Stampa estera a portata di clic:La Revue du Vin de France, n.6466 min read

I titoli grandi di copertina: speciale varietà dimenticate; lo stile del cognac, liquorosi del mondo.

Poi molti altri in minore evidenza: inchiesta sui finanzieri diventati vignerons; incontro con Albéric Bichot; vini francesi per accompagnare le cucine del mondo; i buoni vini delle coop. Un rapido accenno agli altri temi non annunciati in copertina: campionato del mondo di degustazione ; Domaine Closel in verticale; Domaines Combier e Alain Graillot a confronto; profilo del Sainte-Croix-du-Mont; Terroirs del Roussillon; la bottiglia “mitica” del mese (Champagne Vieilles Vignes Françaises  1969 di Bollinger); la bottiglia su cui si dibatte (Gaillac Mauzac Nature 2019 del Domaine Plageoles) e naturalmente tutte le consuete rubriche. Del campionato del mondo di degustazione svoltosi in un momento a dir poco inopportuno, vinto dall’équipe francese e con l’Italia ultima abbiamo già parlato qui.

Per motivi di brevità, io mi soffermerò sulle tre degustazioni maggiori (cépages oubliés, Champagnes , liquorosi ), limitandomi a pochi dettagli sul resto.

Cominciamo dalle varietà “dimenticate”, ma salvate o ripiantate da alcuni vignerons irriducibili. Il dossier di degustazione coordinato da Pierre Casamayor ha messo alla prova vini prodotti da diverse di esse con i punteggi, ormai, in centesimi.

Ce ne sono di tutte le tipologie: bianchi , come il pétillant naturel Les Chillois di Nicolas Prigent, a base di plantet, chambourcin e villard noir, o l’Autochtone IGP Val de Loire del Domaine des Bérioles  , prodotto dall’antico tressailler, probabile incrocio di origine italiana di pinot bianco e gouais blanc, uno dei più sorprendenti (91.6/100 il voto medio ricevuto dagli assaggiatori). E poi : fié gris, verdesse, bouysselet blanc, e naturalmente rossi: miglior risultato , con 93/100, è stato quello di un rosso corso, il Costa nera 2016 del Clos Canarelli, dal vitigno carcaghjolu neru, di probabile provenienza sarda, ma numerosi sono quelli tra 89 e 90/100: l’IGP Isère Coteaux de Grésivaudan 2018 da uve étraire, l’Aubouriou Côtes-du-Marmandais 2017 di Elian Da Ros, da uve aubouriou, il Vin d’Oeillades Vin de France 2019 del Domaine Navarre , da uve oeillade, e il Ribeyrenc Vin de France 2018, dello stesso Domaine, dalla varietà omonima ribeyrenc.

Tra questi anche un Graves rouge 2015 di Liber Pater , la proprietà di Loïc Pasquet, che ha l’ambizioso programma di restaurare l’antica Bordeaux di prima della fillossera, e  firma alcuni dei vini più costosi del mondo: per il suo assemblage di castets, tarnay-coulant, Saint-Macaire e petit verdot, 89/100.Un solo rosé, a base di tibouren (nome d’Oltralpe  del nostro rossese), di cui abbiamo già parlato in altri articoli, la Cuvée Prestige Caroline 2017 del Clos Cibonne.   Saranno questi vitigni ora riscoperti o da riscoprire a salvare il vino dal riscaldamento globale? Alcuni sembrano crederci davvero.

Veniamo ai vini liquorosi “del mondo”. Non solo Sauternes o Barsac o i grandi moelleux della Val de Loire,  da pourriture noble , ma anche da uve appassite. I vini dolci sono sempre più in difficoltà sui mercati internazionali, anche se continuano a spuntare regolarmente punteggi elevatissimi nelle degustazioni, ma le abitudini dei consumatori li stanno portando a un declino apparentemente inarrestabile. Di qui sono sempre più frequenti i  tentativi di “ammodernare” questi grandi vini per renderli più appetibili, o di elaborarne nuove tipologie, secche e meno alcoliche, che dividono nettamente innovatori e conservatori. C’è anche l’Italia, ma solo nella grande categoria dei vini passerillés. Nell’area “mediterranea”, la prima individuata dalla RVF, escludendo da essa la Francia, con l’Italia, sono soltanto la Spagna (cinque vini, da alicante, moscatel dulce, Malaga…) e la Croazia (due vini, da uve graševina, un pourriture noble, e un blend di autoctoni dell’isola di Ȟvar da appassimento). Quanto ai vini italiani selezionati: vinsanti chiantigiani (l’Occhio di Pernice di Avignonesi, 96/100 il 1997, e il Vin San Giusto dolce di San Giusto a Rentennano, 98/100 il 2006), un Aleatico di Massa Vecchia (94/100 il 2011), passiti  della Valpolicella (il Vigna Seré di Dal Forno Romano, 96/100 il 2004, e il Recioto di Quintarelli, 95/100 il 1993), il Recioto bianco di Soave Cà Foscarin di Gini, 92/100 il 2008). Completano il gruppo un Moscato rosa dell’Alto Adige (Colterenzio, 90/100 il 2009), il Sagrantino passito di Bea (95/100 il 2009) e due moscato di Pantelleria (quello di Serragghia, 94/100 il 2007 e il passito Ben Ryé di Donnafugata, 94/100 il 2016).

Foto Tiziana Baldassarri

I vini italiani segnalati sono solo passiti: la rappresentanza siciliana avrebbe potuto essere più robusta, mentre sono del tutto esclusi i vini da pourriture noble umbri . La seconda sezione della degustazione è rappresentata dai vini botritizzati dell’Europa continentale: i grandi Riesling dolci del Reno e della Mosella  (su tutti l’eiswein Scharzhöfberger di Egon Muller, 99/100 il vino del 2012) e i Tokaji Aszù (il 6 puttonyos di Istvan Szepsy, 98/100 quello della vendemmia 1999). Il Nuovo Mondo è rappresentato dagli icewines canadesi (il riesling di Inniskillin, 94/100 il 2017) e dai sudafricani (tra questi il risorto Vin de Constance di Klein Konstantia, 94/100  per il 2001).  Si conclude con la Francia, nella quale, ai grandi moelleux del sauternais e di Monbazillac, si affiancano i grains nobles alsaziani , i vouvray e i coteaux du Layon liquorosi, i petit manseng del Jurançon. Il punteggio più alto della degustazione? Non è di Yquem o di un altro grand cru di Sauternes, ma del Vouvray Goutte d’Or del Domaine du Clos Naudin: 100/100 per il vino del 1990.

Le feste sono ormai lontane ma gli Champagne occupano una posizione di rilievo. La RVF propone una degustazione di 13 diversi millesimi, dal 2016 al 2004. Ovviamente le selezioni più numerose sono quelle degli ultimi cinque. Accanto alle cuvées delle grandi Maisons, sono quelle dei growers più reputati e di quelli emergenti.  Ha ottenuto il massimo di 100/100 soltanto il Blanc de Blancs di Jacques Selosses della grande annata 2008, ma, soltanto un punto in meno, 99/100, hanno ottenuto due cuvées dell’annata 2012,   La Grande Année rosé di Bollinger,  il Cristal Brut di Roederer, e ancora  il Blanc de blancs Grand Cru 2009 di Jacques Selosse .Più sotto, a  quota 98/100 , sono  il Blanc de blancs Vénus 2012 di Pascal Agrapart ,  il Blanc de blancs Les Chétillons 2012 di Pierre Peters , il Brut Sir Winston Churchill 2009 di Pol Roger.

In questo numero sono anche altre due degustazioni minori: la prima riguarda le migliori cuvées delle cantine cooperative di tutta la Francia, mentre la seconda riguarda le pepite dal prezzo dolce del Roussillon.

Il resto: il grand entretien di questo numero è con Albéric Bichot, alla testa della nota Maison de négoce borgognona Albert Bichot, che si sforza di avvicinare  vignerons e négoce, il dossier di Benoist Simmat parla dei personaggi che, provenendo dal mondo degli affari, della finanza e delle assicurazioni, sono tornati ai domaines familiari per assumerne la guida: da Gilles de Larouzière, oggi presidente del gruppo Henriot, a Mathieu Roland-Billecart (Champagne Billecart-Salmon) e Guillaume D’Angerville ( dell’iconico Domaine di Volnay e ora insediato anche nel Jura). Interessante il servizio dedicato ai mariages tra piatti delle altre cucine del mondo e i vini francesi, a cura di Olivier Poels. C’è anche il vitello tonnato piemontese (ho qualche dubbio sull’abbinamento con il riesling alsaziano di Trimbach). Gli appassionati di spirits troveranno pane per i loro denti nel dossier dedicato al cognac. C’è poi una finestra  sui syrah del Rodano settentrionale, con il faccia a faccia dei Crozes-hermitages di Alain Graillot e del Domaine Combier, mentre Pierre Casamayor delinea un ritratto del Domaine du Closel e dei suoi Savennières, illustrando anche una verticale del Clos du Papillon, dal 1995 al 2018 (98/100 per la versione del 2010).Infine Sophie de Salettes presenta il terroir di un’AOC ancora poco conosciuta del bordolese, Sainte-Croix-du-Mont, nell’Entre-Deux-Mers.

Guglielmo Bellelli

Nella mia prima vita (fino a pochi anni fa) sono stato professore universitario di Psicologia. Va da sé: il vino mi è sempre piaciuto, e i viaggi fatti per motivi di studio e lavoro mi hanno messo in contatto anche con mondi enologici diversi. Ora, nella mia seconda vita (mi augurerei altrettanto lunga) scrivo di vino per condividere le mie esperienze con chi ha la mia stessa passione. Confesso che il piacere sensoriale (pur grande) che provo bevendo una grande bottiglia è enormemente amplificato dalla conoscenza della storia (magari anche una leggenda) che ne spiega le origini.


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