Stampa estera a portata di clic: Decanter, vol 45, n. 9.8 min read

Il titolo principale di copertina è dedicato ai Bordeaux 2010, riassaggiati da Decanter dieci anni dopo. Gli altri titoli principali sono per i sauvignon blanc della Loira, bersaglio del Panel Tasting di questo numero, gli chardonnay australiani, i migliori champagnes top-flight. Quelli “minori”: nuovi talenti della Borgogna, Lujan de Cujo, Georgia. C’è poi anche altro,  non menzionato tra i titoli di copertina: i vini dell’Okanagan Valley, il profilo di Silver Oak, i sauvignon della Hunter Valley, viaggio in Valdarno. E naturalmente tutto l’ampio corredo di rubriche , dalle news del mese alle lettere dei lettori, i Weekday wines, le notes & queries, il mercato dei collectors, la wine legend del mese, le pagine dei columnists : Jefford, Johnson e Carla Capalbo (sui vini georgiani). Purtroppo c’è anche un  doveroso ricordo per Michael Broadbent, 92 anni, grande uomo del vino, scomparso il marzo scorso.

I talenti borgognoni del momento sono scelti e presentati da Jeannie Cho Lee, di recente autrice del libro “The 100 Burgundies: Exceptional wines to build a dream cellar” (Assouline). Vediamoli: indifferente alle istanze della  parità di genere, sono otto uomini e solo due donne. Si tratta di Mathilde Grivot, del Domaine Jean Grivot, e Cécile Tremblay. La prima è la giovane figlia di Étienne e Marielle, quarta generazione, dal 2017 al timone dell’azienda di famiglia, a Vosne-Romanée, 15 ettari di proprietà . La sua filosofia: “Refined tannins and less new oak”. Il risultato : una maggiore purezza e precisione nelle ultime annate. La bottiglia scelta dalla Cho Lee è il Vosne-Romanée village del 2018.

Cécile Tremblay non è più un nome nuovo, anche se il suo Domaine è nato solo nel 2003. Non  certo un  germoglio casuale, imparentata com’è , in qualche modo, con i Confuron, i Noëllat e gli Jayer.  Solo 4 gli ettari di vigna, tutti di pinot noir, ma già una eccellente reputazione per i suoi crus di Vosne-Romanée.  Concentrazione e finezza. La bottiglia presentata in questo servizio,  però, non viene dalle sue parcelle più aristocratiche, bensì  un Pinot della nuova appellation régionale Bourgogne-Côte d’Or, naturalmente del 2018.

Ed ecco gli uomini, tutti provenienti dal ricambio alla conduzione di domaine storici, prevalentemente della Côte de Nuits:  Grégory Gouges , del Domaine Henri Gouges di Nuits-Saint-Georges, col suo famoso Vaucrains, Charles van Canneyt, dal 2008  al Domaine Hudelot-Noëllat, dieci ettari tra Chambolle, Vosne , Vougeot e Nuits-saint-Georges, del quale viene qui presentato il suo gioiellino Les Petits Vougeots,  premier cru di Vougeot, Chalrles Lachaux , del Domaine Arnoux-Lachaux, di recente convertito alla biodinamica,  col suo Premier Cru Les Suchots,  Cyprien Arlaud, dal 2013 alla guida del  Domaine Arlaud, col Morey-Saint Denis Premier Cru Les Ruchots. Infine, forse meno conosciuto dal grande pubblico, ma già una star della Côte de Nuits, Pierre Duroché del Domaine Gilles Duroché, con i suoi raffinati vini di Gevrey (la Cho-Lee ha scelto per l’occasione il suo Les Jeunes Rois).

Tre sono i vignerons provenienti invece dalla Côte-de-Beaune: Arnaud Ente, all’omonimo Domaine di Meursault, definito da Jeannie Cho Lee lo “yin” dell’appellation, di cui lo “yang” è invece Raphael Coche-Dury: i suoi vini sono affilati come rasoi, ricchi di tensione ed energia. Vigne vecchie, basse rese, sempre meno legno. Il vino scelto per presentarlo non è però uno dei suoi grandi e ricercatissimi Maursault, bensì un umile Bourgogne Aligoté, prodotto con rese infinitesimali da una vigna del 1938.  Gli altri due talenti vengono da famiglie ampiamente radicate (e ramificate) in tutta la Côte de Beaune. A identificarli non basta il cognome e talvolta neppure il nome: si tratta di Jean-Marc Pillot, a capo del Domaine col suo stesso nome  (col suo Chassagne-Montrachet Premier Cru Les Vergers) e Pierre-Yves Colin (Domaine Pierre-Yves Colin-Morey), con un suo bianco di Saint-Aubin, il Premier Cru En Remilly.

Dalla Borgogna ci spostiamo a Bordeaux per la rivalutazione dei più importanti cru classés della Rive Gauche a 10 anni dalla vendemmia della grande annata 2010. A parlarne è ovviamente Jane Anson, la designata ufficiale di Decanter alle primeurs di Bordeaux e fresca autrice del suo “Inside Bordeaux “ (Berry Bros &  Rudd Pub.,2020). Se l’annata 2009, pur se complessivamente una grande riuscita in tutto il terroir bordolese, aveva raggiunto il suo livello più alto di eccellenza nella Rive Droite, la 2010 ha pareggiato i conti: splendida un po’ dappertutto, ma straordinaria sulla riva opposta e soprattutto a Pauillac e Saint-Julien. Ben 5 Chateaux hanno ottenuto i 100/100 (non era mai accaduto): i tre Premiers Crus di Pauillac, a cui si sono aggiunti Léoville-las-Cases (2nd cru Saint-Julien) e Pichon Comtesse de Lalande (2nd cru Pauillac). Solo un punto al di sotto Margaux (99/100), poi, a quota 98, la coppia Haut-Brion/La Mission Haut-Brion, Montrose, Palmer e Pichon-Baron, ma foltissimo è il gruppo degli Châteaux che hanno raggiunto la forbice dei vini “outstanding” (95-97). L’”angular craziness” delle primeurs si è trasformata in un solido framework per i prossimi decenni. La maggior parte dei vini appare oggi approcciabile, specie dopo alcune ore di caraffa, anche se i grandi premiers crus hanno bisogno di almeno 15-20 anni dalla vendemmia per ammorbidire la loro potente struttura tannica. Unico limite: i prezzi. Elevatissimi all’epoca delle primeurs, diventano oggi più avvicinabili ai comuni mortali, complice la crisi dei mercati internazionali (dazi di Trump e pandemia).

Ed eccoci ora al Panel Tasting dei sauvignon della Loira. Presente anche in altre zone della Valle della Loira, ma  in minor proporzione, andando verso est, il sauvignon subentra gradualmente allo chenin- il grande sovrano del saumurois – a partire dalla Touraine, diventando sempre più dominante, attraverso la valle del Cher,  nella regione del Centre. Non si tratta solo del Sancerre e del Pouilly-Fumé, ma anche di diverse altre piccole appellations-satellite, come Quincy, Menetou-Salon, Reuilly, Coteaux du Giennois. Spesso sono proprio queste ultime a essere più interessanti, per l’eccellente rapporto qualità/prezzo, pur non avendo ovviamente la statura dei fratelli maggiori Sancerre e Pouilly-Fumé.

La Touraine e il Centre sono parte del bacino calcareo-argilloso di Parigi: nei suoli la proporzione di argille varia da praticamente nulla (le classiche caillottes) alle terres blanches, soprattutto sui pendii collinari, che ne sono assai più ricche, con aree di silex sparse un po’ dappertutto. Climaticamente il Centre è più continentale della Touraine, che avverte ancora in parte l’influenza atlantica, con inverni più freddi e piovosi ed estati calde. Non si dimentichi che Sancerre è più vicina a Chablis che a Tours e che Pouilly-Fumé, amministrativamente, fa parte della Borgogna.

Le annate degustate sono state le ultime (2017-2019). Delle tre, dopo un 2016 falcidiato dalle gelate e poi dalla peronospora, un grande 2015 e un 2014 miracolato da un settembre finalmente caldo e secco, la migliore è stata la 2017. La 2019, nonostante le difficoltà della fioritura, ha  dato vini piacevoli e sorprendentemente freschi nonostante l’estate torrida. La 2018 è stata invece la classica “ mixed bag”: con alcune riuscite molto buone, ma non omogenea, a causa del caldo che ha fatto esplodere le gradazioni di alcol e depresso fortemente le acidità.

La degustazione  ha dato complessivamente dei risultati di livello medio-alto: nessun vino “exceptional”, solo 2 “outstanding” -entrambi dei Sancerre, il Les Boucauds 2018 del Domaine Claude Riffault e il Les Calcaires 2017 del Domaine Lucien Crochet, a 95/100-, ma una trentina di vini a 90 punti od oltre, e  50 “recommended” (86-89 punti). Nessun  campione è risultato “poor” o “faulty”. Tra gli “highly recommended”, tra  i Sancerre (la maggior parte) e i Pouilly-Fumé, ci sono anche cinque Menetou-Salon del 2019, tra i quali spicca il Classique Blanc del Domaine Isabelle et Pierre Clément, con 93 punti. Resta poco da dire sul resto: fa piacere che uno degli itinerari di viaggio (l’altro è nella “culla del vino” georgiana) riguardi il Valdarno, una regione nella quale si producono vini eccellenti, ma meno conosciuta dagli appassionati internazionali rispetto a Montalcino, al Chianti classico, e naturalmente al bolgherese. Accanto agli champagnes raccomandati per il 2020 da Yohan Castaing , ai bianchi australiani e al profilo del territorio  di Lujan de Cujo, in Argentina, ci ha interessato l’articolo sulla Okanagan Valley, nel Canada occidentale,  la regione vinicola più settentrionale al mondo. Non fa parte, come le altre regioni americane, del New World, ma, come si suol dire, del “Next World”. Il fascicolo è chiuso come sempre, dalla Leggenda del Vino:  lo Jackass Hill Zinfandel 1994 di Martinelli (Russian River Valley, California).

Ora, in sintesi, il supplemento annuale dedicato a Bordeaux: cento pagine a colori di articoli e servizi sull’universo Bordeaux.  I primi due, firmati rispettivamente da Jane Anson ed Elin Mc Coy, sono rivolti ai fermenti di rinnovamento che hanno investito questo territorio: il primo, sui dieci  Châteaux (principalmente della Right Bank) determinati a tracciare percorsi nuovi in un ambiente molto legato alla tradizione; il secondo , sugli Ecowarriors, ossia la svolta ambientale.  Due le grandi degustazioni “evolutive”: i grands crus della Left Bank dell’annata 2017 tre anni dopo, e i vini di Saint-Émilion e Pomerol dell’annata 2015. Nella prima Latour e Lafite-Rotschild sovrastano tutti gli altri Châteaux del Médoc e delle Graves a quota 98/100, tallonati da Palmer e Léoville-las-Cases un punto al di sotto. Nella seconda, meglio Pomerol di Saint-Emilion, con i suoi sei “oustanding” contro due. Andy Howard ha poi scelto i suoi Top reds  di Bordeaux da meno di 20 sterline la bottiglia.

Il terroir sotto esame è quello di Saint-Julien (ne parla Stephen Brook), mentre Jane Anson approfondisce il profilo dello Château Lafleur, straordinario cru di Pomerol (100/100 per le annate 2016 e 2000).Ancora la Anson  propone un ritratto dei  5 Premiers Crus della Left Bank, mentre James Lawther descrive il lavoro dell’enologo-consulente Eric Boissenot e i suoi  Châteaux (Capbern, Fourcas-Hostens, Teynac, Lanessan, Moulin- de la Rose). Ancora: le varietà secondarie di Bordeaux , dal Carmenère al Petit Verdot , il “sale e pepe” dei blends , viste da James Lawther, e poi  New York  e i suoi indirizzi per i Bordeaux lovers  e  il mercato delle bottiglie pregiate. Che crescita i prezzi, venti anni dopo, dei Premiers Crus del 2000 (Mouton-Rotschild + 1.103%, Haut-Brion “solo” + 249%),  molto bene 2005 (in testa Lafite e Haut-Brion, con rivalutazioni superiori  al 70%), poi cominciano i dolori, con saldi al negativo nelle altre grandi annate iconiche: 2009 (Lafite-Rotschild – 48%), 2010 e 2016 (mancano i dati del 2015).  Infine: bere o conservare? Le annate da bere subito: 2007 e 2013. Hanno invece un lungo futuro davanti a sé – da conservare- le ultime annate (2015-2018) e l’eccezionale 2010.

Guglielmo Bellelli

Nella mia prima vita (fino a pochi anni fa) sono stato professore universitario di Psicologia. Va da sé: il vino mi è sempre piaciuto, e i viaggi fatti per motivi di studio e lavoro mi hanno messo in contatto anche con mondi enologici diversi. Ora, nella mia seconda vita (mi augurerei altrettanto lunga) scrivo di vino per condividere le mie esperienze con chi ha la mia stessa passione. Confesso che il piacere sensoriale (pur grande) che provo bevendo una grande bottiglia è enormemente amplificato dalla conoscenza della storia (magari anche una leggenda) che ne spiega le origini.


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