Staforte: un Soave del passato ma proiettato nel futuro3 min read

Graziano Prà, titolare dell’azienda agricola Prà a Monteforte d’Alpone nel cuore del Soave, ha le idee chiare su quella che è l’interpretazione della sua produzione vinicola. 40 ettari con suoli vulcanici a regime biologico, tra garganega in prevalenza e  trebbiano di Soave, senza contare altri 8 ettari in Valpolicella. 

La sua filosofia produttiva punta a valorizzare i vitigni autoctoni, alla ricerca dell’esaltazione delle note fruttate attraverso essenzialità, pulizia ed innovazione nello stile di produzione e nelle scelte enologiche in cantina. Dopo 13 anni di sperimentazioni, secondo la filosofia di Graziano, l’utilizzo del tappo a vite è stata la scelta più giusta per l’affinamento e la conservazione dei suoi vini. Questa è la soluzione più adeguata per produrre vini buoni nel tempo, senza difetti, eleganti, dalle caratteristiche organolettiche che, seppur non standardizzate, sono simili e replicabili in maniera fedele pur rispecchiano l’annata.

350.000 bottiglie di Soave Classico che viene interpretato in 4 tipologie esclusivamente in acciaio. 3 di queste prevedono l’utilizzo della garganega in purezza: Soave Classico Otto (350.000 bottiglie), Soave Classici Staforte (20.000 bottiglie) e Colle Sant’Antonio (3.000 bottiglie). Il Cru Monte Grando (15.000 bottiglie) prevede invece un 70% di garganega e un 30% di trebbiano di soave.

Per poter conoscere al meglio questo progetto, è stata organizzata una verticale del Soave Classico Staforte nell’ agriturismo della “Tenuta Monte Bisson”, ultimo acquisto dell’azienda. Un viaggio che è partito con le tappature in sughero dal 2004, arrivando fino al tappo a vite introdotto a partire dal 2016.

la 2004 segna il nuovo stile di produzione che continua fino ad oggi. A distanza di quasi vent’anni ne risulta un vino di grande complessità, maturità, avvolgenza: frutta gialla, candita, mela cotogna, camomilla, crema pasticcera, sentori balsamici e speziati dolci di zafferano. Al palato di grande equilibrio ancora fresco e sapido dal lungo finale iodato in tutta la sua lunga persistenza, con un tocco torbato e fumè.

2006. Si esprime con prevalenza di note vegetali e minerali iodate, sempre sapido e fresco, di media struttura ma buona persistenza.

2007. Ventaglio di frutta bianca, vegetale e sentori sulfurei. Al palato perde un po’ di freschezza a favore della sapidità.

2009. Prevalgono le note floreali, di glicine eerbe di campo e frutta secca dolce. Equilibrato, di medio corpo e media intensità

2013. sentori agrumati di arancio, miele di acacia. Al palato note ossidative, coesistono bene con la buona freschezza e la sapidità. Ritorno di scorza di agrume e zafferano nella lunga persistenza.

2015. presenta una lieve riduzione, mineralità prevalente. Al palato equilibrato, sentori tostati e di spezie dolci.

Nel 2016 inizia l’utilizzo del tappo a vite per cercare di raggiungere il suo obiettivo di evidenziare freschezza e bevibilità, frutta bianca e forte mineralità con note di idrocarburo.

Dopo aver degustato la 2016, sono state presentate la 2017 e la 2020, entrambe un marcato colore giallo paglierino vivace. q

Quello che si può dire in modo trasversale è che il vino vive come in un momento di sospensione, in attesa di potersi identificare con le caratteristiche dell’annata di produzione. Quanto tempo serva affinché questo succeda ancora non è dato sapere ma sarà proprio il tempo a stabilirne le caratteristiche identitarie, ancora in evoluzione.

Letizia Simeoni

Beata la consapevole ignoranza enologica. Finchè c’è ti dà la possibilità di approcciarsi alla conoscenza! Prosit.


LEGGI ANCHE