeva una distilleria  a Châteauneuf-sur-Charente, a partire dalla quale i Tesseron iniziarono la loro espansione al di fuori dei confini dipartimentali, aprendo altre distillerie a Nizza, in Corsica e Algeria. L’arrivo nel Médoc avvenne quando Guy Tesseron sposò in seconde nozze una bordolese, Nicole Cruse,  zia di Emmanuel Cruse, personaggio ben noto nella regione di Bordeaux e comproprietario dello Château d’Issan a Margaux. Spinto dal  suocero, Guy cominciò allora  a interessarsi di vini, acquistando nel 1960 lo Château Lafon-Rochet a Saint-Estèphe, e poi, nel 1975, lo Château Pontet-Canet, a cui seguì cinque anni dopo lo Château Malescasse, a Lamarque, tra Margaux e Saint-Julien. Negli anni ’90 Lafon-Rochet toccò a Michel Tesseron (padre di Basile), mentre a Pontet-Canet si insediarono Gérard , fratello gemello di Michel, e Alfred, il figlio più piccolo.

Installatosi a Lafon-Rochet nel 1999 (prima disabitato da 40 anni), Michel e poi il figlio Basil l’ hanno dapprima ingrandito e restaurato, ponendo poi mano alla ristrutturazione del vigneto, ingrandito nel corso degli anni da 20 a 41,5 ettari, con una campagna di reimpianti impegnativa (di 1,5-2 ettari l’anno). Nel 2000 Michel ha  ristrutturato la cave delle barriques, poi il figlio ha posto mano alla cuverie, rimpiazzando progressivamente le cuves in acciaio inox con altre in cemento. Dal 2016 l’80% del grand vin è vinificato in vasche di cemento. I Tesseron si sono avvalsi nel corso degli anni della consulenza di tre dei più importanti enologi della regione: prima Jacques Boissenot, per otto anni, fino al 2007; poi Denis Dubourdieu dal 2011, infine Jean-Claude Berrouet, già enologo di Pétrus. Oggi Lafon-Rochet, IVème cru classé di Saint-Estèphe, la più settentrionale delle AOC del Médoc, è uno dei più apprezzati crus di quell’appellation, unendo charme, rondeur e finezza dei tannini. Ha ancora con un prezzo ragionevole (la 2018 intorno ai 40 euro la bottiglia) .

Che cos’altro resta, a parte le consuete rubriche di notizie, l’enoturismo, il web, l’actu dei sommeliers e dei cavistes,l e pagine dei commentatori)?  Per la gastronomia, lo spazio dedicato ai formaggi (il bleu de Causses e i vini per accompagnarlo)  e la cucina alsaziana  de Le Chambard a Kayserberg, i cocktails (protagonista il cognac), e naturalmente gli itinerari delle “Escapades”: questa volta si va in Corsica e poi in Toscana, a Montalcino.

Guglielmo Bellelli

Nella mia prima vita (fino a pochi anni fa) sono stato professore universitario di Psicologia. Va da sé: il vino mi è sempre piaciuto, e i viaggi fatti per motivi di studio e lavoro mi hanno messo in contatto anche con mondi enologici diversi. Ora, nella mia seconda vita (mi augurerei altrettanto lunga) scrivo di vino per condividere le mie esperienze con chi ha la mia stessa passione. Confesso che il piacere sensoriale (pur grande) che provo bevendo una grande bottiglia è enormemente amplificato dalla conoscenza della storia (magari anche una leggenda) che ne spiega le origini.


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