Soave 2018, diamogli tempo e intanto cerchiamo di capire le UGA3 min read

Prima di parlare della vendemmia 2018 a Soave bisogna assolutamente dare notizia del grande cambiamento avvenuto nella denominazione, cioè  l’introduzione delle UGA, ovvero Unità Geografiche Aggiuntive.

Tanto per darvi un’idea, avete presenti le Menzioni Geografiche Aggiuntive nel  Barolo e nel Barbaresco tipo  Cannubi, Bussia, Rabaja  etc?

Una cosa del genere applicata al Soave, che in realtà diverse zone vocate ben delimitate aveva circoscritto da tempo nella zona Classica. Ho messo in neretto queste parole e vi spiego perché.

Chi conosce un po’ il Soave sa che praticamente da sempre (anche come comunicazione a livello consortile) la denominazione era divisa in due parti: il Soave Classico (terreni collinari)  che con i suoi circa 1500 ettari era il fiore all’occhiello della denominazione, e il resto, cioè ben 5500, erano considerati, come minimo, di livello inferiore. Naturalmente c’erano e ci sono le eccezioni ma , per semplificare, fino a pochi giorni fa si poteva dire che il Soave Classico e i suoi 1500 ettari erano il “top” della Denominazione.

Con le UGA cambia tutto e bisogna fa due conti per capire il peso del cambiamento:  le 34  UGA non si trovano solo ne Soave Classico, anzi: dato che il Classico comprende 1500 ettari mentre le UGA coprono il 38% della denominazione (di 7000 ettari) vuol dire che si sono “scoperte” zone collinari vocate, per altri 1160 ettari circa. In altre parole la zona collinare, vocata, etc.  del Soave quasi raddoppia .

Ma c’è dell’altro: dato che 29 UGA sono nella zona Classica, vuol dire che le altre  5 (da sole!) coprono quasi 1160 ettari! Mediamente quindi nel Soave Classico una UGA si estende per 52 ettari, al di fuori invece arriva a quasi 233, una bella differenza.

Può creare un po’ di sconcerto, perché questi ettari, vista l’estensione della denominazione, avranno anche caratteristiche pedoclimatiche diverse.

Insomma, una cosa  è dare il giusto risalto a zone storiche del Soave Classico come Froscà, Fittà, Foscarino, Carbonare, un altro è inserire oltre un migliaio di ettari  tra le zone più vocate. Se la prima cosa ha un senso immediato e molto condivisibile, l’altra mi sembra un po’ un’operazione  fatta per accontentare tutti, con i rischi del caso. Vedremo anche quanto verrà recepita, sia dai produttori stessi sia dal mercato questa possibilità, che sicuramente ha il vantaggio di “marcare e garantire” la provenienza di un Soave.

Sarà quindi la bottiglia che parlerà e quando avremo “cru” provenienti anche dalle zone non classiche, valuteremo. Occorre dire che una cosa del genere avvenne a suo tempo anche nel Valpolicella, con la Zona Classica e quella Allargata, dove in entrambe  si trovano comunque grandi vini.

E adesso veniamo ai vini del 2018 che, neanche a farlo apposta, vedono tra i migliori due vini della “zona allargata” rispetto a uno della zona classica. L’equilibrio si ricompone a livello di tutti i Soave degustati, con il miglior punteggio ad un Soave Classico veramente di alto profilo. Se mi è permessa una battuta, a prendere per buone queste valutazioni c’è del buono nella  Zona  Allargata.

A livello generale la  vendemmia 2018 mostra dei nasi già abbastanza pronti e rotondi, con bocche che in qualche caso pagano dazio in quanto a freschezza. Mi ripeto affermando che molti di questi vini andrebbero degustati tra qualche mese e mi piace sottolineare l’iniziativa del Consorzio che organizzerà l’Anteprima dell’annata a settembre, cercando così di far capire questo importantissimo concetto, sempre più vero mano a mano che la media qualitativa dei vini si innalza.

La riprova sono i 2017 degustati, quasi tutti di alto livello e con belle possibilità di maturazione. Del resto lo dicevo qui circa un anno fa e sono felice di aver avuto ragione.

Quindi, se volete un consiglio, adesso bevete i Soave del 2017 (o del 2016) e ai giovani 2018 date almeno qualche mese di bottiglia, vi ringrazierete!

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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