Stampa estera a portata di clic: Decanter, vol 45, n. 611 min read

Due austere bottiglie di vino spagnolo annunciano il tema principale-quasi monografico- di questo numero, pressoché interamente dedicato ai vini della Spagna. Il titolo più grande di copertina recita infatti “Il meglio della Spagna” e i sottotitoli lo esplicitano maggiormente: 183 Riojas, Garnachas bianca, Manzanilla degustati, ristoranti spagnoli. In aggiunta, però, c’è un po’ di spazio per i vini del Rodano sud dell’annata 2018 e per i cambiamenti climatici nella Borgogna.

Il tema principale di questo numero è ampiamente articolato in una serie di servizi (ben 7) e tre ampie degustazioni: la Spagna in dieci garnachas , la Rioja orientale, Espressioni della Spagna nordoccidentale; Alvarinho versus Albariño, le trasformazioni del tempranillo, intervista a Ricard Rofes (winemaker di Cellers de Scala Dei, Priorat), la Rioja Alta, i due Panel Tasting (Rioja affidabili da 10 a 20 sterline, Garnacha blanca) e l’”Expert choice” (Manzanilla), per concludere con l’itinerario nella “mia” Madrid di Shawn Hennessey e i migliori ristoranti creativi di tutte le regioni della Spagna.

Non c’è che da scegliere, e di fatti sceglieremo , non potendo trattenerci su tutti, l’articolo sull’albariño. In più ci soffermeremo  sui cambiamenti climatici in Borgogna. Poi, oltre ai temi anticipati nei titoli di copertina,  c’è anche altro. Come sempre sono interessanti le pagine dei columnist : Jefford distingue tra siti e suoli e indica nei primi piuttosto che nei secondi il fattore da cui nasce la grandezza di un vino, confrontando l’affermazione di Petrus rispetto ad altre località che, pur avendo  suoli molto simili, differiscono per i contesti nei quali è coltivata la vigna. Poi  ci sono gli assaggi di Spurrier e i weekday wines, lo sguardo al mercato delle aste e dei vini pregiati e il vino-leggenda : ovviamente spagnolo, il Roda I Reserva 1994 di Bodegas Roda. Tutto il resto lo lasceremo scoprire direttamente al lettore .

Alvarinho o albariño? Quale che sia il modo di chiamarlo, secondo Pedro Ballesteros Torres, esperto dei vini ispanici di Decanter, non c’è dubbio che sia ormai diventato la più internazionale delle varietà a bacca bianca della penisola iberica: ci sono già, infatti, ottimi vini di albariño in Nuova Zelanda, California, Uruguay e Argentina e cominciano ad essercene in Australia, Washington, Oregon , e persino Bordeaux-una piccola rivoluzione- l’ha inserita come varietà da aggiungere a quelle autorizzate. Non c’è dunque da stupirsi che esso stia per diventare una delle nuove star mondiali: è un vitigno di grande qualità che esiste da moltissimo tempo, anche se non vi sono riferimenti ufficiali ad essa prima del XIX sec.,  in Spagna e Portogallo, che  naturalmente sono in disaccordo tra loro circa il luogo dal quale abbia effettivamente preso origine. Quel che è certo che era parte importante dell’assemblage dei famosi vini di Ribadavia XXX amati dalla corte d’Inghilterra nel XVI secolo, e che è stata la prima varietà  di cui sia stata definita l’area di coltivazione per legge, quando nel 1908, divenne l’uva base del Vinho verde portoghese.

Scoperto tardivamente dai grandi mercati del vino (all’epoca delle grandi esportazioni dalla Spagna e dal Portogallo, nel XVIII e XIX secolo, infatti, erano ricercati  i vini ad altra gradazione alcolica, come il Porto e lo Sherry), l’albariño ha potuto affermarsi con l’ingresso nell’Unione Europea che  gli ha aperto l’accesso ai  mercati internazionali . Insieme sono state migliorati i trasporti e  le infrastrutture e sono arrivati investimenti consistenti nella viticultura . Esso fa parte di molti assemblage di successo prevalentemente nel nordest della penisola iberica, ma vi sono solo due aree nelle quali essa è vinificato anche in purezza: le contee di Melgaço e Monção, le regioni del  Vinho Verde portoghese (1.340 ettari in tutto)  e la Val do Salnés  nella DO spagnola Rias Baixas, in Galizia (2.320 ha.).

E’ una varietà resistente, anche se sensibile all’oidio, alla peronospora e alla botrytis, che non richiede grandi sforzi dal punto di vista della sua coltivazione. Vuole però le radici asciutte e per questo predilige suoli granitici ben drenati. Il clima delle aree nelle quali cresce è prevalentemente atlantico, con temperature relativamente miti e piogge in abbondanza: alcune sotto-zone (ce ne sono ben 9)  del Vinho verde  sono però  caratterizzate da  un clima più continentale e meno umido.  Le vigne del Melgaço e del Moncão  si trovano  maggiormente  in altitudine, sopra i 350 m., e sono generalmente coltivate a pergola, mentre nel Salnés sono più in basso, specie nelle zone più vicine all’oceano, e utilizzano  dei sistemi di impianto a tralicci.

L’albariño è un vitigno  molto vigoroso e occorre conservarne l’equilibrio per ottenere i risultati migliori. Un tempo era più difficile, sia per la mancanza di adeguate conoscenze tecniche, sia perché la proprietà molto frammentata (la superficie media delle vigne possedute da ciascun  vignaiolo è di circa  mezzo ettaro nel Salnés spagnolo e poco di più, 0.80 ha. nelle aree del Vinho verde) e la scarsa redditività dei terreni  spingevano verso  rese più alte. L’albariño è vinificato in modi molto diversi dai vari produttori: vi sono quelli che privilegiano la ricchezza del frutto, che rende i vini molto piacevoli in gioventù, altri sperimentano invece periodi di affinamento più lunghi sui lieviti ed alcuni anche in legno, che , nei casi  più riusciti, danno vini più densi e complessi. I Rias Baixas , nelle versioni più di base, sono spesso abbastanza magri ed erbacei, ma nelle  migliori i vini hanno sentori di pesca ed albicocca, agrume, piacevoli note floreali , tendendo al tropicale nelle annate più calde.

I Vinhos verdes , anche per la maggiore altitudine delle vigne,  hanno acidità vivace, alcol moderato, ma struttura salda, con una chiusura leggermente amara che li rende talvolta molto eleganti. In generale la qualità è notevolmente migliorata ed è generalmente buona o molto buona.I vini provenienti da vigne vecchie sono spesso eccellenti. L’albariño è una varietà capace di modularsi notevolmente in base al terroir e non vi é dubbio, perciò, che la prossima sfida sarà quella dei vini da vigne singole . I migliori Vinhos Verdes per Decanter: Poema Alvariño Sobre Lias Monçao e Melgaço 2016 Quinta de Lomidal (94/100, £ 25.25) e Terramatter Monção e Melgaço 2018 (94/100, £ 27.00). I migliori Albarino Val de Salnés (però che prezzi!): La Comtesse  Pazo Barrantes 2016 (96/100, £ 38.99) e Selecion de Añada Pazo Senorens 2010  (94/100, £ 47.99).

Il secondo articolo da me scelto è firmato da  Tim Atkin e riguarda gli  effetti del riscaldamento climatico sui vini della Borgogna. Nelle ultime due caldissime annate 2018 e 2019, le vendemmie sono state notevolmente anticipate rispetto alla media generale, ma questo non è più un fenomeno occasionale. Anche in passato ci sono state annate torride, come quella del 1540, funestata da  siccità estrema, incendi di foreste e temperature altissime, ma questa circostanza , un tempo eccezionale,  è ormai diventata la nuova regola. Dall’esame delle date delle vendemmie a Beaune dal 1354 al 2018-le più antiche diligentemente trascritte dai monaci che possedevano la maggior parte delle vigne in quel territorio-,  l’European Geoscience Union ha riportato in un rapporto molto recente,  che, nell’arco di questi 664 anni, vi sono state 33 annate considerate estremamente precoci a causa delle temperature più alte: di queste 21 si collocano nel  periodo compreso tra il 1393 e il 1719 e solo 4 nei circa  due secoli e  mezzo successivi, più freddi:  il vero cambiamento è venuto dopo il 2003, quando , con esclusione della 2008 e della 2013 ,  più tardive, ben 8 (9 includendo anche la 2019 non considerata nel rapporto citato) fanno parte del gruppo delle 33 più calde di sempre. Negli ultimi trent’anni le vendemmie hanno avuto luogo 13 giorni prima della media di quelle precedenti a partire dalla metà del ‘300.

Foto Andrea Federici

Qual è l’atteggiamento dei  vignerons al riguardo? Come sempre, c’è chi guarda agli aspetti attualmente  positivi: tra questi è, ad es.,  François Millet, del Domaine Comte Georges de Vogüé, che parla del  2018 e del  2019, come di annate quali se ne vorrebbero sempre, che hanno permesso di  raccogliere finalmente uve abbondanti, mature, al riparo dalle piogge autunnali, diversamente  dalle annate fredde e umide come la 1977 e 1984, prima assai più frequenti.  Altri, come Jeremy Seysses, del Domaine Dujac, sono invece più “apocalittici” e guardano con preoccupazione al nuovo trend climatico. Seysses  parla esplicitamente dei cambiamenti climatici più recenti (caldo invernale, gelate primaverili, grandinate estive) come de “la nostra fillossera”. Le proiezioni formulate dagli studi più recenti sono tali da ingenerare notevoli preoccupazioni. Qualora non intervengano cambiamenti, che avviino un trend differente, si prevede infatti un incremento di circa 4° e mezzo in Borgogna entro il 2100, il che potrebbe significare l’impossibilità di coltivarvi pinot nero  da oggi a poco più di  50 anni.

Lo chardonnay ha mostrato di sapersi adattare meglio a climi anche molto più caldi di quello della Borgogna, pur divenendovi  più grasso e  meno acido,  ma per il pinot è diverso. Anche se la Borgogna non è stata ancora  colpita dagli incendi selvaggi che hanno funestato  negli ultimi anni le vigne di California e Australia, il pinot della Borgogna come lo conosciamo  è davvero esposto al rischio di estinzione. Già oggi tende  a diventare sempre  più simile a quelli del Nuovo Mondo, più caldo, alcolico e rotondo, insomma perdendo quella diversità che rende la Borgogna unica al mondo.

Pinot nero

Alla maggiore alcolicità e all’alterazione degli aromi caratteristici del pinot borgognone si aggiungono inoltre,  sempre più frequentemente, nuovi problemi legati anch’essi alla crescita  delle temperature, come gli eccessi della volatile e  la diffusione dei brettanomiceti. Il cambiamento climatico ha notevolmente trasformato  le caratteristiche dei siti che hanno finora rappresentato la culla del pinot nero borgognone, tanto da minacciare la stessa gerarchia dei climats costruita nel corso del precedente millennio. Le appellations più prestigiose cominciano a soffrire fortemente, nonostante la loro “magia” (come la definisce Pierre Damoy) che ha finora permesso loro di reagire meglio di tutte le altre alle irregolarità climatiche.  Soprattutto quelle con suoli calcarei più poveri, e con insufficienti argille capaci di trattenere l’umidità.

I siti delle Hautes-Côtes e di molti villages più in  alto sembrano invece potersi difendere meglio, mettendo in discussione gerarchie consolidate da secoli.  Climats prima ritenuti troppo freddi come la Combe aux moines sono ora splendidi e vigne che non erano state in grado di portare le uve a maturazione nelle annate più fredde del passato recente (come 1988, 1998 o 2013) appaiono  ora persino  troppo calde.  Anche dopo la pubblicazione del rapporto dell’associazione europea di scienze della terra, in Borgogna, molti preferiscono negare l’evidenza, ma sono sempre più numerosi quelli che cominciano ad essere seriamente preoccupati e stanno cercando di prendere le contromisure necessarie. Ovviamente non vi sono soluzioni sicure, ma la consapevolezza della gravità della minaccia  è la prima e la più importante delle precondizioni.

Diverse sono le pratiche adottate per mitigare gli effetti del cambiamento climatico. Nelle vigne  si scelgono canopie più ampie e dense, si accresce la resa delle piante per ridurre la concentrazione zuccherina, si cerca di aerare meglio i suoli con l’aratura. Molti vignerons, come Jean-Louis Trapet del Domaine omonimo ritengono  che la coltivazione biologica e biodinamica rappresentino una difesa migliore contro i cambiamenti climatici. Si scelgono cloni, selezioni massali, portainnesti adatti a maturazioni più ritardate e che resistano meglio allo stress idrico, si modifica l’orientazione dei nuovi impianti da est-ovest a nord-sud, diventano sempre più attrattivi i siti più freddi, specie nelle Hautes-Côtes,  si cercano nuove vigne nelle regioni vicine, come lo Jura, il Beaujolais, persino aree mai coltivate a vigneto come la Piccardia: ciò che importa,  dice Nicolas Potel, è che siano inclinate,  in collina, calcaree e con i filari che guardino a nord. Si vendemmia prima: nel caldissimo 2018 Arnaud Emte ha cominciato la sua raccolta il 19 agosto.

Lo chardonnay si vendemmia oggi in tempi una volta adatti ai cremants, per i rossi si pone il dilemma tra maturazione alcolica e fenolica: vini più alcolici o  troppo verdi? Ricorrere all’irrigazione, almeno nelle annate troppo secche come la 2019?  Gli australiani non comprendono l’ostinazione del Vecchio Mondo contro l’irrigazione artificiale, ma i vignerons borgognoni si sforzano di risolvere il problema piuttosto modificando potature e modi di lavorazione dei suoli. Secondo alcuni bisognerà, prima o poi prendere in considerazione delle varietà alternative. Nella Yonne, dove esiste già il sauvignon di St.Brie, alcuni già coltivano illegalmente un po’ di chenin, e vicino Cluny comincia ad apparire la syrah.  Alcuni pensano che bisognerebbe cominciare a pensare ad affiancare allo chardonnay uve come l’assyrtiko, la grenache blanc o il gros manseng o il vermentino. BIVB e INAO si oppongono, ma , persino nella blindatissima Bordeaux, si sono dovuti aggiungere l’albariño e il touriga nacional rispettivamente negli assemblages di bianchi e rossi. Diane Snowden (Domaine Dujac) conclude: “Non siamo senza speranze, ma la minaccia è terribile; speriamo solo  di avere ancora un decennio per adattarci prima che sia troppo tardi”.

Per chiudere, solo un rapidissimo cenno alla sofferta annata 2018 nel Rodano meridionale: la peronospora ha invaso le vigne in primavera e i produttori (specie quelli  a conduzione biologica o biodinamica) hanno subito perdite importanti, ma la torrida e secchissima estate (fatta eccezione per il temporale del 9 agosto) ha in parte rimesso le cose a posto. Tre bottiglie e mezza è la valutazione dell’annata secondo Decanter, lontano dalle 5 di 2010 e 2016, ma leggermente meglio della deludente annata 2013, che ne ebbe solo 3. Abbastanza bene Chãteauneuf-du-Pape e i siti più alti di Gigondas, più  contrastati i risultati di Cairanne, Rasteau e Vacqueyras . Leggermente meglio Vinsobres.

Guglielmo Bellelli

Nella mia prima vita (fino a pochi anni fa) sono stato professore universitario di Psicologia. Va da sé: il vino mi è sempre piaciuto, e i viaggi fatti per motivi di studio e lavoro mi hanno messo in contatto anche con mondi enologici diversi. Ora, nella mia seconda vita (mi augurerei altrettanto lunga) scrivo di vino per condividere le mie esperienze con chi ha la mia stessa passione. Confesso che il piacere sensoriale (pur grande) che provo bevendo una grande bottiglia è enormemente amplificato dalla conoscenza della storia (magari anche una leggenda) che ne spiega le origini.


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