Ma perché tra “naturali” e “industriali” deve essere sempre guerra? Proviamo a creare un ponte?3 min read

L’intervista che ho fatto a Saverio Petrilli in cui si parla (ovviamente  parla lui) di biodinamica ha avuto un grande successo in termini di lettori ma mi ha lasciato tanto amaro in bocca per i commenti  che ha avuto sui social.

Premetto che non tifo né per la biodinamica, né per i vini definiti naturali né per quelli definiti industriali: faccio il tifo  solo per la ragionevolezza, il buon senso e il buon vino.

Per questo non riesco a capire perché quando si affronta, anche in maniera seria e aperta, un qualcosa che rientra nel mondo dei vini naturali i commenti non possano staccarsi da una parte dal tacciare come stregonesco o pieno di furbi furfanti quel mondo, dall’altro nel vedere il mondo non naturale come un’accozzaglia di avvelenatori.

Oramai da qualche anno giro per cantine e assaggio vini e vi garantisco che in entrambe le “fazioni” ho trovato vini ottimi, buoni, discreti, insulsi e terribili. Ho parlato con produttori di entrambi i mondi che hanno grande onesta intellettuale e produttori che cercano di convincerti che Cristo è morto per  il mal di piedi.

Sono d’accordo che ci sono vini biodinamici che puzzano, ma ce ne sono tanti anche fra quelli definiti industriali. Magari hanno puzzi diversi ma si tratta solo di capire, in entrambi i casi, dov’è l’errore, perché errore c’è e su questo non c’è dubbio.

Basta visitare un vigneto biodinamico per capire che questa pratica rende le uve, le piante e il terreno diverso e forse migliore, dall’altra l’usare lieviti selezionati non equivale ad uccidere la propria madre. Questo per fare due degli infiniti esempi che si potrebbero fare.

Perché quando si incontrano questi due mondi si parla sempre di scontro e mai di confronto e tutti sono convinti che sia colpa dell’altro?

Perché le persone ragionevoli dei due “schieramenti” , quelle che possono avere un seguito ed essere ascoltate , non si siedono ad un tavolo e cominciano a vedere quali potrebbero essere i punti di contatto e non le divisioni. Del resto se la biodinamica funziona, pur non essendo spiegata dalla scienza, qualche motivo ci sarà e sarebbe il caso di capire se certe pratiche possano essere utili anche ai produttori definiti non naturali. All’opposto tanto pressappochismo o diciamo pure sporcizia (enologica, per carità)  spacciata per naturalità potrebbe essere evitata e in entrambi i casi ci sarebbe da guadagnarci a destra e a sinistra.

Del resto, che tu sia definito naturale o industriale, alla fine produci vino, un prodotto che , per definizione unisce le persone attorno un tavolo e non capisco perché debba solo dividere i produttori e quelli che ignorando o vedendo come il demonio l’uno o l’altro mondo, gli fanno il coro.

Bisognerebbe che tutti, a partire da noi comunicatori per arrivare ai difensori ad oltranza di questo o quel metodo, smettessero di considerarsi per forza nel giusto e soprattutto provassero a conoscere l’altro, senza preconcetti o remore, partendo da un semplice dato: il vino.

A questo punto chiedo a tutti, prima di parlare, di andarsi ad assaggiare almeno dieci vini delle due parrocchie, usando il palato senza preconcetti e poi, eventualmente, dire la propria.

A proposito, non accetterò ed eliminerò sia sui social che su Winesurf comenti offensivi  denigratori a priori. Questo articolo serve per provare a creare un ponte e non ulteriori e stupide divisioni.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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