Saverio Petrilli: “Nessuno vieta alla scienza di avvicinarsi alla biodinamica!”16 min read

Intervistiamo Saverio sui temi della viticoltura biodinamica, spaziando sulle varie sfaccettature del vino naturale e del suo rapporto con gli altri modi di fare vino.

Buongiorno Saverio! Noi siamo amici da una vita ma per chi tra i nostri lettori non ti conosce forse è meglio se fai una piccola autopresentazione.

Ho studiato enologia a Conegliano nel 1987 e sono calato in Chianti Classico, a Volpaia nel 1988. Dal 1994 sono in Lucchesia, alla Tenuta di Valgiano e dal 2017 ho anche fondato con qualche amico un azienda personale: Malgiacca. Un’esperienza in Nuova Zelanda nel 1991, ben 5 volte in Australia, più innumerevoli viaggi e visite di cantine in varie regioni della Francia, Argentina, Stati Uniti, Svizzera, Germania, Austria, Bulgaria, Croazia, Grecia, Slovenia, Portogallo e perfino in Belgio.

Ma il passaggio più importante per la mia carriera è stato affrontare la dissertazione per l’esame dei Master of Wine, il titolo era: “The Importance of Soil”. Dopo aver intervistato professori e ricercatori sono arrivato alla sintesi della saggezza: so di non sapere!

Così dalla cantina sono sceso nei campi, nelle vigne che, lentamente , mi hanno insegnato. Nel 1997 ho abbandonato l’agricoltura convenzionale riconoscendone l’inefficacia. Per rifiuto verso certi atteggiamenti dei biodinamici mi son fermato al biologico, ma non sono stato capace di risolvere i problemi che avevo. Nel 2001 ho cominciato con la biodinamica, e se potessi tornare indietro comincerei prima.

Nell’arco di pochi anni tutto è cambiato, in particolare la terra delle vigne che coltivavo. Nel 2004  ho incontrato Alex Podolinsky e da allora oltre ad applicare il metodo mi sono dedicato anche alla sua diffusione, come faceva Alex, gratuitamente. Ho visto tantissimi agricoltori e vignaioli avvicinarsi con il punto interrogativo negli occhi e aprirsi all’oggettiva realtà di un suolo strutturato, il suolo che ogni agricoltore vorrebbe per far crescere le piante sane. E adesso sono tutti agricoltori capaci, in aziende che funzionano perfettamente e praticamente senza apporti esterni.

Potresti, per i non ferrati in materia spiegare chi è Alex Podolinsky?

Di origine ucraina, emigrato in Australia nel dopoguerra per sfuggire a Stalin e dedicatosi allo sviluppo e diffusione dell’agricoltura Biodinamica. Le sue conferenze, anche trascritte e tradotte in italiano, hanno ispirato centinaia di agricoltori a intraprendere un cammino di osservazione, di responsabilità e di affrancamento dalla chimica. Quando visitava un’azienda, senza mai chiedere alcun compenso, imprimeva uno sviluppo formidabile al complesso sistema uomo-terra-animale-pianta. La profonda gratitudine che lega noi agricoltori ad Alex nasce da questo: è stato davvero un padre per tutti noi. L’agricoltura Biodinamica è nata per un intuizione di Rudolf Steiner, che ha suggerito l’uso di preparati attivatori della fertilità e delle forze vitali, messi a punto da Ehrenfried Pfeiffer (un grandissimo ricercatore e scienziato) ma è Alex Podolinsky che ha elaborato l’applicazione efficace dell’innovativo metodo alle grandi superfici agricole. Prima in Australia, dove più di un milione di ettari sono coltivati in questo modo, poi in tutto il mondo. In Italia ha trovato grande seguito e ha dedicato tante energie a farci crescere. L’associazione Agricoltura Vivente è nata come rete degli agricoltori che seguono il suo metodo per diffonderlo liberamente e gratuitamente e LuccaBioDinamica è parte di Agricoltura Vivente.

Saverio con Alex Podolinsky e Michele Guarino

Prima hai parlato del corso per MW? Per quali motivi consiglieresti o non consiglieresti di farlo?

Per me è stato un grandissimo stimolo, laddove l’ambiente accademico italiano tendeva a essere abbastanza chiuso in se stesso senza mettersi in discussione, quello inglese dei MW era assolutamente aperto, pronto a cogliere nuove tendenze senza porsi né opporsi ma analizzando e descrivendo. Credo che molto di quello che son riuscito a fare nella mia vita professionale sia dovuto a quei tre anni molto intensi e dedicati a girare per il mondo del vino. Il perseguimento di un oggettività in una professione come quella agricola-vitivinicola è essenziale, si può aver successo anche senza ma sarà aleatorio e di poca durata. Quindi consiglierei a tutti di farlo, sia per portare le nostre doti mediterranee in regalo all’Istituto e soprattutto come crescita personale.

Sapresti spiegare brevemente cosa significa per te il termine “vino naturale”?

Il movimento del “vino naturale” è stata la più interessante rivoluzione del mondo del vino degli ultimi quarant’anni. La prima citazione di questo nome l’ho trovata in un libro di Constant Bourgeot, uno svizzero. Nel 1969 già ne parlava definendo lo zuccheraggio una bestemmia, né indispensabile né necessaria, e la solforosa necessaria ma non indispensabile. Sandro Sangiorgi ha dedicato centinaia di pagine al Vino Naturale e chissà quanto tempo, quanti pensieri e quante parole, di fronte a tanta volontà non posso cimentarmi, penso solo che il Vino Naturale non possa ridursi a una semplice definizione essendo un mosaico di persone, luoghi, paesaggi, tecniche, filosofie che ambiscono a trasferire in una bottiglia un esperienza quanto più veritiera, sana e onesta, e ricordo l’ammonimento da Angelo Gaja in un articolo di parecchi anni fa: “…e ricordatevi che il vino naturale è qui per restarvi, non pensate sia una moda passeggera.”

Quale tipo di conduzione, in vigna e in cantina, si avvicina di più a questo termine?             

Nella mia esperienza soltanto la Biodinamica riesce a rivitalizzare i suoli così rapidamente , anche dopo anni di chimica e a ristabilire l’interazione intelligente tra clima, suolo, pianta. Alex ha sempre detto: la biodinamica crea salute, non cura le malattie. E come possiamo pensare che una vite malata produca un vino naturale? Il non utilizzare additivi e correttivi in cantina non è più una scelta bensì una conseguenza del perfetto funzionamento della vite che attraverso una super efficiente fotosintesi e un vasto sviluppo delle radici avventizie nel terreno produce quanto serve a un vino serbevole, stabile, ricco e corretto. Possiamo sempre fare errori in cantina, possono capitare annate difficili, ma il vino avrà una straordinaria resilienza agli uni e alle altre, riuscendo a trovare un equilibrio e un armonia in tutti i casi. Come? Attraverso la vitalità. Intesa come la dotazione microbiologica, un pò come l’intestino dell’uomo che adesso è spesso definito un secondo cervello grazie al microbioma. Un vino vivo è un vino “intelligente”, che sa aggiustarsi e adattarsi.

Qual è la differenza principale tra biodinamica e biologico?                              

Sono principalmente due: la prima è la presenza dei preparati, in particolare il 500, così chiamato da Ehrenfried Pfeiffer, assistente di Steiner e grande Scienziato, microbiologo, fondatore della scienza della nutrizione e laurea ad honorem in medicina, che aveva misurato che il letame maturato nel corno di una vacca conteneva 500 milioni di batteri aerobici per grammo, un nome scientifico. Il letame contiene prevalentemente batteri potenzialmente nocivi, puzza per tenerci a distanza, se mettete del letame nell’acqua nessun animale beve quell’acqua, ma se vi mettete il 500 gli animali la bevono perché i batteri presenti sono positivi. Poi vi sono preparati a base di silice e di piante medicinali associate a organi animali. Come o dove Steiner pescò queste indicazioni non lo sappiamo e non sapremmo fare altrettanto, preferisco umilmente mantenermi sul generico, su ciò che conosco, certo è che anche le migliaia di macellai d’Italia sono stregoneschi ed esoterici quando infilano carne dell’animale che grufola nel budello di una vacca, ma non per questo rinunciamo alle saporite salsicce, perlomeno io non ci rinuncio, forse per i premi nobel sono troppo volgari… La seconda grande differenza è che l’agricoltura biologica segue nella stragrande maggioranza dei casi lo stesso paradigma di quella convenzionale: una lotta contro la natura. L’agricoltore biodinamico invece cerca di comprendere le forze presenti in un dato territorio e adattarsi ad esso per trarre il proprio reddito. Da forestiero, la cosa che apprezzo maggiormente di Lucca, è aver rinunciato nel 1300 all’esercito e di aver mantenuto l’indipendenza giocando con abile diplomazia tra Papato e Impero, per questo LuccaBioDinamica non poteva che nascere a Lucca! Utilizzare la comprensione anziché le armi consente di guadagnarsi un formidabile alleato; la natura stessa.

Credi che siano modi di fare il vino agli antipodi?  Cioè se tra biologico e biodinamico ci sia una incolmabile distanza, sia intellettuale che progettuale?

Credo che Biologico e Biodinamico siano molto vicini, il biodinamico, nonostante sia nato prima, fa adesso le esperienze che facevano i biologici negli anni ‘70; denigrati e screditati. Ma basta sentire Maria Grazia Mammuccini presidente di FederBio per capire che non ci sono grandi distanze da colmare, soprattutto che ci sentiamo molto vicini gli uni agli altri. L’agricoltura è un attività assolutamente individuale, per cui ognuno di noi fa delle scelte non condivisibili con gli altri. La critica di quel che fanno gli altri serve a fortificare le proprie scelte, non a giudicare, semplicemente siamo abituati a rimettere tutto in discussione a partire dalla nostra attività fino a tutto quel che vediamo intorno a noi. Ma il risultato di questo sguardo critico non è mai una sentenza, ci sentiamo fratelli di tutti gli agricoltori, biodinamici, biologici e convenzionali, consapevoli che occorra prendersi cura di Madre Terra e che ognuno lo fa secondo la propria consapevolezza e capacità.

Tu dici che il vino naturale non può ridursi ad una definizione e allora come definisci le varie derive “naturali” che spesso portano a vini pressapochistici, “naturalmente” strani e abbastanza spesso anche con difetti? Nasce qui la domanda che credo tanti vorrebbero farti: un vino biodinamico che puzza, ha dei difetti come qualsiasi altro vino e quindi va fatto presente al produttore, oppure bisogna prenderlo così com’è?

E’ proprio il fatto di essere un mosaico indefinibile che impedisce di fare categorie. Il vino naturale è come Indiana Jones, un percorso di esplorazione fin dentro il mondo arcaico, un percorso che sta rivoluzionando l’intero mondo del vino. Poi non possiamo aspettarci di invitare Indiana Jones a una cena e che si comporti come un perfetto borghese. Occorre accettare alcune “eccentricità”, e sarebbe corretto trovare una forma di dialogo che consenta di discuterne senza litigare.

Ricordo che Nicholas Belfrage MW e Jane Hunt MW avevano il dono (o la capacità) di descrivere i difetti del vino senza mai risultare offensivi, ecco questo sarebbe un buon motivo per diventare MW! Allo stesso modo i produttori, pur difendendo le proprie scelte dovrebbero saper accogliere la critica come un dono.

Devo però sottolineare come il mondo del vino naturale parta, tuttora, dalla cantina. In vigna ci si limita spesso a “non” dare. La responsabilità dell’uomo rispetto alla natura è quella di accudirla, di portare azioni “salvifiche” rispetto agli innumerevoli problemi che la natura si trova ad affrontare a causa dell’attività umana: cambiamento climatico, compattamento suoli, inquinamento chimico, elettronico, etc, l’elenco sarebbe troppo lungo e demoralizzante, basti pensare alla primavera 2020 con due mesi di ridotta attività umana. Spostandomi da una vigna all’altra, perché ero uno dei pochi fortunati a poterlo fare, restavo stordito dall’intensità dei profumi delle fioriture, come se fosse stata sollevata una cappa di piombo. Da allora non passa giorno che non pensi a cosa potrei o dovrei fare per aiutare in questo senso la natura. E la risposta migliore che trovo è sempre: “Occuparmi del suolo, della vita nel suolo.” Alex Podolinsky cominciava sempre le sue conferenze agli agricoltori con una domanda: “Qual’è l’ingrediente principale del suolo per poter funzionare biologicamente?” Chiedo qui ai lettori, prima di leggere la risposta di fare uno sforzo e rispondere quello che gli viene in mente. La risposta ha una diretta attinenza con la capacità di ottenere vini puliti, piacevoli, leggeri ed intensi e di evitare la maggior parte se non tutti i difetti più comuni. L’aria. L’aria è ciò di cui hanno bisogno tutti i sistemi biologici per funzionare. Tra l’altro un vino biodinamico resiste a bottiglia aperta fino a una settimana. Perché è vivo, nel senso di avere una carica microbiologica capace di assorbire l’aria senza che ossidi i componenti del vino. Un suolo ricco di humus è capace di trattenere l’acqua evitando erosione, trattiene le sostanze minerali evitando dilavamenti ed inquinamenti delle falde, fissa l’anidride carbonica sequestrandola dall’atmosfera. Un circolo virtuoso capace di invertire il circolo vizioso.

 Secondo te dove potrebbe esserci un punto di contatto tra il mondo del vino “naturale” e quello “industriale”.

I punti di contatto sono il vino e chi lo beve. Anche l’industria non deve (o dovrebbe) mai tradire il vino, la sua origine, la sua natura e conservare sani e appagati coloro che lo consumano e che di fatto mantengono sia i naturali che l’Industria.

Se tu dovessi parlare dei vini che hai fatto o stai facendo, come li definiresti?

In estrema sintesi: più luminosi. Sia nel colore che all’olfatto e al gusto, e poi si conservano meglio, fino a una settimana aperti senza svanire.

Recentemente in Europa il vino si è salvato per il rotto della cuffia nel Cancer  Plan. Credi che in futuro il modo di fare e il vino stesso dovranno cambiare? Come?

I problemi sono veramente tanti, oltre alla percezione degli stati del Nord Europa che non sanno controllarsi davanti a una bevanda alcolica e tendono a preferire gli alcool forti perché come diceva Russel Crowe quando vogliono sbronzarsi vogliono farlo in fretta c’è un indebolimento della specie, il non risolto problema dell’innesto, nuovi insetti e nuove malattie, la burocrazia cieca e sorda. È difficile immaginare il futuro, ma sappiamo che i vignaioli del passato hanno affrontato la fillossera, l’oidio, la peronospora, gli invasori, le cose cambiano sempre e occorrerà adattarsi rapidamente a nuovi scenari, ma per gli europei il vino resta un prodotto culturale che invita all’approfondimento, un legame tra la vita urbana e quella agreste capace di viaggiare nello spazio e nel tempo.

Cosa pensi della legge sul biologico che non ha portato, come pareva invece in prima battuta, o forse ha portato parzialmente e con enormi distinguo,  all’equiparazione tra biologico e biodinamico.               

Già! Al Senato quest’estate nessuno gli ha dato molta considerazione. Mentre alla Camera situazione ribaltata. E tra i due voti una formidabile campagna contro la biodinamica su tutti gli organi di informazione e perlopiù senza contraddittorio. Viene da chiedersi da dove proveniva tutto quest’interesse in un metodo che rappresenta il 2% di un settore, quello agricolo, che impiega solo il 3% degli italiani. Conosco tanti scienziati che non si fanno alcun problema rispetto alla Biodinamica, anzi taluni si dedicano, nel più puro spirito scientifico a scoprire “come” funziona. Altri scienziati, peraltro senza alcuna competenza agricola né esperienza con la Biodinamica sparano a zero definendola antiscientifica. Premesso che la biodinamica funziona perché vi sono migliaia di aziende che la praticano e che vivono di quanto così producono, a chi sta l’onere della prova scientifica se non agli scienziati stessi? E se questi scienziati non capiscono come funziona di chi è il problema? Dell’agricoltore che la fa funzionare o di chi non è in grado di dimostrare come funziona? Fino al 1911 non si conoscevano le vitamine, ma loro, le vitamine, già ci nutrivano. Fino agli anni ‘70 non si conosceva al fermentazione malolattica, eppure lei esisteva lo stesso e, in regioni come la Toscana, in modo del tutto empirico si riusciva a facilitarla con tecniche come il governo. Ci sono poi medicinali come il Thalidomide, assolutamente scientifici, salvo poi, all’atto pratico, saper creare mostri che neanche la fantasia di Bosch osava partorire. Comunque alla fine non cambia granché, il termine biodinamica è stato inserito un po’ alla furbetta, potevamo farne a meno, la cosa importante è la nuova legge sul Bio (la maggioranza degli agricoltori Biodinamici sono anche certificati Bio) e non escludo che l’obiettivo principale fosse screditare tutto il bio. Basta pensare che nella Fivi in otto anni i vignaioli bio sono passati dal 30% al 67%. E poiché nel vigneto si utilizza il 25% degli antiparassitari si fa presto a fare i conti.

Ma attaccare direttamente il Bio non sono più i tempi, è ormai sdoganato, allora si colpisce il biodinamico. Più che pensare qualcosa, mi pervade una profonda tristezza osservando come, mentre in tutto il mondo si affronta la rivoluzione ecologica, in Italia poche persone ben supportate decidono di fare retromarcia.

Non credi che una legge che equipara biodinamico e biologico possa o potesse servire ad avvicinare questi due mondi, e renderli meno l’un contro l’altro armato: in definitiva ad avvicinare “la scienza” al mondo della biodinamica?

Ehrenfried Pfeiffer era un grandissimo scienziato, nel 1949 mise a punto gli impianti di compostaggio di città come Chicago e San Francisco. Dimostrò, mentre tutti gli scienziati ritenevano che un suolo desertificato fosse perso per l’umanità, che con uno starter organico e dell’acqua si poteva recuperare e, soprattutto che, le micro quantità dei preparati biodinamici erano le più efficaci a farlo. Come lui ci sono tantissimi altri che studiano e lavorano per scoprire cosa c’è dietro una realtà come la biodinamica. Nessuno vieta alla scienza di avvicinarsi alla biodinamica! Come sempre il problema sono gli uomini, da ambo le parti.

Immagino che se mi mettessi a scartabellare nei decenni di pubblicazione di Winesurf potrei facilmente trovare qualche affermazione “discutibile”, estrapolando la quale potrei dedicarmi a screditare Carlo Macchi. A che pro? E se ritengo che a Winesurf manchi un articolo sulla biodinamica, non è meglio che collabori e ti aiuti pur consapevole che non sarà mai definitivo? Abbiamo sempre da migliorarci. Io la scienza la vedo così. Se qualche fenomeno non è ancora spiegato, proviamo a collaborare per trovare le spiegazioni, consapevoli che non saranno definitive, ma un piccolo passo avanti che potremo rimettere in discussione più avanti, quando magari qualcuno, più intelligente di noi, farà un altro passo avanti.

Un vero scienziato non farà mai affermazioni che non possa provare, basate su estrapolazioni di parti di un discorso portate in altro ambito: questa si chiama la “macchina del fango” e non ha niente a che vedere con la scienza. Ognuno di noi nell’arco della vita ha la possibilità di scegliere come comportarsi, abbiamo una formazione culturale, un’educazione familiare e scolastica, un patrimonio genetico, una complessione personale che può metterci in posizioni difficili, ma alla fine possiamo sempre scegliere. Se un uomo che si occupa di scienza decide di mettere in moto la macchina del fango e dedicarcisi è libero di farlo, avrà i suoi motivi. Quel che non può fare è di utilizzare il proprio merito in campo scientifico per accreditare la macchina del fango, in questo caso diventa ipocrisia! E il danno non è solo nei confronti dell’oggetto dell’attacco ma di tutta la scienza.

Diventa divisivo, discriminante. In sostanza le polemiche che sono apparse sui giornali non hanno niente a che fare con la necessità di incontrarsi della scienza e della biodinamica, questo avviene costantemente. Sabato 26 Febbraio ho assistito alla conferenza di uno scienziato che spiegava il suo lavoro di ricerca proprio sui preparati e su cosa avviene quando inseriamo un erba medicinale dentro un organo animale: misurazioni non opinioni.

Ho spesso fatto conferenze in università, anche lontane dalle materie agricole e sono sempre stato bene accolto. Ho tradotto Alex Podolinsky in conferenze alle quali presenziavano rettori, professori e dottori e nessuno ha mai sentito la necessità di contraddirlo.

 

La foto di copertina è di Mauro Fermariello, che ringraziamo.

 

 

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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