Quando il vino greco arriva sul Ponte Vecchio8 min read

Col ricordo dell’interessante incontro con i vini di Creta di qualche anno fa il 20 febbraio scorso abbiamo accolto volentieri l’invito di Peggy Petrakakos, Console di Grecia a Firenze, per una panoramica più larga sui prodotti ellenici. Eccoci a La Divina Enoteca, un bel locale di fianco al mercato di San Lorenzo.

Bello ma un po’ stretto almeno per questa occasione, quando già nell’orario “per addetti ai lavori” si circolava con difficoltà, e nella fascia aperta al pubblico non si circolava proprio. Del resto vini e produttori giustificavano ampiamente la curiosità: sei le aziende sull’invito, c’era l’emergente del nord e gli emersi (dal mare, molto tempo fa) di Santorini; un’azienda gestita da tedeschi (non penserete mica che gli stranieri si invaghiscano solo della Toscana?). In direzione contraria, un greco che ha sposato un’argentina, vive e produce là e ha pensato bene di portare qualche bottiglia a Firenze; un rosato prodotto da uve bianche miste a rosse. Aggiungiamo pure che fra i Sommelier di servizio ce n’era una dai tratti asiatici e abbiamo reso l’idea dell’atmosfera decisamente cosmopolita che poi caratterizza un po’ tutto nella città ospite.

Ma veniamo ai vini. Siamo partiti con Artemis Karamolegos, azienda di rilievo a Santorini e posto certamente da visitare una volta sulla magica isola dove regnano indisturbate le viti prefillossera allevate a cestino rasoterra (kouloura). E Santorini è il nome del vino-bandiera aziendale, un PDO come dice l’etichetta (che è poi la versione anglofona della DOP). Qui un classico 10% di Athiri e Aidani si combina col dominante Assyrtiko, per un gusto sostenuto e dalla lunga persistenza come ci si aspetta da questi bianchi straordinari. La leggera componente floreale è dovuta forse ai due vitigni in minoranza. Sempre del 2017 è il 34, una nuova etichetta che rende omaggio ai trentaquattro secoli di viticoltura sull’isola.

Tutte viti di Assyrtiko con più di 120 anni da vigneti sparsi, il cui succo fermentato ha subito batonnage e in minima parte ha riposato in legno per pochi mesi. Il risultato è un gusto grintoso eppure sapido, adatto – c’è da scommettere – a un invecchiamento notevole. Il Pyritis 2016 è una super selezione, ancora da viti vecchissime: a note di agrumi affianca caratteristici sentori minerali, di roccia bagnata e terra. L’alcol è sostenuto, ma Il finale molto fresco e sapido.

Ed eccoci da Hatzidakis, presente anche in Italia nel listino di Sarfati. E’ un mito di Santorini, paradossalmente ancora di più da quando un paio di anni fa Haridimos Hatzidakis ha preso la decisone unilaterale di abbandonare questo pianeta. Cretese di origine ed enologo di formazione si era entusiasmato per l’isola e insieme alla moglie aveva fondato l’azienda vicino a Pyrgos, in una rudimentale cantina di quelle che a Santorini chiamano ancora caneva, un chiaro lascito lessicale veneziano. Straordinario è il loro Vinsanto. Ebbene sì, la PDO si scrive così, almeno nella versione export a caratteri latini. Si tratta di un’altra evidente traccia italica ed è proprio di un passito: di uve Assyrtiko per l’80%, con saldo di Aidani. In ogni caso questo 2004 è un portento: colore marrone scuro scuro, profumo innanzi tutto balsamico e poi come di marmellata che durante la cottura si è appena attaccata sul fondo della pentola, ma l’abbiamo salvata. Dolce e poi ancora dolce, molto denso: siamo sui 250 grammi di residuo. Ma l’acidità è quella proverbiale dell’Assyrtiko, concentrata dall’appassimento e indisturbata da quattrodici anni in legno che questo lotto ha subìto. Finale-senza-fine, agrumato. Stella Hatzidakis, figlia di Haridimos, mi parla di rese ridicole poi sottolinea che il loro Vinsanto non è liquoroso come quelli italiani…cerco di chiarirle le idee comunque l’importante è che continui col resto della famiglia il gran lavoro del padre.

Tre qui a Firenze le loro versioni dell’Assyrtiko secco. Abbiamo assaggiato solo selezioni, tutte da lunghe fermentazioni con lieviti autoctoni e imbottigliamenti senza filtrazione. Lo Skytali 2017 è secchissimo e vibrante; Il 2016 del Cuvée 15 quasi mieloso al naso e speziato sul finale; il 2017 Nikteri (il “vino della notte” perché le uve si vendemmiavano al fresco nell’era pre-refrigerazioni) è aromaticamente più fruttato e complesso per via anche di un moderato contatto coi legni. Peccato che sia rimasto a Santorini l’Assyrtiko Mylos, vino monovigneto che assaggiai anni fa nell’allora nuova cantina, scavata orizzontalmente nella collina come un tunnel. E non è finita, a La Divina Enoteca c’era pure il Mavrotragano 2016, rarità rossa da uva autoctona dell’isola che meriterebbe un’esplorazione a parte (è stato per un certo tempo un Presìdio di Slow Food). Ancora un po’ scorbutico per via dell’accoppiata acidità- tannino, è tuttavia convincente nei profumi molto floreali con tocco di affumicato. Finale di mandorla, grande personalità.  

Con Muses estate  ci siamo spostati di due metri dentro l’enoteca, ma con i vini siamo arrivati sul continente, in Beozia non lontano da Tebe. L’Assyrtiko 2018 si esprime con gran potenza, salino e floreale. Muses estate però vuole anche rilanciare il Moutharo, vitigno rosso locale che mi dicono piuttosto profumato. La versione in purezza di Firenze era legnosetta anche se di beva suadente, peccato. Più convincente il pallido rosato da uvaggio, il profumatissimo A Muse (Mutharo&Sauvignon Blanc). Le Muse vinificano anche – e bene – Merlot e Syrah.

A seguire Wine Art , altra impresa dal nome inglese tanto per chiarire l’ambizione export: i due architetti proprietari giocano anche loro sull’Assyrtiko, in ben tre versioni compreso un blend con 20% di Sauvignon Blanc. Molto validi i due assoli: il Plano 2017, verduroso e pepato, di grande spessore; e l’Idisma Drios 2017 caratterizzato da ricordo di limone e da verve resinoso-balsamica. Il Malagousia sempre della linea Plano è aromatico come il vitigno lascia pensare, molto fresco. Ci informano che Wine art è una bella fattoria a Mikrochori in Macedonia, in vista del monte Pangaion che era la culla degli antichi misteri orfici e del culto di Dioniso. Niente di meglio per crescere a pane e vino, e salta fuori che allevano pure Nebbiolo e Touriga National…sui qual c’è rimasta la curiosità.

Apostolos Thimiopoulos è la star emergente, anzi già emersa sul palcoscenico globale. E’ innamorato dello Xinomavro ed è cresciuto nell’azienda di famiglia dove questa varietà viene coltivata nella sua culla, la PDO Naoussa (siamo ancora in Macedonia). Il nome del vitigno si può tradurre con “neroacido”. A giudicare dai vini nero non è tanto, acido abbastanza. Sarà la mano di Apostolos, ma la stoffa setosa combinata con quest’acidità è l’aspetto che accomuna le tre versioni assaggiate. La prima era “Fra Terra e cielo” sulla lista dell’evento fiorentino, ma è una delle poche scritte in lingua originale sull’etichetta. Si trattava del 2016, dal profumo di melograno ed erbe aromatiche. Ancora melograno e profumo di terra nel Naoussa Alta 2015, appena più leggero nel corpo. Il Kayafas 2016 è una tiratura limitata da vigneto singolo, fruttato e floreale. Abbiamo finito colla denominazione Rapsani 2016 (“Terra Petra” sull’etichetta, dove la “petra” è ardesia). Siamo un po’ più a sud con vigneti in altitudine alle falde dell’Olimpo, dove lo Xinomavro si accompagna a Stavroto e Krasato (parti uguali). Il vino è dotato di gande eleganza, con ricordi di fiori appassiti, spezie e verdure (pomodoro). A Rapsani l’avventura di Thymiopoulos è iniziata solo l’anno prima, e c’è da scommettere che altre avventure seguiranno: sta già collaborando per un Santorini…

Florian: ancora un’iniziativa internazionale, qui si parla volentieri tedesco anche se siamo vicini a Salonicco. Piuttosto internazionale anche lo stile dei loro vini da Syrah e Sauvignon blanc; originale invece il Terzetto, dal nome italico ma fuorviante visto che le uve sono solo due, Malagousia e Assyrtiko. Provengono dallo stesso vigneto e vengono vinificate insieme, alla vecchia maniera. Ci è stato presentato come vino non pretenzioso, ma si è rivelato di personalità particolare: decisamente aromatico, con agrumi in primo piano e poi altra frutta anche esotica; molto teso in bocca verso un finale persistente.

Domaine Nerantzi è impresa familiare a conduzione bio, dove la famiglia omonima si è data da fare per l’inclusione di uve locali nella denominazione di zona, che è Serres nella Macedonia centrale. Mai sentito il Koniaros? Il 2013 si presenta scuro, fruttato con un cenno di fumè. E l’Asprouda Serron, altra varietà? Il 2016 è molto fresco e snello pur avendo ancora da integrare meglio il legno (a Nerantzi, per la cronaca, sono balcanici anche i fusti). Profumi intriganti dal Polis 2017, un blend azzeccato dove all’Asprouda si uniscono Malagousia e Assyrtiko.

Bodegas Krontiras suona bilingue, come d’altronde Chateau Palmer o Niebaum-Coppola e molti altri. Vignaioli e uve hanno sempre viaggiato. Fatto sta che Constantinos Krontiras ha sposato un’argentina, si è stabilito a Mendoza, ha chiamato un’enologo compaesano e produce…Aglianico! Non vi sto a raccontare gli ottimi Malbec e Torrontes da coltura biodinamica, devo ammettere invece che questo Aglianico 2015, chiamato Dona Silvina in omaggio alla signora, ci ha pienamente convinto. E’ denso ma fresco e palatabile, corposo e dal frutto netto, appena speziato; è succoso e ben calibrato, i mesi di barrique non si avvertono. Thanassis Vafiadis, il direttore vendite presente a La Divina Enoteca, dà per scontate con un certo orgoglio le probabili origini greche del vitigno (Aglianico=Ellenico). In ogni caso bella sorpresa e complimenti per la prestazione in trasferta doppia.

Siamo usciti dall’affollato evento fiorentino con un paio di riflessioni. Gli assaggi ci hanno fatto intercettare la meritata espansione dell’Assyrtiko, che partito da Santorini sta guadagnando sempre più spazi su nella Grecia continentale, anche in uvaggi interessanti. Qualche vite l’ha piantata persino Lageder in Alto Adige e possiamo inseguirlo fino in Australia. Da tenere d’occhio. L’altro semplice pensiero è che il paese abbonda di vitigni autoctoni, molti sostanzialmente sconosciuti fuori dai confini nazionali e mi dicono anche all’interno. Tocca ai Greci valorizzarli, in questo senso ciò che sta facendo il Portogallo del terzo millennio può essere una traccia.

 

 

Alessandro Bosticco

Sono decenni che sbevazza impersonando il ruolo del sommelier, della guida enogastronomica, del giornalista e più recentemente del docente di degustazione. Quest’ultimo mestiere gli ha permesso di allargare il gioco agli alimenti e bevande più disparati: ne approfitta per assaggiare di tutto con ingordigia di fronte ad allievi perplessi, e intanto viene chiamato “professore” in ambienti universitari senza avere nemmeno una laurea. Millantando una particolare conoscenza degli extravergini è consulente della Nasa alla ricerca della formula ideale per l’emulsione vino-olio in assenza di gravità.


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