Matelica chiede di togliere il nome “Verdicchio” dalla denominazione: sarà una buona idea?4 min read

E’ di questi giorni la notizia che i produttori del Verdicchio di Matelica stanno per fare richiesta agli organi competenti per l’eliminazione dalla denominazione del termine “Verdicchio” sia per i vini Doc che per la riserva Docg.

Molti plaudono a questa scelta e lo stesso presidente IMT (nonché presidente della Cantina Belisario, la più grossa realtà produttiva del Verdicchio di Matelica) Antonio Centocanti afferma che la scelta serve per puntare di più sul territorio, per portarlo a quell’eccellenza che merita e che comunque gli è riconosciuta dalle guide italiane del settore.

Ho conosciuto il Verdicchio di Matelica (scusate se continuo a chiamarlo così) nel lontano 1983 e da allora ogni anno ho avuto modo di degustare i vini di quel piccolo territorio e di apprezzare, specie fino a 10-15 anni fa, delle finezze aromatiche molto particolari e sicuramente diverse dal Verdicchio dei Castelli di Jesi. Poi i vini sono cambiati un po’ (il global warming ha colpito anche lì) ma sono sempre rimasti molto buoni con diversità tra cantina e cantina che sono andate ad aumentare invece che a diminuire. La cosa più importante però è che questo territorio è rimasto sempre abbastanza defilato, anche dal punto di vista commerciale, forse sentendo sulle spalle anche il peso di una denominazione quasi 10 volte più grande come quella del Verdicchio dei Castelli di Jesi o forse perchè non ha mai avuto la forza di sollevarsi, anche a causa dei prezzi piuttosto bassi che i vini hanno sul mercato.

Foto di Leandro Diletti.

Insomma, siamo di fronte ad una denominazione piccola (1.8 milioni di bottiglie, di cui 2/3 prodotti da una singola realtà) che vuole svincolarsi da un nome e soprattutto da una denominazione molto più grande e puntare su se stessa. La cosa è sicuramente positiva ma non credo porterà a reali miglioramenti. Mi viene in mente che anni fa prima Dogliani e poi Diano d’Alba (per motivi diversi ma non troppo) decisero di togliere il termine Dolcetto dalla denominazione e presentarsi al mondo solo con il loro nome. Erano e sono due denominazioni piccole che hanno, specie negli ultimi 50 anni, sentito il peso e il fascino di denominazioni/brand come Barolo e Barbaresco che, tra l’altro, mettono da sempre avanti il nome del territorio al vitigno.

I risultati di questa scelta, sia per Dogliani che per Diano non sono stati eccezionali e oggi le due denominazioni, pur producendo ottimi vini,  navigano in acque non certo migliori di prima, anzi.

Infatti chi tra i non esperti di vino capisce dove sia e che vino sia quello che si chiama Dogliani o Diano? Chi tra i consumatori di bottiglie dall’ottimo rapporto qualità prezzo (come i Dogliani, i Diano e i Matelica) conosce e riconosce questi luoghi?

Qualcuno potrebbe giustamente obiettare che quando si parla di Barolo, Barbaresco, Bordeaux, Chianti Classico, Vosne-Romanée il nome del luogo indica un vino e viceversa e che se lo fanno loro può farlo anche Matelica, ma questi nomi rappresentano vini che esistono e sono conosciuti da centinaia di anni.

Comunque potrà farlo anche Matelica, ma credo con successo reale solo se il cambio di nome verrà supportato da una grandissima campagna mediatica, se i Matelica si troveranno in tutte le enoteche e le carte dei vini dei ristoranti italiani e anche in molti esteri, se il numero di bottiglie aumenterà e con esso il peso commerciale del territorio, se i consumatori di vini tra i 5 e i 10 euro verranno sommersi di notizie su questo bel territorio marchigiano.

Altrimenti il rischio è quello a ristorante o in enoteca di sentir fare la solita domanda “Matelica, che cos’è?” oppure di passare oltre ai Matelica perché magari non sai nemmeno se si parla di un vino bianco o di un rosso e non riesci a piazzarlo in una carta enoico/geografica.

Credo che i responsabile dell’Istituto Marchigiano di Tutela Vini, che in questi anni hanno fanno un lavoro incredibile e di altissimo profilo per portare avanti i vini marchigiani, abbiano fatto i calcoli giusti e sappiano perfettamente cosa fare per evitare la “doglianizzazione” di Matelica. Da parte mia spero proprio di sbagliarmi e di essere il solito criticone, ma se due indizi non fanno una prova… ci vanno molto vicino.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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