Mi erano venuti in mente vari titoli “alla mia maniera” per questo articolo. “Per produrre un vino che non sia DolCetto Laqualunque” e “Ovada: quando il Dolcetto da Dottor Jekill diventa Mr. Hyde” erano quelli che mi piacevano di più. Poi, durante un pranzo veloce con un produttore lui se n’è uscito con la frase “Abbiamo da percorrere una lunga strada per far conoscere e apprezzare i nostri Dolcetto” che mi è sembrata calzare alla perfezione a quanto visto in due mezze giornate trascorse assaggiando Ovada DOCG (anche Dolcetto di Ovada, per la verità) e visitando alcune cantine dell’Ovadese.
La scusa della visita è stata data dalla manifestazione organizzata a Cremolino dal Consorzio di Tutela dell’Ovada Superiore DOCG, che ringrazio per l’invito.
Ma cerchiamo di procedere con calma: avete presente il Dolcetto profumato e immediato? Quello che nei corsi di degustazione viene usato per definire il profumo “vinoso”? Che oltre a questo ha profumi molto intensi di frutta ,di fiori e struttura soave? Che si beve facilmente come vino di apertura?
Scordatevelo!
L’Ovada Superiore ( o Ovada DOCG: si può dire in entrambi i modi) non dico sia l’opposto ma sicuramente non basa il suo appeal sull’intensità aromatica ma su un corpo importante, un’acidità presente e abbastanza marcata e un naso dove spiccano aromi fruttati più tenui che, nell’invecchiamento (perché può e deve invecchiare!) tendono a confondersi con sentori terziari integrati dall’uso del legno.
Quindi un vino fatto da uve dolcetto che non punta all’immediato (per quello c’è il Dolcetto di Ovada) ma a durare nel tempo. E i tempi recenti gli danno ragione perché, anche se le bottiglie prodotte sono veramente poche (si parla di poco più di 100.000) L’Ovada Superiore è l’unica denominazione a base dolcetto in crescita e da qualche anno.
Bisogna dire che la crisi che attanaglia i dolcetti langaroli, Dogliani e Diano in primis, seguiti a ruota dal Dolcetto d’Alba, fa sembrare quest’affermazione una mezza vittoria di Pirro, ma comunque in zona Ovada sono ben convinti ad andare avanti.
Dal punto di vista storico mi viene da fare un non certo augurale paragone con Dogliani, denominazione che nel recente passato ha giocato molte carte sulle possibilità di portare il Dolcetto al tavolo dei grandi vini da invecchiamento e sicuramente non ha vinto la sua sfida.
Sorte simile sembra stia subendo anche il Diano, dove nonostante ancora molte cantine producano ottimi Dolcetto si stanno estirpando vigne per piantar nebbiolo. La stessa continua e inarrestabile erosione che praticamente da 25 anni sta minando il Dolcetto d’Alba, che è diventato oramai l’ultimo vini per chi produce Barolo o Barbaresco e sta sempre più sparendo dalle colline langarole.
Ma come, direte voi, eppure quasi tutte le cantine di Langa, piccole o grandi, non propongono un Dolcetto? Magari lo propongono ma non lo producono e qui ritorna a bomba Ovada, che per pare sia stato un “serbatoio” per chi voleva del buon Dolcetto da mettere in bottiglia. Naturalmente queste sono cose che si dicono ma di cui non v’è certezza, però, come diceva un mio vecchio amico enologo “Le cisterne sono fatte per girare”.
Oggi sembra che girino meno, almeno nell’Ovadese. A proposito, ma voi sapete dove si trova questo bellissimo territorio collinare? Siamo in Piemonte, vicini al confine con la Liguria: questa bellissima terra, ricchissima di clamorosi castelli ,dove la vigna adesso ( in passato era tutto un vigneto!) è una piccola parte del tutto, confina a est con il territorio del Gavi e verso nord e ovest con il Monferrato e le colline che oltre alla Barbera d’Asti producono tanto Moscato.
I terreni sono molto diversi e si passa da terre bianche ricche di gesso, con poca argilla e percentuale sabbiosa che varia di continuo, a terre rosse dove l’argilla aumenta e diventa anche componente principale. Le altezze vanno dai 200 ai 400 metri e se terreni e altezze (per non parlare delle esposizioni) cambiano naturalmente anche i vini e di questo ho avuto la riprova assaggiando più di ventina di campioni.
Credo che proprio qui sia il problema con cui Ovada in futuro si dovrà confrontare: infatti se è chiaro che non vuole essere un dolcetto profumato e immediato non è altrettanto chiaro quello che vuole essere. Un vino da invecchiamento, direte voi (e dicono loro!) e fino a qui siamo tutti d’accordo. Però il dolcetto non è il nebbiolo e non ha dei tannini che da giovani sono ruvidi e invadenti ma col tempo si arrotondano: il dolcetto ha tannini pungenti che hanno bisogno di maestria per portarli ad essere rotondi e gustosi. Inoltre diversi Ovada hanno un’acidità ben marcata e questa caratteristica non è certo un qualcosa che rende più facile e abbordabile il vino, specie se proposto in commercio dopo 2-3anni. Non per niente ho trovato gli Ovada Superiore delle aziende più marketing oriented molto più rotondi e “possibilisti” rispetto a quelli di piccoli produttori che seguono percorsi più austeri.
Inoltre la madre di tutti i problemi è il prezzo: se produci uve per un dolcetto da invecchiamento e poi in cantina utilizzi tutti gli strumenti adatti per farlo maturare al meglio, non è che poi lo puoi vendere al prezzo di un dolcetto fresco d’annata. Peccato che il mercato ancora non recepisca adeguatamente prezzi correlati a questa scelta. Insomma è vero che i non pochi produttori Ovadesi (sono circa 40 iscritti al consorzio) hanno davanti una lunga strada, che potrà diventare più corta quando l’Ovada DOCG sarà molto più riconoscibile al primo impatto.
Noi seguiremo con attenzione il loro evolversi sin dal prossimo anno , quando il Dolcetto di Ovada e l’Ovada DOCG entreranno a far parte ufficialmente delle denominazioni degustate per la nostra guida vini.